Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Lunedì, 16 Dicembre 2019 23:40

Modena, Camminata del Quartiere Centro Storico

15 dicembre – La seconda delle 4 camminate di quartiere 2019 è l’unica che si svolge in città, mentre le altre sono confinate all’estrema periferia, o per essere esatti in frazioni di aperta campagna. Partenza, come ogni anno, in zona stazione ferroviaria, e primo tratto della gara (su una lunghezza massima prevista di 11,5 km) nel centro storico, coi passaggi felicemente documentati dalle foto di Teida presso l’ex Manifattura tabacchi, il Palazzo Ducale, le strade più prestigiose del centro, i viali attorno (un paio di km coincidono con quelli che si percorrevano nella defunta maratona d’Italia), poi il solito attraversamento dei Giardini Ducali dove le foto (206-215) non mancano di rilevare lo scempio urbanistico del mostruoso palazzone che fa ombra alla palazzina settecentesca dei giardini: Vittorio Sgarbi si chiedeva chi era stato quel criminale che aveva autorizzato la costruzione (che nelle cartoline ufficiali di Modena è cancellata). Si percorre in lungo e in largo il giardino, sede privilegiata di appostamento di Teida, dal vicolo dove un tempo stavano le gabbie dei leoni Ras e Lea (237), fino al boschetto dove la Desideratissima Dark Lady si lascia agganciare da due, diciamo così, tifosi (foto 325); il secondo dei quali si meriterà, al successivo parco XXII aprile, un promettente cheek-to-cheek (foto 588).
Il giro lungo procede verso nord-est della città, passando dalla chiesa di S. Caterina e ara dei piloti di Formula 1, che il grande “don Ruspa”, cappellano dei piloti (morto un anno fa) eresse abbattendo la vecchia chiesa cadente (il campanile rimasto è nella foto 359), e meritandosi una incriminazione per distruzione di patrimonio artistico (quell’incriminazione che nessuno aveva fatto al responsabile del palazzone di cui sopra): al che Enzo Ferrari gli promise che quando fosse andato in galera gli avrebbe portato il pranzo ogni giorno, naturalmente in Ferrari. La casa natale di Enzo è costeggiata sia nell’andata sia nel ritorno, col giro di boa posto nel quartiere di Torrenova (a un certo punto sembra di stare sotto le mura di Ferrara, ma è solo il terrapieno della tangenziale), e il lungo periplo del citato parco XXII aprile dove sorgeva la villa Pentetorri distrutta dai bombardamenti (foto 375).
È tempo di ripassare la ferrovia e tornare nel cortile dell’ex cinema Ferrovieri, a ritirare il mezzo kg gratuito di fusilli e, per chi vuole, acquistare il cioccolato solidale da Lolo della Ovunque. C’è anche Lupo col suo libro a più mani sulla storia del podismo modenese (ne riparleremo). Purtroppo non ci sono più due amici che questa storia hanno contribuito a farla: il “capostazione” Giulio Bavutti, che qui era di casa, e Silvano Mazzetti, quest’ultimo scomparso due settimane fa.
Nessuna competitività, ovviamente; partenze differenziate tra walkers alle 9 e runners alle 9,30 (ma parecchi runners o semirunners si intrufolano nella schiera di chi ha fretta, o semplicemente di chi se ne frega di orari e regole). Peraltro, il percorso è ottimamente sorvegliato e protetto dal traffico, dai volontari e dai vigili urbani: scambi di saluti tra questi e i loro colleghi che invece corrono con la squadra ufficiale del coordinamento Interforze; e come dice il ginecologo, io lavoro dove tu ti diverti.
Domenica 22 si replica con la terza di quartiere, a Marzaglia (cioè al confine con la provincia di Reggio), contrapposta alla San Donnino Ten dei Modena Runners, all’estremo opposto del comune: gara agonistica, dunque guardata con sospetto dal Coordinamento (“ben” 8 euro le iscrizioni, secondo tariffe regionali), ma che concluderà il trofeo Corriemilia e dunque attende partecipanti da tutta la regione, guidati, raccontati e fotografati da Stefano Morselli.

Si è appena insediata nel ruolo di delegata allo sport della sua università e già lancia la sua prima iniziativa: Isabella Morlini, non solo campionessa (già mondiale di ciaspole, per dirne una), ma anche PhD - Professor of Statistics - Member of the Robust Statistics Area Interdepartmental Research Centre come recita il suo ruolino ufficiale, comunica che:

“Grazie alla collaborazione tra  UNIMORE e La Fratellanza 1874 A.s.d., e UNIMORE e Atletica Reggio A.s.d nascono le prime  UNIMORE RUN (or WALK):
Venerdì 31 Gennaio 2020 ore 14:30, Viale Berengario, Modena
Domenica 15 Marzo 2020 ore 9:00, Piazza della Vittoria, Reggio Emilia.
Eventi in cui lo sport diventa aggregazione e spirito di appartenenza a UNIMORE. Eventi di condivisione, tra docenti, studenti, dipendenti e simpatizzanti UNIMORE delle stesse fatiche, dello stesso impegno e dello stesso traguardo da raggiungere. Eventi di inclusione perché rivolti a universitari e non universitari, sportivi e non sportivi, adulti e bambini, abili e diversamente abili. Eventi per promuovere uno stile di vita sano per tutti. In queste prime edizioni il costo di iscrizione (NdR: rispettivamente 10 e 8 euro) servirà a coprire le spese sostenute dalla società per l’organizzazione. L'obiettivo nei prossimi anni sarà quello di trovare sponsor e devolvere alla ricerca le spese di iscrizione.
Grazie al prezioso contributo di La Fratellanza 1874 e Atletica Reggio a.s.d. e ai nostri delegati alla disabilità, riusciremo ad offrire la partecipazione a persone diversamente abili, sicuri che lo sport sia un mezzo educativo di sviluppo di competenze e di rapporti sociali.
Le corse (o camminate) si svolgeranno all'interno delle gare su strada più importanti e partecipate a Modena (la Corrida) e Reggio Emilia (la 10 km).
Dietro la griglia di partenza dei competitivi, gli  UNIMORE runners partiranno da una griglia dedicata a loro, con la maglia tecnica UNIMORE e il pettorale dotato di chip per la rilevazione elettronica del tempo.
Come iscriversi? Semplicissimo: collegandosi al sito http://www.corridadisangeminiano.it/ e accedendo alla sezione dell’evento
Perché partecipare?

Per almeno tre buone ragioni:
1)     Per mettersi alla prova e sfidare se stessi in una corsa o camminata di 3 o 13 km
2)     Per raggiungere il proprio personal best sulla distanza e magari migliorarlo l'anno successivo
3)     Per vivere una giornata di sport assieme a grandi campioni di livello internazionale”.

Aggiungiamo, anzi ripetiamo, che l’arrivo della Corrida si svolge sotto le finestre dove la prof riceve e fa lezione: una ragione di più per… farsi vedere!

Lunedì, 02 Dicembre 2019 18:52

San Donnino (MO), 42^ Camminata di Quartiere

1° dicembre - Coll'ultimo mese dell'anno, Modena riprende tradizionalmente a riempire le domeniche lasciate libere dagli organizzatori (o qualche volta, a fare concorrenza a organizzatori ritenuti fuori zona o fuori legge) con le gare dette di quartiere, ridotte a quattro, più o meno sempre negli stessi posti, cioè il più fuori possibile dalla città per non disturbare il traffico.
Ce n’è solo una in centro storico, dalla stazione ferroviaria, che di solito apriva le danze ma stavolta, per non intralciare l’afflusso allo stadio (ah bè, si giocava alle 15 e una partita di basso livello, non è che fino all’una ci fosse tanta gente in giro…), si è invertito il turno con questa, che è venuta a collocarsi 7 giorni prima di un’altra camminata a due km di distanza e sullo stesso argine e strade di oggi (ah ri-bè, quella non è “di quartiere” anche se il giro è grossomodo lo stesso di quella di quartiere e di quella competitiva di aprile e di quella del festival dell’Unità ecc., sempre organizzati dalla stessa persona).
Sia pure: come gli uccellini prigionieri non conoscono altro cielo che quello della gabbia, anche per i podisti che rispettano religiosamente i dettami del Coordinamento, gare come questa (anzi, queste) di San Donnino-San Damaso  sono tra le più belle dell’anno e del mondo, contenti loro contenti tutti.
Naturalmente, i podisti più ‘evoluti’ o competitivi, gli assetati di agonismo (che, orfani di Torino o di Genova, si sono precipitati in massa alla maratona di Latina a raggranellare 'tacche'), o i partecipanti a campionati regionali (come, in zona, il Corriemilia), erano altrove: in compenso qui ci si davano di appuntamenti a Reggio domenica prossima, sia per l’indubbia comodità e simpatia della gara reggiana, sia perché i “senatori” sono come quegli uccellini di cui sopra, e fin che saranno abili e arruolati, ogni dicembre andranno sempre e solo là, e guai a parlargli di gare esotiche ma anche solo di Sanremo…
Peraltro, maratoneti giramondo c’erano anche qua: il carpigiano-newyorkese Werther Torricelli, il Colombini Lord of New Castle e di tutte le Majors (foto 248), la desideratissima signora in nero della foto 262, già vincitrice di una maratona di Ragusa (concupita, insieme alla sua bella compagna, dal signore che le tallona anfanando). Solitario correva Rambo, già gemello-indiano di Mastrolia (323), ed erano ormai per lui irraggiungibili le bellezze delle foto 145 e 194 (questa, seguita ad una decina di metri da uno che sembra Lorenzini e ostenta di non puntarla). Altri tempi, quando la criniera atirava le femine como el miele le mosche (così gli storici su papa Alessandro VI, e i cronisti di quartiere sui podisti-apaches).
Ciò posto, le corse di quartiere modenesi presentano indubbi vantaggi: iscrizione gratuita, e nonostante questo, premio di partecipazione (oggi 500 g di pasta), ristoro in gara e al traguardo, controllo dei vigili nei rari attraversamenti stradali, un po’ di animazione (oggi echeggiava la musica anni Sessanta, “The house of rising sun” – che sia la villa ritratta da Teida nelle prime e nelle ultime foto? -, “Ma che colpa abbiamo noi” ecc.); partenza legalmente differenziata per i camminatori – mezz’ora prima dei corridori -, dunque nessuna croce addosso a chi appare nelle foto dalla 21 in poi, 51 in poi; salvo che la campionessa della foto 60 sembra partita prima, eppure corre!
Il mio premio speciale va però alla signora della foto 167, al secolo Roberta Mantovi, podista non delle più scarse né delle più antipatiche: la prima della serie, e tra i pochissimi, a spillarsi il pettorale.
Il percorso, si diceva (stilizzato nella foto 6), è calpestato all’incirca una decina di volte l’anno, anche in notturna; la relativa novità di questa edizione è che lo si fa in senso orario e dunque sul fiume ci si sale solo dopo aver passato lo stradello Bonaghino (che a me fa sempre venire in mente la Parietti), al km 4,5: vedete la bella foto che Mandelli mi ha suggerito di scegliere per la copertina, insieme alle tante altre che seguono nell’album.
Quattro km sull’argine, risalendo il fiume fin quasi all’autostrada, poi discendendo per uno stradello campestre oggi un po’ scivoloso, dove qualche anno fa, in una notturna estiva, assistetti a un podista-gabbiano che tentò di conquistare la sua vicina offrendole il tè del ristoro, ma nel curvare si sbilanciò bagnando la maglietta della bella, che lo ripagò con due urlacci e un presumibile addio alle speranze del dopogara.

Lunghezza del giro più ampio, 10,600 km, che sommati ai 10,500 dell’altra non competitiva del sabato (a pochi km da qui, presso il negozio Run & Fun del campioncino Mohammed Moro), consentono una buona preparazione senza stress, cominciando pure l’operazione di smaltimento dei pranzoni o cenoni di fine annata che le società imbandiscono in questo periodo. Il pranzo, di lì a un paio d'ore, riuscirà particolarmente succulento per i podisti della Sassolese, riuniti in occasione che la propria squadra cittadina dà un dispiacere allo squadrone dal cui campo si esce sempre a mani vuote e - obbligatoriamente - con un rigore a carico. Che questa volta non è bastato.

Lunedì, 25 Novembre 2019 11:18

Cittanova (MO), 27^ Corri Cittanova

24 novembre – Dopo svariati anni di ‘dorato’ esilio in zona Coop, la camminata di Cittanova torna a Cittanova, ossia a sud della via Emilia, dietro la chiesa che nel profondo Medio Evo costituì il nucleo della ‘nuova città' di Modena, dopo le invasioni barbariche e l’abbandono dello storico centro romano. Chiesa che, in tempi molto più recenti, fu sportivamente rivitalizzata da Mauro Zavatta, che da qui faceva partire i suoi pullman della speranza, a notte fonda per risparmiare il pernottamento in hotel, verso maratone più o meno note, da Budapest a Plitvice, da Buhlertal a Fermignano (sic); e a riscuotere le quote in pullman delegava William Govi.
Infatti, il nome e l’immagine di Zavatta (vedi le foto 3 e 4 di Teida Seghedoni, 17-18 di Domenico Petti) sopravvivono nel sottotitolo “7° Memorial Mauro Zavatta”, appiccicato al nome generale della gara, sebbene non sia chiaro che differenza ci sia tra la “Camminata podistica non competitiva di km 16” e il Memorial Zavatta, “percorso di km 16” ugualmente non competitivo. Diciamo che è un residuo copia-incolla dai tempi in cui a Cittanova la gara era anche competitiva, a volte con soluzioni bizzarre come quella specie di challenge in cui i meglio classificati si sfidavano in una seconda gara, la stessa mattina.
Adesso, l’unica gara competitiva era quella, benemerita, riservata alle categorie giovanili, tra i 7 e i 14 anni, che hanno preso il via poco dopo le bande degli anziani non competitivi (s’intende, quella metà che aveva pazientato nel fango fino alle 9 di mattina, e vediamo nelle foto 60-61 di Petti, 23 e seguenti di Nerino Carri), eccettuati dunque gli anticipatori largamente documentati nelle foto di Teida dalla 36 alla 167. Alla santa innocenza dei bambini (iscritti gratuitamente e premiati riccamente, gelato compreso), e ai meriti di Cittanova e Uisp Modena sono dedicate invece le foto di Nerino 101-160.
Per gli ‘adulti’, diciamo così, i percorsi medio di 9,6 e lungo di 16 (in realtà 15,6) erano ricavati in una delle zone più battute dal podismo modenese in odor di reggianità, tra Cittanova, Cognento, Baggiovara, Marzaglia e quasi Magreta, con l’inevitabile passaggio dalla tenuta Hombre dei Panini, sempre sensibili allo sport modenese. Gara dichiarata, in parecchie pagine del libretto-volantino, non competitiva, oppure anche “a carattere ricreativo ludico-motoria”, con iscrizione per tutti a 2 euro (in cambio di un cartoccio di ciccioli o pancetta) ma in cui si è comunque stilato un ordine d’arrivo con chiamata sul palco dei primi/prime cinque: la foto di Petti n. 667 mostra il glorioso Lupo che premia.
Lo so che i puristi, le vestali, i legulei ecc. (quelli che a suo tempo intonarono epinici sui record di Andrei o di Evangelisti, tornato alla ribalta in queste ore per una intervista alla stampa nazionale) troveranno da ridire sul fatto che in una non competitiva si osi affermare che qualcuno è arrivato prima di qualcun altro; per me invece è un semplice ritorno al podismo eroico dei primi tempi, quando ci si trovava in qualche centinaio di praticanti, si riceveva un pettorale non nominativo, e alla fine c’era chi arrivava primo e veniva chiamato dallo speaker e magari vinceva tre cartocci di salume anziché uno; e i Massimo Bedini (ora nella foto 595 di Teida e 423 di Nerino), o la mamma che corre coi gemelli (Teida foto 356 ss., 727 ss.; Nerino 585 invece mostra il paparino) stavano sotto e partecipavano alla festa applaudendo. Ah sì, ma come la mettiamo con la tutela sanitaria e se ci scappa il morto…? Ah bè, ma aspettiamo un leguleio e un medico a spiegarci se il mio cuore fatica di più, sullo stesso percorso, quando so che sul traguardo c’è Brighenti oppure Lupo, Morselli col cronometro oppure Roncarati con la sveglia al collo.
E nel frattempo diamo il dovuto onore ai (chiamiamoli così) più lesti del percorso lungo: tra le donne 1^ Patrizia Martinelli (una signora dall’età sinodale, ma tuttora apprezzatissima sia come podista sia come signora), 2^ Nicoletta Venturelli, 3^ Anna Balboni; tra gli uomini 1° Fabio Poggi (abituale frequentatore dei podii modenesi), 2° Andrea Spadoni, 3° Miller Artioli (li si cominciano a vedere in azione dalla foto 168 di Teida).
Quasi 1800 gli iscritti, che hanno beneficiato dell’apporto, sia pur contenuto, dei reggiani il cui calendario oggi andava in bianco. Il citato libretto di gara recava scritto in due pagine diverse, che vedete alle foto 3 e 5 di Teida: “Partire tutti assieme è più bello… chi parte anticipatamente non è coperto da nessuna assicurazione” ecc. ecc. Beh, come diceva lo speaker Lupo alle 9 meno 5, “qualcuno è già andato via”.

17 novembre - “Vi vogliamo bene…”: lo speaker Roberto Brighenti (annunciato fin sul volantino, come valore aggiunto alla gara) recupera dal repertorio la frase che aveva già usato un paio d’anni fa nella vicina Vezzano, all’atto di comunicare l’annullamento per bufera della mitica ascensione a Canossa; ma questa volta, fortunatamente, si tratta solo di correggere in extremis il tracciato, perché una frana caduta nella notte proprio in vicinanza alle Tre Croci impedirebbe il transito ai mezzi di soccorso, nel caso che questi servissero.
E allora (gli organizzatori dicono “in 6 minuti”) è scattata la decisione di usare il tracciato classico fino al km 12.7, a quota 334, dove si trova il secondo ristoro (lasciando dunque il tratto più duro di salita, ai km 10-12, provenendo dai 90 metri di Scandiano); poi far girare i tacchi scendendo giù per la stessa strada fatta in salita, fin verso il traguardo, per una lunghezza (diceva ancora Brighenti) suppergiù identica a quella dichiarata di 23,750 con 450 metri di dislivello.
Non sarà esattamente così, ma intanto bisogna dare atto ai bravi scandianesi (padri, come non mi stanco di ripetere, della maratona di Reggio e di altre iniziative podistiche tra le migliori in regione) di avere rimediato real time ai capricci della natura, e soprattutto di aver trovato piena collaborazione nelle forze dell’ordine per il presidio in extremis delle strade che invece avrebbero dovuto essere liberate.
C’è solo un paio di “ma”: alla fine della discesa, quando ormai lo stadio della partenza-arrivo stava a meno di un km, fuori della località dal curioso nome di “Lambrusco”, i podisti della super-maratonina sono stati deviati a sinistra sul tracciato del giro “medio” non competitivo di 8,5 km, risalendo un po’ di collina fino a ricongiungersi col giro originale (cioè con la discesa dalle Tre Croci) quando questi segnava km 21 e invece i Gps viaggiavano già verso i 24. Sicuramente la deviazione ha fatto recuperare un po’ dell’altimetria perduta (peraltro arrivata grossomodo a 350 metri in su e in giù), ma ha portato il giro a una super-super-maratonina di 26 km. Qualcuno che, nelle retrovie, era in semiagonia si sarà chiesto: ma perché non ci hanno rimandato direttamente allo stadio, per lo stesso sottopasso e piste ciclopedonali percorse nell’andata? La risposta è, che stava nei patti col comune che quel tratto di strada doveva essere sgombro al più presto possibile (bè, in realtà qualche auto che sorpassava i podisti l’abbiamo vista dal giro di boa fino al fondo). La contro-obiezione sarebbe: ma allora non si poteva anticipare l’avantindré di un paio di km, ad esempio nel piazzale della chiesa di Cadiroggio, evitando anche le incavolature degli automobilisti che erano bloccati all’incrocio? (ho sentito un guidatore, uscito dall’auto, dire a un altro: adesso li metto sotto, non c’è problema!). La probabile controrisposta è che era troppo macchinoso spostare il ristoro.
La contro-controrisposta pratica l’ha data il mio amico Paolino con qualche compagnone suo (non competitivi!), che giunto al giro di boa ha proseguito diritto lungo il percorso storico, ha oltrepassato la frana, ha rivisto le Tre Croci di cui tutti abbiamo nostalgia (specialmente da quando hanno abolito la cronoscalata), giungendo al traguardo esattamente col chilometraggio che aveva programmato di fare.
Un diverso tipo di accorciamento l’ha fatto un vecchio campione e amico mio, che infortunatosi e non sopportando, nella discesa finale, la compagnia assidua dell’ambulanza-scopa, all’uscita da “Lambrusco” ha tirato dritto per il sottopasso che vi dicevo, arrivando al traguardo un quarto d’ora prima dei compagni di viaggio.
Qualche altro, suppongo, ha ‘avvicinato’ il giro di boa come avrei suggerito io: appunto sotto Cadiroggio, chi saliva al suo km 8-9 vedeva già discendere gente del suo calibro, addirittura davanti ai primi competitivi: e se chiedeva “ma a che ora siete partiti?”, si sentiva regolarmente rispondere “all’ora giusta!”. Contenti tutti, non starò io a seminare zizzania; ma quanto all’ “ora giusta”, basta guardare la prima serie delle foto di Teida per accorgersi che i primi “regolari” dopo il via appaiono dalla foto 143; davanti, c’è anche chi sventola il segno churchilliano di vittoria (su chi? sui regolari).
Purtroppo il maltempo della nottata e delle prime ore del mattino (ma quasi niente sulla corsa) ha molto ridotto la partecipazione, specialmente dei modenesi, che avevano sempre eletto la “S. Caterina” a una delle gare preferite, sebbene il Coordinamento imponesse la trasferta a Mirandola: dubito che là ci siano andati in tanti, oggi,  ma sta di fatto che le due società più numerose a Scandiano (la Cittanova di Modena e la Guglia di Sassuolo) hanno raggranellato rispettivamente 49 e 43 partecipanti, la metà – o meno – di quanto riescono ordinariamente a fare.
E se questo ha influito soprattutto sul numero dei non competitivi, va detto che un risultato-mini si è avuto anche tra i competitivi, gente che non si lascia certo condizionare da quattro gocce, e che però hanno fatto mancare all’appello un buon 30% di chi aveva partecipato nel 2018: quest’anno la 26 km è stata conclusa da 233 persone (di cui 38 donne), contro le 350 complessive dell’anno scorso. Defezioni un po’ a tutti i livelli, cominciando da chi l’anno passato era salito sul podio (Bianchi e la Ricci, per esempio), ma anche del fedelissimo Giuseppe Cuoghi (invece Cecilia Gandolfi c’era ed è andata forte, quasi quasi come il figlio Gianluca Spina…; e c’era anche Du Bien Sen, al rientro). Possibili ‘distrazioni’ erano la vicina maratona di Verona, la 50 K di Salsomaggiore e il campionato regionale di campestre nel bolognese.
La vittoria assoluta è stata affare dei soliti nomi che emergono nelle corse reggiane: se dalla foto del km 2 alla Rocca Boiardo vediamo che era sgusciato in testa Andrea Bergianti, dalla seconda serie di foto-Seghedoni si vede che sulle rampe è venuto fuori Yassine El Fathaoui, seguito già a una certa distanza da Bergianti (quinto nel 2018), poi da De Francesco già notevolmente più indietro. I tre si classificheranno nell’ordine: 1.31:37 per il vincitore, con due minuti su Bergianti, 4 su De Francesco (vedete i tre arrivi nelle foto 450-1-2 di Nerino Carri). Confrontando i tempi dell’anno scorso, Bergianti ha impiegato quasi 5 minuti più di sé stesso del 2018; El Fathaoui 7 minuti più di Pigoni vincitore uscente (oggi assente): ovviamente la ‘colpa’ risale all’allungamento del tracciato, e magari a qualcuna delle tante pozzangherone, o piuttosto laghetti, per strada.
Tra le donne, vittoria della frassinorese Manuela Marcolini (che vedete in azione alle foto 70-73 del secondo gruppo di Teida, e al traguardo nelle foto 549-552 di Petti), in quasi 1.53, solo 19 secondi meglio di Bethany Thompson (terza l’anno scorso), e due minuti sulla terza, Elena Neri che aveva vinto nel 2018 (impiegando 13 minuti in meno!). Il trio del cosiddetto podio è insieme nella foto 560 di Petti, e sgranato a pochi metri dall’arrivo nelle foto 471, 473 e 477 di Nerino.
Insomma, una classica che ha saputo essere più forte delle avversità; non di chi, aperte le finestre sulle piogge del mattino, ha deciso di tornare a letto.

Sabato, 16 Novembre 2019 23:56

Modena, 1° Corripollicino

16 novembre – Col nome Pollicino a Modena sono state ribattezzate la struttura pediatrica del Policlinico e una Onlus che si occupa del “progresso della neonatologia”; per far conoscere l’una e l’altra, ed eventualmente per raccogliere un po’ di fondi, niente di meglio che organizzare una corsa podistica, sul tracciato più noto della città: con la partenza all’ex ippodromo (sciaguratamente rinominato Novi Sad), teatro di almeno una quindicina di gare all’anno, due giri della vecchia pista in modo da completare il percorso più corto di 2 km (ma parecchi ne hanno fatto uno solo), e poi uscita in stile Corrida verso la via Emilia centro, che si percorre tutta fino a largo Garibaldi, cioè fino a vialoni di circonvallazione, che si percorrono per l’intero semicerchio sud fino al palazzo dei musei: da qui, chi ne ha abbastanza di 5 km può dirigersi di nuovo all’ippodromo, e gli altri voltano a sinistra per il solito itinerario: via Emilia ovest fino all’ex autodromo (ora parco Ferrari), dove questa volta si entra anziché restarne fuori come in altre corse. Qui, in accordo con la fiaba di Pollicino dove il bimbo e i suoi fratelli si perdono nel bosco, le segnalazioni e gli addetti (già alquanto carenti o distratti, prima) spariscono del tutto, e ognuno si ritaglia l’itinerario che meglio crede. Poi si riesce sulla via Emilia ripercorrendola in senso inverso e arrivando infine al traguardo, allo stesso modo della Corrimutina non competitiva di due settimane fa.
A occhio e croce, i partenti all’ora giusta (le 15 e qualche minuto) saranno trecento, ma molti se ne sono già andati in perfetto stile modenese, come documentano le foto di Teida dove i primi partenti regolari appaiono forse dalla numero 54. Nemmeno stavolta posso accusare nessuno di non indossare il pettorale, perché questo aveva dimensioni da francobollo e per inquadrarlo ci vorrebbe almeno un teleobiettivo da 200 mm; ma sarei molto stupito se il solito personaggio delle foto 59/60, refrattario agli acquisti e alle partenze in orario, l’avesse perlomeno in tasca. Va detto che di fronte ai soliti 2 euro di iscrizione, il premio minimo era un barattolo di verdure sott’olio o una confezione di  'crescente' particolare. E davano persino una medaglia similoro, consuetudine che risale ai tempi delle gare di 40 anni fa ma ormai è soppressa in tutte le non competitive.
Chi ha fatto un’offerta più consistente si riconosceva comunque dalla maglietta bianca con scritta (ad esempio foto 301-303, e i bimbi delle 313-315, 382-85, che hanno portato entusiasmo e allegria ed erano tanto simpatici con le magliette che gli arrivavano ai piedi).
Per gli adulti, a parte quelli che vengono a correre solo per correre (come Gelo Giaroli e la Cecilia, foto 82, Cuoghi con la barba da patriarca della 199, Bedini della 222-223, Paolino Malavasi delle 218-220), è andata in scena la solita caccia alla bella figliola da ‘accompagnare’, volente o nolente, per tutti i 9 km: d’altra parte, come resistere alle rotondità delle foto 131 o 322, o al celeste sorriso della dark lady 330? C’è anzi da stupirsi che la notevole presenza della foto 283 sia stata lasciata in pace fino al traguardo.
Stante l’inesistenza di corse reggiane o bolognesi, si è notata la partecipazione di  alcuni colleghi delle province limitrofe. Viva chi ha il coraggio di riempire anche i sabati grigi di pieno autunno, dove non c’è neanche un prete per chiacchierar; ma viva soprattutto la neonatologia, e ancor di più la realizzazione di neonati, di cui la nostra morente Europa avrebbe tanto bisogno.

Venerdì, 01 Novembre 2019 22:50

Bomporto (MO), 44° Camminata del Lambrusco

1 novembre – Erede di una antica tradizione che un tempo si svolgeva per S. Martino, giorno in cui tradizionalmente “va l’aspro odor dei vini  - l’anime a rallegrar”, questa camminata, del lambrusco ormai porta solo il nome, non più la mostra dei vini (con caldarroste) che si teneva un tempo nel teatrino adiacente all’arrivo, né tantomeno la bottiglia di lambrusco data come premio di partecipazione. Oggi, i più hanno ricevuto la trentacinquesima bottiglietta di aceto della stagione; qualcuno ha avuto anche un paio di calze (io no), altri, invece dell’aceto, hanno avuto dei wafer. Comunque per due euro va sempre di lusso.
Gli organizzatori dichiarano 1534 pettorali venduti, di cui 182 alla prima società classificata, la solita Cittanova, e 171 alle scuole medie locali (dove fossero questi scolari, proprio non so, né appaiono nelle foto di Teida Seghedoni – vecchia prassi quella delle iscrizioni scolastiche gonfiate per ottenere premi a beneficio della scuola). Nelle foto invece appaiono i soliti partenti anticipati alla spicciolata, e la rarità di quelli che indossano il pettorale. Al punto che suggerirei al regnante governo, in caccia di tasse stravaganti da imporre e di manette da proclamare, di mettere in manette chi si spilla ancora il pettorale, come Massimo Bedini (foto ultima), colpevole di classismo, razzismo competitivo, esibizionismo reazionario e quant’altro volete.
Al di là di ciò, la corsa, assolutamente non competitiva, è consistita nella sua versione lunga (variamente dichiarata di 15, 16, 17 km) in un avant-indree sui due argini sterrati del Panaro, l’antico limes langobardicus ossia il confine tra “Lombardi” imperiali e “Romani” papisti: nell’andata avevamo a destra la “Romagna” e le ex paludi prosciugate dai Benedettini a beneficio dei villici “partecipanti”; al ritorno, dopo il ponte in ferro di Solara (residuato bellico rimesso in sesto: foto 153), la direzione sud ci mostrava a destra una serie di belle ville, dotate un tempo di porticciolo privato sul fiume, che era la via principale per raggiungere Ferrara e Venezia (e ci passava persino il Bucintoro degli Estensi: infatti la destinazione finale del Naviglio, che proprio a Bomporto si staccava dal Panaro nelle chiuse cosiddette leonardesche delle foto 43-50, era il palazzo ducale di Modena centro, antico porto-terminal delle merci). Alcune ville si vedono nelle foto 174 e segg., 191 e segg., 239-265. Abbondano anche gli edifici fatiscenti o terremotati (347, 382, 426…) o (dicono) a volte fatti passare per tali; ma c’è anche (preannunciato da una vistosa tettoia in eternit, foto 96-99) un pittoresco suinificio, che assicura la ricchezza e il prestigio delle nostre terre, almeno finché la cultura dell’ “accoglienza” non ci indurrà a sopprimere l’allevamento di questo animale “impuro” (l’unico, diceva Churchill, che ci guarda da pari a pari).
La distanza effettiva è risultata di 14,4 km; era a disposizione anche un percorso da 8 km, in direzione opposta. Partenza e arrivo non più in centro paese, dove probabilmente imperano le bancarelle, ma in un’area di laghetti, dove galleggiano animali di vario genere (foto 14-17) e altri di più ardua identificazione (18). I parcheggi ogni anno si riducono perché avanzano le costruzioni, di quelle villette che Celati chiamava “geometrili”, tutte uguali secondo le mutevoli mode.
Che volere di più? Nella prima giornata con temperatura autunnale, ci siamo rilassati con poca spesa; le competizioni pancia a terra possono aspettare.

27 ottobre – Il primo a parlarmi bene di questa gara era stato il povero William Govi, che la corse nel suo anno di lancio, 2007. Poi sono venuti i referendum tedeschi della rivista “Marathon4You”, che hanno issato Lucerna al settimo posto assoluto del Centro Europa. In mezzo, ci ho messo una consuetudine più che ventennale con le maratone svizzere, sempre ben organizzate… ecco perché in questa domenica così ricca di maratone europee tra le più famose ho scelto di ripassare il tunnel del S. Gottardo e colmare una lacuna personale. Non me ne sono pentito per niente.
Accanto alla maratona, che ha totalizzato 1064 arrivati (232 donne), più una cinquantina di non competitivi, con una leggera crescita sul 2018, si sono svolte una maratona a staffetta di due, una maratonina (che ha raccolto il numero più alto di partecipanti, quasi 6000 con 1939 donne) , una 10 km agonistica con 2320 classificati (997 donne), più altre gare su distanze minori, compreso il “miglio per l’Unicef” cui eravamo invitati pure noi maratoneti dopo il nostro arrivo (eh no, grazie tante ma scusate...).
A prima vista, il costo dei pettorali può sembrare alto (dai 40-50 franchi per la gara più breve ai 120-140  degli ultimi mesi per la maratona), ma non è colpa degli svizzeri se l’euro - che le veline di questi giorni dichiarano “salvato” da quel certo direttore italico – in pochi anni ha perso il 30% rispetto al franco, e insomma quando cominciai a venire da queste parti, con due euro mi davano 3 franchi, mentre adesso il cambio sta a 1,045. Insomma, è come se, ogni tre euro, uno fosse andato nella cartastraccia. E lo chiamano salvataggio.
Il pacco gara non  è ricchissimo, ma solo in Italia si corre per avere una sporta della spesa (vi ricordate il successo del Custoza? ci veniva gente che non corre mai ma che ci teneva alle 6 bottiglie di vino e al pranzo finale omaggio!); va tuttavia aggiunto che, secondo una consuetudine delle migliori gare svizzere (le immancabili Davos e Interlaken, la grandiosa 100 km di Biel, la Stralugano ecc.), il pettorale dà diritto al trasporto gratuito sui treni, bus, tram ecc., all’interno di tutta la Svizzera (cioè dal confine in poi, da e per il luogo di svolgimento della gara). Provate a immaginare quanto mi sarebbero costati 300+300 km di eurocity svizzero (il Milano-Zurigo, con cambio a Arth-Goldau), e adesso capirete perché il sullodato Govi per risparmiare i pernottamenti in hotel preferisse farsi scarrozzare, nella notte precedente la gara, dalle ferrovie elvetiche…
Non me la sono sentita di fare altrettanto, e anche per il soggiorno ho approfittato di un pacchetto offerto dall’organizzazione: albergo di fianco alla stazione e all’imbarco dei traghetti, colazione la domenica mattina dalle 5.30, sacco viveri per il pranzo della domenica (foto 36; in alternativa, pranzo a prezzo convenzionato), rilascio della camera alle 17. E la donna delle pulizie ha lasciato scritti in camera i propri auguri sulla porta della doccia (vedere l’ultima foto del servizio)!
Rapida la consegna dei pettorali, in un prestigioso albergo del centro, sul lungolago, grosso modo al km 2 del tracciato (foto 1-2), contrassegnato da cartelli “la corsa rende felice / sexy / porta divertimento” ecc.; la città si prepara alla corsa e ha tappezzato le strade di passaggio di grossi cartelli di incitamento in tutte le lingue (3-4). Il sabato è dedicato alla visita della bellissima Lucerna, sita in posizione invidiabile al fondo del lago dei Quattro Cantoni (attraversato al suo termine da due meravigliosi ponti coperti, foto 12 e 25), cinta in alto da mura e torri con un camminamento che va fatto per forza (alla fine il gps dirà che ho camminato una dozzina di km: non sarà la preparazione ideale per la maratona, ma arricchisce lo spirito); dotata di alcune notevoli chiese cinque-seicentesche, e soprattutto di un museo (la Collezione Rosengart) ricco del meglio dell’arte otto-novecentesca: da Cézanne a Modigliani, da Matisse a Mirò, da Braque a Kandinskij, da Klee a Chagall, e soprattutto con una sfilza incredibile di Picasso (saranno cento?), che ti danno i brividi. O voi che esaltate il MoMa (pieno di bella roba ma anche di molto kitsch), date un’occhiata alle foto 26-30, e soprattutto venite al Rosengart, la cui cofondatrice Angela, classe 1932 e più volte ritratta da Picasso, è tuttora attivissima in sede.
Per finire la vigilia, verso sera nel duomo (Hofkirche, di fianco alla consegna pettorali: foto 35) c’è una messa cantata in latino e officiata in italiano da un vescovo missionario in Iraq, che ci racconta le sofferenze della popolazione, specie cristiana, erede di una Chiesa fondata addirittura dall’apostolo Tommaso. Dura un’ora e mezzo ma non ci si annoia proprio. I bambini possono lasciare in fondo alla chiesa le loro biciclettine, monopattini, caschi ecc. (foto 34) Chiamasi civiltà, chiamasi Svizzera.
E adesso, siamo pronti per il ‘lavoro’ per cui abbiamo pagato (anche qui, un cartello lungo la strada dice “non lamentarti, hai pagato per questo”). Il giornalino di gara è ricco di notizie e chiacchiere ma non altrettanto di informazioni pratiche, che invece sono magnificamente spiegate sul sito: il mezzo migliore per raggiungere la zona della partenza (nel parco lungolago attorno al grande Museo dei mezzi di trasporto, altra eccellenza da visitare), stante la chiusura delle strade e il dirottamento dei bus, sono i battelli, gratuiti, che partono a getto continuo dalla stazione treni e terminal bus, anche qui contrassegnati dalle solite sagome di podisti con scritte gioiose: dieci minuti di traversata, con possibilità di ammirare i due lati di Lucerna, altri dieci minuti a piedi per gli spogliatoi e depositi bagagli (in due sedi diverse per uomini e donne) e degli oggetti di valore (custoditi a parte in buste sigillate). Ampia disponibilità di toilette, non solo le Toi-Toi chiuse, un po’ macchinose e puzzolenti, ma anche comodissimi urinators aperti eppure con pieno rispetto della privacy (cioè ognuno fa la pipì da solo e non in un tubo di scolo dove la fanno altri cento): per farsi un’idea, foto 42-64.
Siamo pronti per la partenza, che viene scaglionata tra le 9 e le 9.30 a seconda del tempo atteso da ciascuno, che però è lasciato completamente libero di scegliersi la sua ‘ondata’ (indicativamente, ci sono i pacemakers coi rispettivi tempi, scaglionati lungo circa 200 metri). In effetti, è un po’ crudele che uno che la fa in 5 ore o più sia fatto partire alle 9,30, quando la chiusura del tutto avverrà alle 15 cioè dopo 6 ore dal primo sparo.
Ovviamente il cronometraggio avviene mediante chip (Datasport allegato al pettorale) e col solo tempo netto, come per le gare di massa accade in quasi tutto il mondo tranne che in Italia. I tappeti rilevatori sono sistemati alla partenza, dopo 108 metri e ancora dopo 1586 metri (precisione tipicamente svizzera, che confessa - senza nascondersi nello stile italiano - come la lunghezza complessiva della gara sia di 42,373, ma colloca un tappetino chip anche al 42,233 in modo da soddisfarci pure col tempo ‘teorico’ al passaggio).
In totale, sui due giri della maratona, avremo 14 rilevamenti, ognuno misurato al metro, e dichiarato anche nella sua altimetria (si parte e arriva ai 437 metri slm, ma si sale in tre ascese, tra i km 5/26 e 15/36, fino a 470; il dislivello che dà il mio Gps sarebbe 355 metri).
Chiusura totale al traffico, anche nella zona della stazione dove nei giorni normali si concentrano tutte le vie principali di transito; passaggio spettacolare nello stadio di Horw (km 14/35) dove un maxischermo proietta il tuo incedere per una cinquantina di metri, e altro passaggio all’interno del Museo d’Arte (km 18/39, foto 41) con luci psichedeliche. Segue l’attraversamento delle strade più caratteristiche del centro, oggi rigorosamente recintate (i turisti della domenica possono aspettare: fate il confronto con le maratone nelle città d’arte italiane, dove c’è sempre qualche comitiva di pensionati da scansare), e poi sul lungolago verso il traguardo, dove al primo giro avviene la “Wende” ovvero il “Wechsel” tra staffettisti, al secondo si va invece a sinistra per l’arrivo nel museo dei trasporti.
Percorso quasi sempre panoramico, in parte  lungo il lago, in parte sulle colline dove pascolano greggi e mandrie; nei tratti urbani due muraglie di pubblico incitano, diciamo così, all’americana; ma nell’area di campagna sono gli addetti, numerosissimi, che ci applaudono e incoraggiano. Noto che il tifo è selettivo, informato: nel secondo giro, quando noi maratoneti ormai stanchi siamo affiancati dai velocissimi plotoni di coloro che corrono i 10 km (in discesa da Horw al lago), gli incitamenti sono però riservati a noi soli: il nostro nome, stampato in grossi caratteri sul pettorale (foto 7), è ripetuto dal pubblico, con applausi, offerte di “cinque”, complimenti vari: e se rispondi per ringraziare, o alzi un braccio in segno di saluto, subito il nome rimbalza agli spettatori del tratto successivo. Ad un passaggio per il centro, dove le nostre transenne sono rivestite di plastica o qualcosa del genere, il pubblico fa un rumore dell’ostrega picchiando le mani sul rivestimento. Viene un groppo alla gola: questa gente è qui da 4 ore o più, i primi sono arrivati e già docciati, non sei loro parente, e ancora ti fa il tifo!
Ad accrescere la carica contribuiscono la ventina di gruppi musicali sparsi per il giro (dunque, quasi uno a km): si va dalle percussioni agli xilofoni, dai lugubri corni della Jungfrau al coro vocale, dai pochi complessi rock alle tante bande impegnate sul repertorio più vario: verso Horw, mi sento costretto a mettere le parole alla musica di “…uno a te, uno a me, tanto facile è sognar… ti voglio bene, ma bene tanto tanto…” .
E se ti viene la gola secca, ecco un ristoro circa ogni due km: bevande sempre in bicchieri di carta (l’idrosalino ti lascia un simpatico retrogusto di… sardine in scatola), acqua freschissima, banane, barrette energetiche. La salita più dura del km 8/29 trova al culmine un ristoro ufficiale, ma un mezzo km prima un abbeveraggio ‘privato’, gestito da bambine biondissime di 6-7 anni al massimo: anche questa è civiltà,  impossibile non fermarsi!
Se proprio devo muovere un appunto, è per la mancanza di spugnaggi, di cui non avevo letto niente: peraltro, come da abitudine parto con la spugna personale, che intingo o nei bicchieri d’acqua o nelle tante fontane pubbliche. In ogni caso, la temperatura non supera mai i 20 gradi, alle mie andature non si suda granché.
Dal km 41 al traguardo non si arriva mai… per forza, sono quasi 1400 metri misurati. Medaglia dal disegno originale (una nave, il profilo della città, le onde e i podisti), birra, mela, borraccia (vuota, sta scritto sull’involucro, casomai che qualche americano la credesse piena). Un po’ caotico il piazzale del ritrovo, per fortuna i box delle informazioni ti indirizzano prima agli spogliatoi e poi alle navi del ritorno (attraversando il museo e sovrappassando con un ponte il viale d’arrivo: 65-66). Di nuovo l’imbarco e il panorama dal lago, col rimpianto che sia finita.
Ha vinto il tedesco Kay-Uwe Müller in 2.27, con sei minuti sullo zurighese  Philipp Arnold; tra le donne, la svizzera Franziska Inauen in 2.55, un minuto e mezzo davanti alla connazionale Miriam Niederberger. Nella mezza, Niel Burton da Basilea in 1.06:38, tre minuti davanti al connazionale Elias Gemperli; svizzere anche le prime due le donne,  Melina Frei 1.17:52 su Flavia Stutz 1.20:36. Gli italiani censiti sono 28 in tutto (8 maratoneti); all’expo, le uniche due pubblicità italiane sono la maratona di Padova (in inglese) e la mezza di Verona (solo figure).
Con tutto comodo, si prendono i treni (gratuiti) del ritorno: la stazione brulica di podisti. Il mio eurocity per Milano viaggia con puntualità svizzera fino a Chiasso; da lì in 60 km (gestione FS, a pagamento) fa 28 minuti di ritardo, senza che l’altoparlante dica beo, e ovviamente si guardi bene dall’annunciare che hai perso la coincidenza. Bentornati in Italia.

Più di quindicimila appassionati, di 19 nazioni, hanno partecipato al referendum indetto per la 14^ volta dall’egregio magazine tedesco Marathon4you.de per scegliere le migliori maratone dell’anno 2018 nell’area germanofona.

https://www.marathon4you.de/voting/

Ha rivinto, per la quinta volta consecutiva, il Rennsteiglauf, molto più di una maratona annoverando distanze varie, dai 75 e 42 km delle due gare principali (che partono rispettivamente da Eisenach, la città natale di Bach, e da Neuhaus, nel Land di Sassonia) fino a gare più brevi, per concludersi nella pittoresca conca collinare di Schmiedefeld, dopo percorsi quasi totalmente boschivi.

Al secondo posto si è piazzata la maratona di Francoforte, certamente la più continua nei favori dei praticanti, dato che dall’inizio del concorso è scesa dal podio delle prime tre soltanto una volta. Terza per il 2018 è risultata la maratona della Jungfrau, con partenza dalla svizzera Interlaken e arrivo a quota 2100, in un scenario che non ha uguali, e che si sposa ad una organizzazione semplicemente perfetta.

Da notare che il vertice della graduatoria mette insieme una maratona extraurbana-collinare, una totalmente cittadina e una di alta montagna, senza distinzioni ‘puristiche’.
Quarta assoluta è la maratona di Colonia, relativamente poco conosciuta dagli italiani (e invece meriterebbe, se non altro per la bellezza della città); quinta la maratona di Berlino, quella che ogni anno stabilisce nuovi record. Sesta è Hannover; settima è un’altra svizzera, la relativamente giovane Lucerna. Mentre per incontrare la prima austriaca bisogna scendere al decimo posto, dove troviamo non Vienna (scesa al 30° posto assoluto) ma la maratona del Danubio di Linz, seguita da Salisburgo e dalla “Maratona delle tre nazioni” (Dreiländer), che in Austria ha il traguardo (Bregenz), ma in Germania la partenza (nella stupenda lacustre Lindau) e un passaggio in Svizzera. La quale Svizzera colloca al terzo posto nazionale la maratona di Zermatt, che si arrampica fino ai piedi del Cervino (in sostanza, a immagine e somiglianza di Interlaken-Jungfrau).

Le classifiche “di specialità” regalano qualche soddisfazione all’Italia tra le maratone di montagna: dopo l’inarrivabile Jungfrau, e la Allgäu (ultramaratona della Baviera), si piazza terza la maratona di Bressanone (17^ nella classifica generale), davanti a due svizzere, Zermatt e la decaduta Davos; al sesto posto abbiamo poi la maratona dello Stelvio, e al nono quella del Rosengarten di Sciliar.

Il Rennsteiglauf, come detto, è anche la prima tra le maratone extraurbane-collinari, seguita dalla piccola ma bellissima gara di Monschau (che chi scrive si è permesso di raccomandare due mesi fa) e dalla renana Bottwartal; quarta assoluta è la già citata Tre Nazioni, che precede la Oberelbe, suggestiva maratona in linea lungo il corso del fiume Elba, con arrivo a Dresda (la quale Dresda annovera anche, al 24° posto generale, la sua maratona urbana).

Una classifica da tener presente, per chi volesse programmare una gara un po’ fuori dagli “influencer” soliti.

 

Devo emendarmi: raccontando della mezza maratona di Correggio, nelle ultime righe, con l’intenzione di fare un complimento agli organizzatori e giudici, avevo scritto

Da notare (come mi risulta confrontando  i tempi ufficiali con quello visto sul display all’arrivo e quello del mio cronometro) che la classifica è data secondo real-time e non col gun-time. Più che giusto.

http://podisti.net/index.php/cronache/item/5037-correggio-re-36-camminata-di-san-luca.html

Volevo dire: “benvenuti in Europa”. E invece dalla Toscana mi arriva (colla soliha sihumera he honosciamo diggià da un rescente hapo deggoverno che aggoverno sciè appena hornaho mappoi sé ddefilaho), la reprimenda:

E bravo il prof. Marri!!! Viva il "real time", alla faccia di tutti i regolamenti! Deve studiare Professore. Soprattutto il regolamento delle corse su strada.

I giudici-cronometristi di Correggio (cioè la Uisp di Reggio) mi hanno precisato “Alla gara di Correggio non c'era il real time. Certo che come Uisp rispettiamo le norme sul cronometraggio”. Dunque non mi resta che ammettere l’errore: il tempo delle classifiche è quello “sporco”, lasciamo pure che all’antiregolamentare tempo netto si adeguino horsette da ddù soldi come le maratone di New York, Berlino, Chicago, Interlaken, Nashville eccetera straeccetera (e pure Egna e Carpi, ai tempi della Buonanima): nemmeno loro hanno ‘studiato’ il glorioso regolamento italico, che vergogna. Dobbiamo invece essere orgogliosi della nostra italianità, o come dice Vasco Rossi: “siamo solo noi”.

Ma come mai uno solitamente così pignolo e cavilloso come iMMarri l’ha sbagliaho? L’aveva scritto: confrontando  i tempi ufficiali con quello visto sul display all’arrivo e quello del mio cronometro. E – aggiungo -  coi fotofinish di Morselli, forse non omologati dall’Uisp né dall’orologio del campanile di Giotto, eppure visibili online:

1 - la classifica ufficiale mi dà con lo stesso tempo di un altro atleta, eppure le foto del mio stanco arrivo mi documentano in perfetta solitudine. Perché il nostro tempo coincide?

2- la stessa classifica ufficiale mi accredita di 2.10:49  quando la foto scattata appena dopo il traguardo mostra il tabellone che segna 2.11:14. Guarda caso, 2.10:49 è lo stesso tempo registrato dal mio cronometro, fatto scattare al passaggio sotto l’arco di partenza e non al momento dello sparo.

D’accordo, mi sono basato su una singola rondine che – purtroppo – non ha fatto primavera. Peccato. Ritiro i complimenti, e soprattutto, con amarezza, il “benvenuti in Europa”.

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