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Apr 04, 2022 1914volte

"Eco" di Bagno a Ripoli, nella miglior tradizione toscana

"Eco" di Bagno a Ripoli, nella miglior tradizione toscana Roberto Mandelli

Bagno a Ripoli (FI), 3 aprile – 282 classificati nelle tre gare competitive, cui si sono aggiunte una non competitiva di 11 e (sabato) una passeggiata eno-gastronomica. Nella giornata di tre grandi, o almeno storiche, maratone stradali, la Toscana ha offerto un’altra delle sue rinomate eco-maratone, su dolci colline che non impongono sforzi estremi, belle stradicciole bianche (bè, oggi marroni per il fango e cosparse di enormi pozzanghere), qualche soffice sentiero e in più  con apparizioni improvvise e stupefacenti di Firenze, dove la cupola del Fiore, il campanile di Giotto, il Palazzo Vecchio ti facevano inumidire gli occhi. “Te beata, gridai…”, scriveva Foscolo, un veneto arrivato da di là del mare, che a Firenze, tra colline, monumenti e uliveti trovò il porto per una quiete mai raggiunta altrove.

La gara più lunga (quantificata, secondo le fonti, con un dislivello tra i 1200 e i 1500 metri) è stata nettamente vinta dal “ragazzo di paese” Paolo Lepri, tesserato proprio a Gràssina dove la gara partiva e arrivava, in 3.14:44, con oltre 8 minuti di vantaggio su Federico Badiani (Montecatini) e 10 su Alessandro Dommi (Firenze). Più tranquilla l’andatura delle donne, regolate da Serena Martini (Scandicci) in 4.06:30, anche lei 8 minuti sulla seconda, Francesca Capelloni, e un quarto d’ora sulla terza, M. Laura Chellini. 112 gli arrivati, entro le 6.53, largamente sotto il tmax fissato in 8 ore.

La 23 km, che per la prima metà coincideva con la 42 ma evitava la salita più impegnativa al “Poggio Firenze” o Fontesanta, è stata vinta da un altro di Scandicci, Filippo Bianchi (1.37:13), e da Sara Emily Bulukin (Le Panche Castelquarto), 1.46:29, su 98 partecipanti in tutto.

La 11 km, in sostanza una bella escursione su prati ameni e dolcissimi pendii, è andata a Giuliano Burchi in 52:51 ed Elisa Parrini in 53:57: 72 i classificati in questa competitiva, cui si aggiungono i camminatori e non competitivi.

Tutte le classifiche, redatte e messe online in tempi brevissimi malgrado la mancanza di chip, sono state elaborate grazie all’eccellente coppia di giudici Uisp posta al traguardo e orchestrata dal mio quasi omonimo Fabio Marranci, per lo zelo del quale basta riferire un episodio: al mio arrivo, mentre mi mettevano al collo la medaglia, ha immediatamente sentenziato che ero a premio di categoria,  ha stampato la classifica accompagnandomi al box dell’organizzazione (foto 3 del servizio messo insieme con perizia da Roberto Mandelli, malgrado il furto con destrezza che la sua Juventus ha patito ieri sera) e addirittura dandomi con le sue mani il sacchetto alimentare (non troppo) meritato, oltre alla sua porzione di lasagne provenienti dalla vicina risto-tenda l’Arena. (Che differenza con domenica scorsa (non dico dove), quando gli organizzatori avevano volentieri dimenticato di chiamare i vincitori di categoria, mandando a casa a mani vuote per esempio tutte le signore F 55, ignare del premio…).

Poi il Marranci è tornato sul traguardo, dove nel frattempo l’aveva surrogato la giudice-avvocata con cui c’è stata anche l’occasione di considerazioni varie giuridico-sportive.

I benefit non finivano qui, perché appunto esibendo il pettorale andavi all’Arena trovando, oltre alle lasagne, del buon vino rosso. Signori, questa è la Toscana.

Confesso che prima della settimana scorsa manco sapevo dov’era Bagno a Ripoli: a parte la Firenze Urban Trail (quest’anno cancellata), le mie ecomaratone erano tutte nella zona del Chianti, qualche decina di km più a sud; ma fortunatamente, un avviso sul sito del Club Supermarathon informava dell’evento e di uno sconticino sulle quote d’iscrizione, peraltro modeste (da 30 a 40 euro, secondo i tempi; 5 per la 11 km): infatti, i supermaratoneti in classifica (si capisce, sul percorso lungo) sono ben 13 su 112, e sarebbero stati 14 se avesse potuto venire Massimiliano Morelli, il Morellino non di Scansano, che in queste gare c’è sempre, a ravvivarle con le sue battute. Purtroppo, la mancanza del Morellino dimostra che non tutta la Giustizia è quella dei tribunali italici; e per ora non dico altro, se non che il suo Club si è già attivato per la concreta solidarietà a un confratello nel bisogno.

Torniamo alle dolci colline a sud di Firenze, punteggiate di pievi medievali, tra cui stupefacente quella di Vicchio (con un panorama da lucciconi agli occhi), e il convento dell’Incontro, a monte di Villamagna, nelle cui spoglie celle ci si santificava forse, ma sicuramente si conquistavano la serenità e la Pace interiore; e si lavorava con gli strumenti conservati in un piccolo museo (foto 36).

Poi, scesi nel pomeriggio a Gràssina, nella grande Casa del Popolo, e nel vicino centro parrocchiale con la sagoma inconfondibile di uno dei tanti “Nuovo cinema Paradiso”, si tocca con mano quanto l’associazionismo delle due grandi Chiese del dopoguerra ha risollevato l’Italia fiaccata e demoralizzata. Qui don Camillo e Peppone, disinteressati, entusiasti, entrambi innamorati del loro Popolo per il quale rinunciavano a ogni tornaconto personale (quasi… come oggi), diedero alloggio, calore, bicchieri di vino, partite a carte, la radio, le prime tv, certamente qualche predica o comizio, ma tutto a fin di bene, e in una concordia sostanziale che non si poteva dichiarare pubblicamente ma era nei fatti (vedere foto 4-7).

E quando la situazione rischiava di precipitare e qualcuno pensava alla “seconda ondata”, ecco, proprio da qui, da Ponte a Ema, saltava fuori un Gino Bartali, un eroe del Popolo, che fa girare le balle ai francesi (copyright Paolo Conte), rivince il Tour a dieci anni di distanza, dona la maglia gialla alla Madonna del Ghisallo, e tutti a festeggiarlo, da papa Pio XII a Palmiro Togliatti sul letto d’ospedale; e la rivoluzione può attendere (foto 8, 9, 14-20).

Che Italia era quella, dove se non vinceva Bartali vinceva Coppi, e se non vinceva Nuvolari (copyright Dalla) vinceva Ascari o Farina, e poi avevamo il Grande Torino, e Nearco all’Arc de Triomphe… “Ils gagnent tout, ces Italiens!”, mormorò il presidente francese con le balle giranti di cui sopra, e quando al Tour per il terzo anno consecutivo, dopo Bartali e Coppi, la maglia gialla era ancora nostra, di un altro toscanaccio come Magni, i francesi aspettarono i ciclisti italiani sul col d’Aspin per bastonarli. Ma non vinsero nemmeno allora, perché li fregò uno svizzero: tiè.

Tutto questo cosa c’entra? Ma è l’aria che si respira, ma è la parlantina alla Pieraccioni che senti in trattoria, ma è lo scorrere dell’Ema, è la Toscana: che dopo un sabato anche di neve e grandine ci regala una mattinata dove i cristalli dell’auto sono ghiacciati (aspetteremo dal presidente di Reggio Atletica i numeri della temperatura, che non azzardo, ma nella vestizione pre-gara opto per maniche lunghe e guanti); dove il giovane e sportivo sindaco di Bagno a Ripoli dà il via con la pistola dal tappo rosso, e noi ci mettiamo per strade carraie, senza aver dovuto esibire (per la prima volta dopo due anni) la cervellotica autodichiarazione, e incontrando finalmente, nei 7 ristori, l’acqua e la cola in bicchieri, così niente va sprecato.

Fino al km 12 si può correre quasi in scioltezza, poi quando comincia la salita, che al km 15 ci fa varcare i 500 metri (dagli 88 della partenza) e al 18 ci porta alla “cima Coppi” di 675 metri, chi ne ha di più si fa avanti: così l’avvocato Reali da Latina (manco a dirlo, supermaratoneta), che migliora di un’ora il tempo della sua precedente partecipazione nel 2019 (l’ultima che fu fatta); e prima di lui, quel prodigio di Leandro Pelagalli da Prato, 70 anni suonati da quel po’, capace di un 4.38 da schiantare gli altri; e venti minuti dietro lui, Mauro Gambaiani modenese (tra Fanano e la terra dei Pico), ma “troppo giovane” per arrivare a premi di categoria. E appartenendo il sottoscritto alla razza di chi rimane a terra, subisco il sorpasso di talune ragazze biondissime e bellissime nelle chiome o trecce ondeggianti, di cui leggo solo i nomi di società sulle magliette (Oltrarno, La Nave), non riuscendo nemmeno a complimentarmi tanto vanno veloci.

Una breve discesa e siamo alla metà gara: oddio, arrivo al ristoro dalla sinistra, mentre altri arrivano da destra: dove ho tagliato? Le angosce sono sopite dalle due simpatiche signore, che tra una cola e un muffin mi spiegano che niente, tutto OK, devo solo girare a destra e fare l’anello di 7 km, dopo di che ci rivedremo. Così è: 230 metri di discesa in 2 km, fino a San Donato in Collina lambito dall’A1, poi si risale, in parte su sentiero con altre visioni che non è retorico definire mozzafiato (e mi valgo di Sara, brava podista e organizzatrice di gare dell’Ellera, per qualche foto panoramica; e parliamo anche di quanto sia ‘pericoloso’, da Gabrielli in poi, allestire una corsa).

Di nuovo al 28, quando il cielo comincia a rannuvolarsi (bè, i primi sono già arrivati), e da qui è quasi tutta discesa: in 5 km si va giù di 400 metri, fino a S. Andrea, su belle stradine sterrate che addirittura, ai nostri livelli, permettono medie da 6:50/km (!). Un gran dubbio ci prende al 35, dove una villa medicea è preceduta da un uliveto dove tutti gli alberi sono fettucciati, ma senza far capire qual è la direzione… Siamo in 4, comincia a piovere, telefoniamo all’organizzazione (sembra che uno sbandieratore abbia abbandonato il suo posto, è l’unica pecca in un allestimento per il resto perfetto), poi qualcuno vede una fettuccia sulla via di Mondeggi della foto 57; salvezza raggiunta, ultimi 4 km di asfalto con salitina di 30 metri e altrettanta discesa su Gràssina (un superaccessoriato compagno di gara, che vedete sorpassarmi all’arco gonfiabile nelle foto 59-60, dice che è l’undicesima discesa su 11, è lunga 1600 metri e finisce sul traguardo).

Ed ecco il Fabio-giudice-premiatore-factotum (“quest’anno no, non vengo alla Corrida perché non ci sono le bancarelle”), un lavaggio sommario nei lavandini della Casa del Popolo, le lasagne, il caffettino col podista che cerca di farselo offrire a scrocco (tanto te-ttu mi honosci…). E’ tornato il sole, sono arrivati tutti, si può tornare a casa a raccontare un’avventura in più.

Informazioni aggiuntive

Fotografo/i: Roberto Mandelli