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Mag 02, 2020 Paolo Brambilla (& Daniele “Bric” Bricalli) 1613volte

La maratona del giardino: 264 sassolini e 8 legnetti

Come Pollicino, un sassolino tira l'altro... Come Pollicino, un sassolino tira l'altro... Roberto Mandelli

Vimercate, 1° maggio - Dopo il successo della mezza del cortile condominiale di fine marzo, forse più per scaramanzia, per scacciare infausti pensieri e paure di una lunga reclusione, ci si era ripromessi, se ancora confinati nelle proprie abitazioni, di puntare alto e fare una maratona.

La condizione imprescindibile era il disporre di un adeguato tempo per la preparazione: come mi disse tempo fa un tale molto famoso, la maratona è sempre la maratona … sono quarantadue chilometri e cento novantacinque metri, né uno in più né uno in meno, non si improvvisa, si fa solo se pensata nella mente e allenata nel fisico.

Oltre ogni peggiore previsione, i decreti ministeriali ci hanno portato in dono un ulteriore mese di cricetismico allenamento, lungo un percorso di gara ridisegnato su una traiettoria di soli centosessanta metri, più corta, più circolare ma soprattutto priva di malefici gradini. Dopo un mese scandito da una perfetta sequenza di carico aerobico, come criceti, siamo saliti sulla ruota che ci ha portato, oggi, sotto un arco immaginario, all’atto finale, la partenza insomma della nostra maratona condominiale.

L’avvicinamento alla gara è stata una sequenza pazzesca di allenamenti “in gabbia” durante i quali, con oltre mille rotazioni, abbiamo arato il giardino lasciando un segno indelebile nel prato fiorito, la cui risemina sarà oggetto di discussione nella prossima assemblea condominiale.

A conti fatti la lunga distanza sarà scandita da 264 giri di sudore e sofferenza.

Sveglia presto, colazione abbondante: come mi capita spesso il risveglio è agitato da richiami del basso ventre; le note voci prodotte sono il risultato della tensione agonistica ma anche dell’alimentazione non proprio allineata con le nozioni teoriche lette nel manuale del maratoneta.

Il trenta aprile, il mio ‘piccolo’ Tommaso compiva i suoi diciassette anni, i festeggiamenti erano d’obbligo: ma la piadina kebab con cipolla cruda seguita dalla torta pane di stelle con panna fresca, burro e nutella, forse, pur dando la giusta carica energetica non è stata una buona idea.

Il volto che vedo riflesso allo specchio non mi rasserena, apro l’armadietto e mi sparo due Imodium orosolubili, il loro sapore menta si sovrappone con quel retrogusto non ancora estinto di cipolla rossa e caffè. Passato l’attimo di smarrimento, durato il tempo di un solo conato, il gusto menta mi diventa pura adrenalina: in un baleno sono in cortile con il Bric e Carla che mi aiuta nell’allestimento del tavolo del rifornimento.

A basso volume ascoltiamo l’inno d’Italia, guardiamo il cielo, ci affidiamo alla divina provvidenza, e dopo le fotografie di rito, alle sette e mezza siamo sulla linea di partenza.

La notte ha piovuto di brutto, ora fa freschino, entrambi indossiamo l’antivento verde di ordinanza, lo terremo per i primi giri poi, appena caldi si passerà a calzoncini e maglietta; per me come al solito la maglia è rigorosamente doppia.

Ci guardiamo, concordiamo la distanza di safety, corriamo in sicurezza alternando il traino, cadenzato dai ristori programmati ogni cinque chilometri, fino alla mezza sarà statico poi dinamico. Abbiamo concordato che passata la mezza la somministrazione del ristoro avverrà camminando per un intero giro, un minuto e mezzo di camminata veloce riposante e tonificante.

Come nella mezza e nei lunghi, il sistema di cronometraggio scelto sarà quello ormai ben testato del “little stone timing”, sul muretto duecentosessantaquattro sassolini raggruppati a trentadue per volta in otto blocchi con il resto di otto. Ogni settore è separato da un legnetto, per ogni giro un sasso viene gettato via, il legnetto è il segnale di aver percorso cinque chilometri, il tempo del meritato ristoro.

Lungo il percorso, al di là del cancello, vediamo ciclicamente passare poche persone, ogni tanto un volto noto ci saluta, qualcuno fotografa, qualcun altro filma, siamo animali in gabbia ma siamo ugualmente felici.

La gara è una ripetizione silenziosa di identici gesti, poche parole, inizialmente per l’ora presto in rispetto dei condòmini chiusi nelle loro calde case, poi per la fatica di tenere il ritmo, la necessità di fare economia di ossigeno da dirottare tutto verso i muscoli.

Alle undici e quarantacinque minuti finalmente entriamo nell’ultimo giro, il cortile si popola, sull’arrivo le mogli poste alla corretta distanza sociale sono pronte a scattare foto, un nastro rosso è stato teso, sui balconi sono assiepati altri spettatori … stiamo arrivando … Nel lato oscuro del percorso consapevolmente infrangiamo le regole, ci diamo il cinque, quando ci vuole ci vuole, all’arrivo poi l’amuchina ci salverà! Girato l’angolo intravediamo l’arrivo, sentiamo gli applausi, alziamo le braccia, è fatta!

Alla fine la sfida l’abbiamo portata a casa in quattro ore sedici minuti e ventinove secondi, un tempo di tutto rispetto per un Troop.

Come durante la mezza, ci siamo divertiti, abbiamo riso e stretto i denti (in realtà più stretto i denti che riso), fatto foto e video, appena possibile monteremo anche un altro cortometraggio, condivideremo il tutto, perché il momento è ancora difficile, inizierà una nuova fase ma sappiamo che la ripresa sarà lunga e ardua, bisogna avere coraggio, stringere i denti e andare avanti.

E’ il primo maggio: un pensiero va al lavoro che c’è, che non c’è più ma che deve riprendere; dobbiamo però, ancora una volta, non abbatterci, cercare di portare un po’ di gioia …

Chiudo come un mese fa citando Roger Rabbit…: “Noi Troop facciamo gli scemi, ma non siamo mica stupidi”.

 
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