Cantalupo Ligure (AL), Villaggi di Pietra: gara fortunata finché va bene
Gara storica, giunta alla 13ma edizione nella versione da 77 km, ma al debutto come “Villaggi di Pietra” con i suoi 108 km e 6200 mt. di dislivello positivo, quella organizzata dall’ASD “Gli Orsi“ con partenza il 18 maggio e arrivo (il 19) nella località di Cantalupo Ligure, posta a 400 mt. di quota. Il percorso di gara descrive un ampio anello all’interno della valle Borbera, che prende il nome dall’omonimo fiume che ha tagliato nella montagna un solco profondissimo prima di gettarsi nello Scrivia più a valle. La conformazione della valle, incastonata tra alte vette che l’hanno resa poco accessibile, l’ha salvata dalla industrializzazione spinta mantenendone quindi un carattere selvaggio, che è ormai raro riscontrare anche in alta montagna.
La corsa raggiunge nel punto più alto i 1700 mslm mantenendosi per moltissimi tratti tra i 1000 e i 1400 mt, con un continuo susseguirsi di discese e risalite anche di notevole lunghezza e discreto impegno come percentuale di pendenza, la prima che si incontra al 3° km, dopo il primo degli attraversamenti del Borbera su un caratteristico ponte pedonale ad arco talmente ripido che la parte a sinistra orografica del fiume è attrezzata con traversine trasversali per impedire pericolose scivolate: salita molto ripida appunto, ed in parte esposta pur se attrezzata con funi d’acciaio, che in 3 km ci fa salire di 450 mt. Fortunatamente il terreno, pur se umido, non era bagnato, nel qual caso le difficoltà sarebbero state di ben altro livello.
Raggiunta la Croce degli Alpini e accesa la frontale si scende un breve tratto fino al 12° km, primo ristoro liquido o meglio punto-acqua, perché di quello si trattava per la coda della gara, di cui il sottoscritto è ormai componente abituale; altre ascese e poi lunga calata su Cabella Ligure dove si trova il primo dei tre ristori “liquido + solido+ caldo“ (cito dal road book della gara): in realtà si tratta di penne asciutte con olio o pomodoro e qualche pezzetto di torta e arance. Vero è che la gara è costola della più rinomata ”PdP“, famosa per essere in totale autonomia alimentare, ma un brodo caldo nella notte con due pezzi di formaggio avrebbero costituito l’elisir a cui ogni trailer aspira per recuperare energie.
Pazienza, si riparte per 1.500 metri nell’alveo del fiume con un vento gelido che, complici gli indumenti bagnati, aiuta non poco il blocco della digestione del lauto pasto appena consumato; terminato il tratto, indosso comunque la giacca pesante che pur facendomi sudare nella successiva salita mi salva da sgradite sorprese fisiologiche durante l’ascesa al Monte Antola, che inizia con una interminabile strada carraia dove sicuramente i primi hanno mantenuto un passo di corsa, per proseguire con un monotraccia strettissimo nel bosco che si avvitava su se stesso in arzigogolate evoluzioni senza soluzione di continuità. Finalmente allo spuntare di un’alba assai suggestiva si usciva in campo aperto e dopo un ristoro “solo liquido” si partiva per gli ultimi 8 km che ci separavano dalla vetta del citato Antola, ora su crinali e sentieri più ampi che permettevano bellissime vedute sulle vette circostanti illuminate da uno splendido sole che era nel frattempo sorto. Scollinato, una lunga e decisa discesa ci porta nella valle dei Campassi (dal nome dell’omonimo ruscello). Si tratta di una gola profonda 600/700 metri all’interno della quale incontreremo gli antichi resti dei villaggi abbandonati che danno il nome alla gara: parliamo sempre di sentieri molto ripidi e stretti che risalgono a brevi tornanti e richiedono massima attenzione, tanto più che in questo tratto, se ho ben capito al briefing pre gara , non esiste copertura telefonica, e di addetti in giro non ne ho visti molti.
Si arriva quindi a Vergni, località che nel periodo invernale conta 5 abitanti, sede del secondo ristoro completo, ma la musica non cambia: o mangi quella minestra…. La mia onnipresente assistenza personale, nella persona di Marina, mi salva ordinando al bar un panino al salame, un paio di birre e un caffè (che non berrò per la rottura della macchinetta); integro con cioccolata e formaggio “di casa“, e dopo un cambio di scarpe e maglie riparto come nuovo; ed è una fortuna perché quello che ci aspetta non sarà proprio una passeggiata: inizia una serie di temporali che trasformeranno gli ultimi20/25 km in un’impresa per restare in piedi con una serie di salite su sei o sette vette sui 1600 mslm da salire per carraie direttissime con solchi profondi una ventina di cm fino alle vette, per ridiscendere per un paio di 100 mt e risalire nuovamente, il tutto appunto per sei/sette volte: certamente monotono considerando l’assenza di qualsiasi vegetazione o curva del sentiero a dare almeno un’idea di varietà.
Valicato infine il Monte Ebro, dove ho sentito dire che se non tira vento freddo bisogna preoccuparsi (ma oggi è tutto “in regola“) si arriva al rifugio Orsi dopo la discesa di un ripidissimo tratto di sentiero dove il fango ha uno spessore di almeno 30cm; salto il ristoro, tanto mi dicono di avere solo tè, e raggiungo con l’amico Filippo, conosciuto in corsa, l’ultimo cancello orario dei 100 km: abbiamo quasi tre ore per gli ultimi 6 (oppure 8) km (nessuno mi ha chiarito l’arcano), e sarà tutta discesa, scomoda, ma discesa. Dico a Filippo di fare il suo passo e non sentirsi obbligato ad attendermi, e con molta calma arrivo al traguardo non tralasciando però di scivolare con le terga nel fango 300 mt prima della fine del sentiero: dopo 107 km ci voleva.
Purtroppo l’arrivo sarà il più insipido ( e non vorrei usare altri aggettivi più idonei ) che ho vissuto nei miei 10 anni di trail: all’ingresso della palestra in uno spazio di due metri quadri con le scale a destra e la porta dell’ascensore di fronte, con una signorina che mi prende il tempo elettronico e due persone che mi invitano a ritirare il premio di fine gara, una maglietta bianca con un piccolo logo “Porte di Pietra“ e una dozzina di sponsor. Ca….voli, ma bene o male ho corso 108 km, e non 77!! Buono invece il pasta party con un’ottima zuppa che (come dico ai gentili volontari) avrei pagato cifre importanti per avere in gara, spezzatino , dolci e financo un bicchiere di bianco.
Gara sicuramente per uomini duri, personalmente non la rifarei: la sicurezza alla mia età è fondamentale, e sentirsi dire dagli organizzatori alla partenza che in 12 anni non è mai successo nulla, ma di stare attenti per tratti esposti, il che nei 16 km scoperti dalle linee telefoniche mi ha indotto in scongiuri e toccamenti, visto che stavamo iniziando la 13ma edizione.
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