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Feb 05, 2020 Comunicato Stampa 2333volte

Minnesota (USA ) - Simone Leo racconta i 217 km della sua Arrowhead135

Simone Leo in azione Simone Leo in azione Foto Ufficio Stampa Leo

Ha raggiunto il traguardo dopo 59 ore di gara e 217 chilometri percorsi tra i sentieri innevati del Nord Minnesota (USA). E' stata una vera avventura quella vissuta da Simone Leo, l'ultramaratoneta originario di Novara (cinisellese di adozione), che pochi giorni fa ha portato a termine la sua nuova sfida: la Arrowhead135 Ultra, gara di endurance in completa autonomia, considerata tra le più fredde e difficili al mondo.

Insieme ad altri 68 atleti (160 gli iscritti nelle specialità bike, ski e foot), ha percorso un trail innevato lungo 217 chilometri, attraversando laghi ghiacciati, boschi e radure con un continuo saliscendi per circa 2100 metri di dislivello positivo. Ha corso e camminato a temperature costantemente al di sotto dello zero e con punte di -23 gradi di notte. Per tre giorni e due notti gli atleti hanno dovuto gareggiare senza alcuna assistenza esterna e contando solamente sui materiali e i rifornimenti contenuti nella slitta che hanno trascinato lungo il percorso. Hanno potuto contare solamente sull'assistenza fornita nei tre checkpoint ufficiali sparsi sul percorso.

Nonostante una flebite e un problema muscolare alla schiena, Simone ha raggiunto il traguardo di Fortune Bay, portando a termine la sua prova nel tempo utile, nonostante in questo tipo di gare ogni anno si registrino percentuali di ritiri molto elevate. Quest'anno sono stati solamente 46 gli atleti giunti al traguardo tra i runner. Simone è arrivato al termine stringendo tra le mani una maglietta dedicata all'alpinista amico Daniele Nardi (scomparso nel febbraio del 2019 su una parete del Nanga Parbat), con il quale aveva progettato questa avventura. Ha poi festeggiato con la bandiera tricolore e con il vessillo di Cinisello Balsamo, la città che lo ha adottato e che ha sostenuto fin dal principio la sua impresa.

Una gara che Simone ha definito un viaggio, sia fisico che interiore. E che spiega in questa intervista.

Simone, hai preparato questa sfida per mesi, ora che l'hai corsa cosa rappresenta per te Arrowhead?
“Significa estremo. L'estremo vero, quello con cui non si scherza e che ti mette a nudo. Ti fa tirare fuori la parte migliore di te per cercare di raggiungere l'obiettivo. Da questo punto di vista, Arrowhead135 resterà sempre nel mio cuore nonostante la fatica immane che mi ha fatto provare”.

Quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato in gara?
“È una gara dalle mille difficoltà, prima fra tutte la neve non compatta che ha causato non pochi problemi nel traino della slitta. E poi il freddo intenso e continuo, a cui il mio organismo non si è abituato subito. Il respiro era a tratti difficoltoso. Ed infine la schiena che, sotto il peso della slitta, ad un certo punto si è piegata creando enormi disagi nella seconda parte di gara”.

Quali invece le emozioni che hai vissuto in gara?
“Per la prima volta ero davvero ‘into the wild’ e sapevo che ero andato un po' a cercarmela questa sensazione. Emozioni contrastanti come in ogni Ultra. Amplificate di molto per l'ambiente ostile. Dalla rabbia del dolore alla schiena alla gioia di arrivare ai checkpoint, dall'apatia della notte da solo all'euforia del traguardo”.

Un momento particolare che ricordi di questa esperienza?
“Quando, dopo 3 ore di rallentamento dovuto all'attesa di un medico che poi non sarebbe mai arrivato (a 90 km dal traguardo l'organizzazione ad un certo punto sembrava volesse fermarmi perché non riuscivo a stare dritto con la schiena), ho ripreso ad andare a buon ritmo. Un altro concorrente mi aveva fatto notare che avevamo ancora margine per restare in gara fino al traguardo, dandomi stimoli e forza. È stato un vero e proprio ‘ritorno in vita’ sportiva dopo ore di crisi. È il vero momento ultra”.

Hai davvero pensato al ritiro?
“Ad un certo punto si. Ed è stata la prima volta in carriera. Vedevo tutto nero, non vedevo soluzioni. Ero solo, infreddolito, acciaccato e lento. Per fortuna anche stavolta la mente ha vinto sul corpo e l'abbiamo portata a casa”.

Cosa si prova a trovarsi per una notte intera a camminare e correre nel buio e nella neve?
“È una cosa difficile da raccontare. È un'emozione totale, amplificata dalla fatica e dalla sofferenza. Da solo, di notte, in salita, dopo 130 km e con 90 km ancora da percorrere, con 20 gradi sottozero. Devi essere lucidamente folle per poter affrontare una cosa del genere. È un viaggio dentro di te che ti mette a nudo e ti fa tirare fuori il meglio (o il peggio) di te. Sei lì da solo e puoi contare solo su te stesso, zero chiacchiere”.

Cosa ricorderai di più di questa avventura?
“La natura selvaggia, il freddo vero, l'amicizia del mio team e la soddisfazione enorme di un'impresa vera e di una promessa mantenuta. Siamo stati bravi, ma anche fortunati a trovare partner validi, che mi hanno fornito i materiali tecnici giusti. Loris Zoppelletto e i suoi magici integratori, e le tante persone che hanno contribuito a questa sfida”.

Ora come pensi di raccontarla?
“Mi piacerebbe poter incontrare gli amici e gli appassionati di sport in serate a tema. Ma desidero andare anche nelle scuole, nelle aziende. L'ultramaratona è una perfetta metafora della vita. Nelle difficoltà, tiri fuori il carattere e alla fine vinci”.