3^ Neapolis Marathon, cinque ore senza l’ombra di un’auto
1° ottobre - Partenope è città ideale per una gara lunga 21 km. Schiacciata dal mare e dai monti, appare bellissima, ma inadatta a sopportare una maratona. La sua orografia, croce e delizia, darebbe luogo a un percorso molto impegnativo. Poi, dal punto di vista urbanistico è unica. Con i suoi quasi 3000 anni di storia, è il risultato della stratificazione verticale di almeno tre città poste una sull’altra. In principio fu Parthenope, poi Neapolis, greco-romana, e attualmente Napoli, sorvolando sull’espansione dell’epoca normanna, angioina, spagnola e borbonica. Non è finita! È l’unica metropoli al mondo ad avere la periferia (i quartieri spagnoli) nel centro della città. Un ultimo dato: la densità di popolazione della provincia è di circa 2597 abitanti per km² (segue Milano con 1445), e le “case con altissime fabbricate in strade strette”, riporta una descrizione settecentesca.
Nonostante tutto, Vincenzo Maiorano, Rocco Cilla e compagni si sono lanciati nell’impresa di riproporre la Neapolis Marathon, accordando cinque ore di tempo massimo nelle prime due edizioni, e allungando a sei quest’anno.
Accolti nelle curve ellittiche dei colonnati di Piazza Plebiscito e protetti dal Palazzo Reale che la chiude, scalpitano i podisti delle tre gare in programma. Al loro sguardo si apre il golfo di Napoli, mentre alle spalle si insinua il profumo delle sfogliatelle del Gran Caffè Gambrinus.
Di primo mattino si sciama sul lungomare “sotto il cielo più puro” (Goethe), “l’aria “fresca e fina e il mare liscio e turchino” (Di Giacomo). Non ho la distanza della maratona nelle gambe, sono venuto a godermi l’umanità e i colori di Napoli, e gustare il senso di benessere che segue a uno sforzo intenso e mai portato all’eccesso. La visione indugia su quanto c’è di bello lungo questa riva occidentale del Golfo, che ha creato il “mito di Napoli”. Ho gli occhi rivolti sul borgo marinaro di Santa Lucia, su Castel dell’Ovo, sulla fila degli storici hotel, sulla strana conformazione di Capri, che emerge come una sirena dal mare luccicante, e mai puntati sull’anonimo orologio che ho al polso.
Per qualche chilometro il mare si cela al mio sguardo, ma l’atmosfera continua a infondere gioia all’animo. Mi trovo sulla riviera di Chiaia, che mostra splendide architetture, dimore patrizie e giardini resi lussureggianti dalla cenere del Vesuvio.
Si ritorna sul lungomare per giungere a uno dei siti più poetici della città, l’insenatura di Mergellina, dove la costa diventa alta e ci costringe al giro di boa.
Ora, il Golfo appare in tutta la sua immensità e lo scenario spazia fino alla certosa di S. Martino, a Castel S. Elmo e alle sonnacchiose gobbe del Vesuvio.
I chilometri lungo la falce del porto sono avari di palazzi aviti. Ristrutturati di recente e abbelliti con altissime washingtonie, li percorro alacremente sull’asfalto scorrevole.
Nel ritornare verso il centro, le architetture ricompaiono a bizzeffe sul Rettifilo. Si attraversa Piazza Municipio, che appare immensa dopo annosi lavori di ristrutturazione, e si passa davanti al celebre tempio della lirica, il San Carlo. Primo del genere nel mondo, quando nel 1737 fu costruito in otto mesi, un’ampia piazza gli conferiva maggior rilevanza. Attualmente, la sua facciata è oscurata dalla grandiosità della galleria Umberto, e qualche maligno ritiene essere il tentativo di cancellare i meriti di una dinastia perdente e rimarcare il nuovo corso monarchico.
Transito in Piazza del Plebiscito, dove quelli della 21 km concludono la loro fatica, in 2:38. È stata la più bella prima parte di maratona cui abbia partecipato, per il percorso, l’organizzazione e l’atmosfera silenziosa in cui ho corso. Tutto ha funzionato alla perfezione. Delle macchine, neppure l’ombra. Non dico sul percorso, neppure nelle immediate vicinanze ne scorgevi una! Dove le hanno bloccate? Sulla tangenziale?
Nello scendere nuovamente verso il mare, in questa maratona che prevede il doppio giro, il sole è alto e il caldo si fa sentire. Gradualmente, risalgo molte posizioni e raccolgo atleti vacillanti: molti hanno fatto avanzata francese e ritirata spagnola! Ho sempre in mano una bottiglietta d’acqua. Ai ristori, mastico lentamente un pezzettino di banana, e ogni dieci chilometri sciolgo in bocca una caramella che, prudentemente, porto sempre con me: ho in odio integratori e barrette! Il lungomare è ancora tutto a mia disposizione. Solo il marciapiede è occupato dai passanti, che hanno rotto la quiete che regnava nel primo giro. Le macchine continuano a latitare.
Taglio il traguardo in 5:13:03, qualche minuto in meno del tempo impiegato nel primo giro. Non perché abbia particolari doti di resistenza, semplicemente perché ho affrontato la fatica con giudizio e senza obiettivi velleitari. Ovviamente, se il tempo limite fosse stato di cinque ore, non avrei avuto problemi ad accentuare il ritmo.
Mi riferiscono che gli ultimi concorrenti sono stati ostacolati dalla riapertura del traffico automobilistico. Ritengo, tuttavia, che il tentativo di portare il tempo massimo a sei ore abbia avuto esito positivo. La ciambella non è riuscita con il buco perfetto, lo sarà la prossima volta. I napoletani sono i migliori del mondo a realizzare ciambelle e sfogliatelle. Sono circa cento i podisti che hanno tagliato il traguardo dopo la quinta ora. Perché perderli?!
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