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Gen 30, 2018 Maurizio Lorenzini 4425volte

Discovery Kenya – live from training camp Kapsait e Kaptagat

Gli atleti del Training Camp di Kapsait Gli atleti del Training Camp di Kapsait Foto di Maurizio Lorenzini

Entra ancora più nel vivo la settimana in Kenya: giornata lunghissima ma emozioni impagabili. Il viaggio non è corto e nemmeno comodo, le strade sono quelle che sono, l’asfalto c’è solo sulle strade principali, ma dopo dirò che ne valeva assolutamente la pena. La meta è Kapsait, il training camp più in alto, credo in assoluto, 2950 metri. A 17 chilometri dalla destinazione finale incontriamo gli atleti, qui comincerà il loro allenamento.

Lo scenario circostante è completamente diverso dalle nostre montagne, a 2000 metri la vegetazione scompare, qui invece è fitta, verde ed alberi a non finire. Come resistere alla tentazione di correre? Impossibile, e non sono l’unico del gruppo. Se era difficile correre a 2000 metri qui è ancora peggio. Partiamo a circa 2750 metri, quando mancano circa 7 chilometri al punto di arrivo, intorno a noi panorami incredibili. Fatica pazzesca, la respirazione è difficile, pare non esserci scambio gassoso, del resto a queste altezze è proprio la ridotta pressione dell’ossigeno a complicare le cose. Però è esattamente in queste condizioni che migliorano i parametri circolatori, emoglobina in primis. Doping che più naturale non si può. Mi stacco un attimo dal gruppo di runner per agganciare l’ultima ragazza, che verso la fine della sua seduta si era sganciata. La affianco e tengo bene per un mille, mi metto in scia e resisto circa per altri mille metri, poi decido che sono… giovane e non voglio morire adesso.

Il camp è molto spartano, gli atleti sono alloggiati in camere estremamente semplici, l’acqua per lavarsi se la vanno a prendere da soli, con i secchi. Nelle vicinanze c’è una scuola, studio e atletica, atletica e studio, questa è l’idea, e pare proprio funzionare. Coach del gruppo è Erik Kimayo, maratoneta da 2:07, quando con questo tempo si era vicini al record del mondo.

Dopo è la volta di una visita al villaggio di Kaptabuch, una “primary school” che qui raggruppa elementari e medie. Gli alunni percorrono fino a 6-7 chilometri per raggiungerla, parte anche da qui un percorso che un domani può formare dei campioni. Incredibile l’accoglienza, addirittura una corsa dei bimbi (varie batterie, a partire da tre anni!) organizzata in onore del gruppo Rosa Team. Un senso di ospitalità unico, da capire in tutta la sua essenza. C’era perfino il… pacco gara, caramelle alla frutta, anche grazie al contributo di Podisti.Net. Canti e balli da parte dei locali, nei loro costumi tipici. Tutto per ringraziare gli ospiti, ma soprattutto Gabriele Rosa, che da queste parti ha investito parecchio.

Oggi, 30 gennaio, è la volta del training camp di Kaptagat (2200 metri slm), intitolato a Sammy Wanjiru, fortissimo atleta scomparso a 29 anni in circostanze forse ancora misteriose. Un training camp molto bene attrezzato, con massaggiatore, laser terapia e Tecar, ma è tutta la struttura ad essere di ottimo livello. Qui sono transitati anche italiani come Ruggero Pertile, Valeria Straneo e Daniele Meucci. Anche questo camp ha il suo coach, anche questo è keniano: James Kwambai, oggi 40enne, un personale di 2:04 in maratona. Dal punto di vista tecnico a mio avviso è quello meglio posizionato (anche perché vicino alla città di Eldoret), percorsi di ogni tipo, sulla classica strada rossa che se non piove è molto polverosa. 

Ho seguito gli atleti nel loro allenamento, 24 chilometri in progressione su una salita mai cattiva ma costante, anche se il percorso presenta diverse ondulazioni e tratti in falsopiano. Alla fine complessivamente sono circa 500 metri di dislivello. A mio avviso questa è una situazione ottimale per questo tipo di allenamenti: l’azione della corsa risulta sempre rotonda ed efficiente, cosa un po’ più difficile quando le pendenze sono elevate. Col passare dei chilometri il gruppo si assottiglia, qualcuno allunga, qualcuno si sfila, generalmente perché ognuno ha un suo programma da seguire. Resta comunque fondamentale la seduta in gruppo, anche numeroso (oggi erano una trentina), importante la condivisione della fatica, così come lo stimolo a sopportare sforzi anche impegnativi. Li ritroviamo in un punto specifico, dove c’è una magnifica vista della Rift Valley, con i suoi 3500 chilometri è la più lunga del mondo, si estende dalla Siria sino al Mozambico, attraversando il Kenya da nord a sud. 

 

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