50 km di Calabria: tra due mari e un “parco eolico”
Curinga (CZ), 8 ottobre - Il pieno di lipidi, glicidi e protidi si è fatto la sera precedente la gara, all’aperto, in una stradina del centro storico, al chiaro di luna di un’estate che sembra non finire mai. L’indomani attendeva un’ultramaratona di 50 km in montagna o, in alternativa, una 8 ore sullo stesso percorso. Quest’ultima è una gara a tempo spuria, riesumata da Paolo Gino e Massimo Faleo. «Perché non dare la possibilità di esibire tutta la propria forza esplosiva a coloro che sono in grado di correre per 480 minuti consecutivi?» si sono detti. Altri, invece, insinuano essere un espediente per far racimolare una “tacca” a quelli che hanno difficoltà a correre una maratona in sei ore.
L’evento si è sviluppato in quella parte stretta della Calabria, compresa fra il golfo di Sant’Eufemia da un versante e di Squillace dall’altro, che ha per epicentro Curinga. È dai circa 300 metri s.l.m. di piazza Immacolata di questa città, che una cinquantina di partecipanti si appresta a dare l’attacco alle Preserre catanzaresi. Bisogna inerpicarsi per 25 km fino agli 881 metri di monte Contessa, godere della vista eccezionale del mare Ionio e Tirreno, ritornare verso Curinga, superarla, e discendendo sempre a rotta di collo, raggiungere la sua frazione di Acconia, situata al 44° km, nella piana di Lamezia Terme. Quelli della 50 km pongono fine alla loro fatica inanellando sei giri di 1 km intorno al paese, mentre lo show muscolare della 8 ore continua fino allo scadere del tempo.
Alla partenza, si rinnova il rito inaugurato fin dalla prima edizione della 6 ore per le strade di Curinga. La solita vecchietta spande sui concorrenti petali multicolori, che hanno il valore di viatico.
Il percorso impegnativo impone un ritmo lento, per cui si ha tutto il tempo di ammirare su una radura, ai piedi di un colle boscoso, l’Eremo di S. Elia Vecchio, edificato dai monaci basiliani; e a pochi metri di distanza il maestoso Platano di Vrisi, che si staglia da più di mille anni, forse piantato dai monaci. Alto 20 m e con tronco di 18 m di circonferenza, è forse il più antico d’Italia e, nel 2021, proclamato secondo albero più bello d’Europa.
Nel salire di quota il paesaggio mediterraneo viene sostituito da quello alpestre. Il respiro diventa affannoso e il cuore moltiplica i battiti. Abbondano faggi, querce, lecci e abeti, tanti da darmi la sensazione di correre la Pistoia-Abetone.
Il picco altimetrico viene toccato in località Fossa del Lupo, dove l’asfalto cede il passo allo sterrato e la salita al falsopiano: il tratto più bello di tutto il percorso. Il sentiero è ampio, la faggeta maestosa, qua e là interrotta da distese prative, ideale per uno sviluppo turistico. Senonchè, proprio questo sito di alto valore paesaggistico risulta sfregiato da gigantesche pale eoliche. Per parecchi chilometri vi corriamo quasi a contatto. Nel loro perenne roteare emettono un frastuono infernale che solo il Poeta sarebbe in grado di descrivere. E il pensiero va a quando, una ventina di anni fa, si cominciò a deturpare i monti Dauni con questi mostri. Solo adesso mi rendo perfettamente conto dello strazio dei contadini: «Noi siamo gente semplice», si lamentavano in una intervista televisiva, «sui nostri terreni fanno ciò che vogliono. Non abbiamo la forza di opporci alle prepotenze. Da quando hanno piantato quei mostri, le pecore non danno più latte!».
Finalmente, si giunge al momento clou dell’ultramaratona, il luogo dove l’altitudine permette la visione dei due mari, tanto attesa. Le nubi e la foschia ne impediscono lo scenario, che dovrebbe essere impareggiabile con il cielo limpido. Ma ben visibili, a far bella mostra di sé, sono quelle mostruosità, disseminate da ogni parte. Eufemisticamente, li chiamano parchi eolici! Per quanto mi sforzi, riesco a scorgere gli agglomerati di Jaccurso, Maida, Cortale e Girifalco, ma nessun complesso industriale! Dove va a finire tutta quella energia elettrica?
La risposta me la dà il più battagliero difensore del territorio, Matteo Anania, responsabile del ristoro del 25° km: «Quell’energia produce ricchezza altrove. A noi il peggio, agli altri il meglio. Ci trattano come una colonia e condannati al sottosviluppo eterno. E i “mantenuti” saremmo noi!».
Si va di gran galoppo in discesa. La temperatura continua a rimanere fresca, nonostante siano ricomparsi gli uliveti e gli agrumeti. Il mar Tirreno appare in tutto il suo splendore. Si raggiunge e si supera Curinga, pittorescamente allungata su un pendio. Prima di tagliare il traguardo di Acconia, l’ultramaratona ci offre un’altra perla: le Terme Romane.
Nella 50 km, Leonardo Sestito ha impiegato 3:48:51 e Alisia Calderone 5:16:21, su 21 classificati.
Nella 8 ore, Luigi Sacco ha percorso 69,029 km e Barbara Cosma 48,630 km, su 15 classificati, il numero minimo per guadagnarsi la “tacca”, secondo l’astruso Regolamento del CSMI.
Ero venuto all’ultramaratona soprattutto per la visione dei due mari, mancata per le condizioni atmosferiche. Mi riporto l’ammirazione per la passione profusa dall’organizzazione, che ampiamente mi ripaga.
Cominciata con la cena pre-gara, la 50 km di Calabria ha chiuso i battenti con quella post-gara.
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