Brixen Marathon con quattro occhi e quattro scarpe
Tornavo a Bressanone (intendo come partecipante della maratona) per la prima volta dopo l’edizione inaugurale del 3 luglio 2010, che fu ultimata da 204 atleti in tutto. Ho percepito qualche piccola differenza nel percorso della seconda parte, forse leggermente indurito (ma certamente il muro del Monte Telegrafo, 400 metri di dislivello da scavalcare fra il km 39 e il 41, è tal quale) e con più tratti di sentiero; diciamo, più trail che ecomaratona.
Curioso che nel 2010 il dislivello complessivo fosse indicato in 1890 metri, approssimati molto per difetto rispetto ai 2450 dichiarati oggi. Negli ultimi 23,200 della mia parte di staffetta il Gps mi segna 1315 metri di salita e 360 di discesa, specie dopo i km 25, 32 e 37 (intendo della distanza complessiva; togliete 19 e avrete il resto toccato al secondo frazionista).
Identica comunque è stata l’impressione, di allora e oggi: il percorso è tra i più belli d’Italia, probabilmente ispirato dalle due maratone svizzere della Jungfrau (la più bella al mondo, lo sostengo e ci pongo la questione di fiducia) e di Zermatt, che però sono meno dure. In particolare, la salitaccia sopra accennata ricorda la morena della Jungfrau, quella dove un lugubre suono di corno echeggia durante l’ascesa, mentre allo scollinamento intorno al km 41 sono le allegre cornamuse ad annunciare che d’ora in avanti c’è solo discesa.
Qui, dalla seggiovia dell’Ochsenalm (a 2080 metri) fino al Telegrafo (2486) e alla Plose (40 metri più bassa) non ho sentito musiche; ma solo un addetto che, a metà della salitaccia (fatta ai 19’/km), mi ha detto “coraggio, da qui in avanti non è che sia pari, ma è un po’ più facile”: infatti il mio ritmo è salito ai 17’/km…, per raggiungere addirittura la velocità “incredibile! Pazzesca!” (uso i due aggettivi pressoché unici di Sandro Piccinini dopo ogni rete dei Mondiali) di 6:56 nell’ultimo tratto discendente, decisamente cambiato rispetto all’antico.
Torno appunto alle edizioni dei primi anni: la gara riscosse un successo così-così in Italia, e invece grandi riconoscimenti nel nord Europa; nel 2012 venne classificata, da un referendum online lanciato in Germania, come la 37^ miglior maratona tedesca; nel 2013 diventò la 61^ al mondo (unica italiana fra le prime cento).
Scorro adesso le graduatorie d’arrivo del 2018: tra i 550 classificati complessivi (320 della maratona individuale) ci stanno 125 tedeschi, 33 austriaci, 21 svizzeri. E gli italiani? 134 da Bolzano e provincia (soprattutto da Bressanone); ma solo 3 da Trento; nessuno dalla confinante Belluno (che proprio in questo sabato ha spostato la sua ecomaratona che era sempre stata la settimana precedente),4 da Forlì- Cesena, però di qualità perché vanno dal primo assoluto della maratona, Lucchese, al 248° uomo e alla 63a donna, i coniugi Luciano Bigi e Monica Esposito, già coppia presidenziale del Club Super Marathon (scelgo loro per la foto di copertina, e i campioni per una volta si adatteranno).
Ufficialmente due soli verrebbero da Milano. Ma ce n’era almeno un altro, camuffato da ‘reggiano’ per doveri d’ufficio: Maurizio Lorenzini, ideatore e primo titolare della staffetta Podisti.net con sede sociale a Reggiolo, RE. Gli cedo la parola. [FM]
Sabato 7 luglio, ore 7.30, parte la maratona individuale che porterà gli atleti da Bressanone, o Brixen, come si dice più volentieri da queste parti, alla cima Plose. Non sono tra questi: già, l’idea è quella di fare… una mezza maratona, condividendo la fatica dei 42,195 km con Fabio Marri. Alle 8 tocca alla mia frazione, la prima. Il cambio sarà ad Eores, dopo 19 chilometri; alla fine saranno 1000 i metri di dislivello positivo, però concentrati in circa 14 chilometri, dato che i primi 4 sono in piano e gli ultimi 1500 metri sostanzialmente a scendere. Ciò rende un po’ più impegnativa la parte in salita.
I primi chilometri sono quindi facili, con alcuni tratti addirittura in discesa, poi si esce dall’abitato cittadino e … si sale. Ristori sin dal km 3, se ho contato bene in totale erano addirittura 6, un’ottima cosa, dato che la fatica e l’altitudine rendono ancora più importante una corretta e continua idratazione.
Si alternano dei tratti più duri ad altri più facilmente corribili, in parte su asfalto ma spesso anche su sterrato e sentieri boschivi ben battuti e, direi, mai pericolosi. Ciò che ti aiuta è lo scenario circostante: per uno come me, cui piace la montagna, è davvero il massimo. Aggiungo che per tutta la mia gara ho cercato sempre di non fare ‘fuori giri’, anzi, di stare un po’ lontano dalla zona rossa. Una scelta ben precisa, se non sei allenato a dovere per questi percorsi e, soprattutto, vuoi godertela un tantino. Al km 11,4 c’è il primo cambio della staffetta 4 x 4: era prevista anche questa formula, oltre alla nostra 2 x 2. Altro ristoro. Abbiamo appena passato i mille metri di altezza, la temperatura è ottimale anche perché il sole ogni tanto si nasconde.
Azzeccata quindi la scelta di correre con la sola canotta, rigorosamente l’Azzurra di Podisti.Net. Segue un tratto di alcuni chilometri nel bosco e su una larga strada sterrata, il fondo è perfetto; si procede sempre in salita ma la pendenza è molto regolare, e ciò aiuta a trovare il passo giusto, magari girando largo sui tornanti per respirare. Naturalmente, ‘ad averne’, si taglia, per fare meno strada. Il percorso continua a piacermi molto mentre raggiungo gli ultimi della maratona individuale, partiti 30 minuti prima di me; la maggior parte di loro cammina, anche questa è un’ottima scelta per chi ha deciso di vivere questa gara sotto forma di escursione, il tempo massimo di 8 ore è perfetto.
Intorno al km 17 raggiungo l’altezza massima della mia frazione, 1570 metri, da qui una discreta picchiata fino a 500 metri dal mio traguardo; un tratto veloce, nel bosco, con qualche insidia per le radici degli alberi, ma il pericolo maggiore può venire dalle gambe che, dopo tutta la salita, faticano a rispondere all’appello.
Arrivo ad Eores, il punto previsto per il cambio: il mio socio Fabio Marri si sbraccia per farmi notare la sua posizione; mi sfilo il chip e glielo consegno, tutto al volo, non si vuole perdere tempo. Questa operazione dura una trentina di metri (9 secondi secondo l’attestazione del chip), dopo di che lo vedo partire molto allegramente su un tratto al 15% di pendenza, poi per lui saranno 23 chilometri e altri mille (più/meno trecento) metri di dislivello.
Ci vediamo in cima, che raggiungerò comodamente con funivia + bus. [ML]
La zona-cambio, un tranquillo paesino dove siamo arrivati con tre bus dell’organizzazione, è perfettamente abituata alla scena: a parte l’apparato tecnologico integrato da mezzi artigianali (l’arrivo degli staffettisti è preannunciato rigorosamente in tedesco da 2 km prima, poi i numeri sono affissi con post-it sul tabellone vicino alla zona cambio; nell’approssimarsi dei compagni, udiamo perfino annunci in italiano!), il bar di fronte alla piazzetta dove ci si trasmette il chip è preparatissimo al nostro assalto, ci mette a disposizione due toilettes perfettamente attrezzate (più altre due non segnalate, ma cui accedo seguendo la mia compagna di pullman, la pratese con “Spirito giapponese” Silvia Arduini).
Uno staffettista imbraccia la fisarmonica e ci intrattiene, con canti umoristici tipicamente tirolesi con intemezzi italici, nella mezzoretta che precede il passaggio dei primi e l’arrivo dei nostri compagni. Sono con noi anche i terzi frazionisti della staffetta a 4, destinati al tratto più lungo di circa 14 km che si concluderà a Valcroce: tra loro, nientemeno che Francesco Milella, campione della 100 km a Seregno, pugliese ma qui ingaggiato dalla staffetta altoatesina “Plose Express”, che vincerà (Milella segnerà il quarto tempo individuale assoluto con 1.21:11). Non conosce il percorso, mi chiede notizie e io gli rispondo che… è facilissimo (in effetti, rose e fiori rispetto all’ultimo).
Finalmente arriva Lorenzini, per fortuna non ha tirato altrimenti mi sentirei ancor più colpevole per la prevedibile debacle (riuscirò a perdere ‘solo’ tre posizioni; se ci sarà una riprova nel 2019 voglio mandarlo lui sulla Plose a piedi, poi vediamo). Invece è tempo di gustarsi il percorso e il paesaggio, che si incunea nella valle di Eores, per i primi 6 km su stradette, poi su sentieri erbosi godibilissimi. I primi strappi sono al km 24, poi al 28: in pratica, ci si inerpica sul massiccio della Plose che poi si aggira da sinistra in senso orario, fino a riportarsi sul versante verso la val dei Luson (anticamera della Pusteria), sopra la quale si percorre una bellissima balconata perlopiù in mezzo al bosco, su un sentiero che potrei definire “a una piazza e mezzo”, dove cioè i sorpassi sono quasi sempre agevoli.
Segnalazioni frequenti (quando non vedi i numerosi cartelli ti basi sulle tracce blu a terra), ristori abbondantissimi (in media uno ogni due km, tra quelli solo liquidi e quelli dove si mangia anche). Qualche tratto minimamente esposto, specie sulla salita tremenda di cui ho detto. Zona traguardo ben organizzata: medaglia, primo ristoro (bevande fredde e calde, frutta, farinacei) in un ampio tendone coperto; a una trentina di metri è la riconsegna delle borse (spedite su da un camion e due furgoni, con orario di partenza per fortuna più tollerante delle rigide ore 7,15 previste); a una cinquantina sono le docce, prefabbricate a fianco del grande rifugio (dove nel 2010 assistemmo nel tifo locale a una partita dei mondiali di calcio di allora, e al trionfo della Germania sull’Argentina: come cambiano le cose…).
Docce tra il tiepido e il fresco, come piacciono più ai tedeschi che ai latini. Un vincitore di categoria, ovviamente di lingua teutonica, mi mostra il suo pacco premio, che contiene tra l’altro una decina di barattoli di birra (dignitoso comunque anche il nostro pacco gara, con specialità locali e persino degli elastici per esercizi di potenziamento). Un’altra piazzata, che secondo il costume tedesco non ha paura delle docce maschili, asciuga molto lentamente e meticolosamente la sua ineccepibile silhouette.
Si torna sui propri passi per il pasta party (solo pasta, abbondantissima, e pane; tutto il resto, compresa l’acqua, lo paghi); il mio piatto molto ricco sarà alla fine spazzato via (ossa comprese) da un bellissimo cane, che in casa sua convive con quattro gatti (rimasti molto malvolentieri alla base, assicura il padrone, quando hanno visto partire l’amico).
Stanno finendo le premiazioni quando, nel vento freddo, cominciamo l’itinerario di discesa, apprezzando il grande sforzo organizzativo, che però mostra qualche sintomo problematico di fronte alla crescente richiesta: si comincia con un pullman dalla Plose all’arrivo della funivia di Valcroce, zona dell’ultimo cambio per le staffette da 4 (una corsa ogni ora, forse ne servirebbero di più perché lascia fuori molti potenziali clienti che sono costretti a scendere a piedi); tre euro per tutti, poi un quarto d’ora di discesa schivando gli animali che invadono la stradina; indi la lunga discesa nella funivia che porta a S. Andrea (gratis per chi ha il pettorale); da S. Andrea un bus di linea ogni ora (a pagamento) e finalmente ci si ritrova in città. Mica siamo in Svizzera dove hanno trenini in ogni dove… Però, delle regioni italiane, il Trentino-Alto Adige è quella che si avvicina di più al tipo. Anche nell’organizzare le maratone [FM].
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