In questi ultimi giorni stiamo assistendo a un fenomeno tutto italiano, che conferma il detto “dalle stelle alle stalle“. La nostra categoria è passata da essere additata come composta da gente virtuosa che, grazie ad una regolare attività fisica, si mantiene in buona salute con evidenti benefici anche per la società tutta (in quanto meno soggetta a malattie che inevitabilmente andrebbero a gravare sui costi di una sanità pubblica in perenne affanno di fondi, viste le politiche di contenimento della spesa messe in atto dai governi degli ultimi anni), è passata – dicevo - al ruolo di incoscienti moderni untori (ndr: come descritto anche da questo nostro articolo) che spargono a piene mani o meglio a pieni polmoni milioni di virus covid-19.
Circola sui social la ”parabola” dell’uomo “di merda“ (letterale nel testo) che andando a fare la corsetta al parco si sloga la caviglia a si vede costretto a chiamare l’ambulanza che lo porta al pronto soccorso dove viene trattato, ingessato e infine sottoposto al test risultando positivo asintomatico. A questo punto tutta l’equipe medica del PS viene messa in quarantena, con la consacrazione della definizione dell’incidentato come UOMO DI M*.
Tralasciando il dubbio che il personale dei PS tratti un infortunato senza le dovute precauzioni anti contagio (altrimenti non ci sarebbe più un medico in attività), mi piace evidenziare quanto la vicenda narrata sia alquanto tirata per i capelli, mettendo in fila una serie di circostanze al limite del paradosso; ma tant’è, come dicevo ‘dalle stelle alle stalle’.
Né ci vengono in aiuto le indicazioni/prescrizioni via via date da chi ci governa, per terminare con l’ultima, relativa all’Emilia Romagna, secondo cui l’attività sportiva si può praticare vicino alla propria abitazione: quanto vicino? Per il sedentario, dopo 100 metri “sono già lontano”, per un runner maratoneta, a 10 km “sono sempre sotto casa”.
Volevamo fermare il contagio? Ok: non si corre né vicino né lontano da casa (parafrasando un certo Nunzio Filogamo nel suo celebre saluto ai “cari amici”).
C’è poi una sottocategoria di runner che ha la fortuna di abitare in campagna con la possibilità di uscire di casa e essere già su sentieri/carraie, dove l’incontro più probabile può esser con una lepre oppure con un capriolo ( o addirittura sei, come è capitato a chi scrive durante un’uscita in MTB 10 giorni fa: e si badi, nella bassa Modenese, non in collina).
Anche riflettendo a lungo, trovo difficile capire come un tale soggetto possa infettare o essere infettato, quando l’umano più vicino si trova a km di distanza.
Sicuramente l’emissione di queste ordinanze è frutto del comportamento di un numero minoritario di persone che, forse credendosi autoimmuni o solo più furbi, hanno generato situazioni di rischio creando assembramenti sicuramente da evitare. Quindi è giusto a questo punto comportarci come ci viene chiesto di fare ma, conoscendo gli italiani, i divieti avrebbero dovuto essere non interpretabili ma assoluti, e le sanzioni per i trasgressori pesanti, almeno in termini economici.
Una sola cosa egoisticamente mi consola in parte: causa infortunio sono fermo da quasi tre mesi e temo lo sarò ancora per un po’, la gara sarà tra la mia guarigione e la scomparsa del coronavirus: spero che arrivi molto prima la seconda e si possa tornare tutti alla normalità.