Melbourne Marathon, tra “VIR” e “Spartan”
13 ottobre - Alla disperata ricerca di nuovi stimoli ed emozioni, me ne sono andato il più lontano possibile dall’Italia. Non mi divertivo più a correre maratone. Lo faccio da molti anni, ed alcune le ho ripetute tante volte da superare abbondantemente le due cifre. La noia mi era arrivata fino alla cima dei … capelli. E la scelta è caduta su una maratona dell’altro emisfero, Melbourne.
E’ la prima per una maratona, ma è la quarta volta che mi reco in Australia, e niente è mai come prima. I grattacieli si moltiplicano, a testimoniare dinamismo e prosperità. Nel medio evo erano le possenti torri di pietra che ostentavano la potenza e la ricchezza, di questi tempi sono le alte strutture di acciaio e cristallo che toccano il cielo. Vista da qui, l’Italia mi appare un paese immobile e imbottigliato su se stesso. Allora mi stupì, ma il giudizio di Marchionne rivolto a Renzi su Firenze lo trovo crudelmente esatto: “Sei stato il sindaco di una piccola e povera città”.
Melbourne, 4.500.000 abitanti, frizzante, cosmopolita, ai primi posti fra le città più vivibili, la sentii nominare per la prima volta quand’ero decenne. Nel circuito Barletta-Andria-Trani si svolse una gara di 50 km di marcia, valevole per la selezione degli atleti alle Olimpiadi di Melbourne 1956. Non mi colpì tanto la città, quanto il potersi marciare per una distanza così lunga (… e pensare che poi avrei partecipato a gare di oltre 100 km!). Il mio tifo era tutto per Angelo Marchisella, un barlettano dato per favorito. Vinse il fiumano Abdon Pamich, che staccò il biglietto per l’Australia. Il giorno dopo, mio padre portò in casa la Gazzetta del Mezzogiorno, che metteva in evidenza più la prestazione dell’atleta locale che quella del vincitore. Ricordo ancora il titolo: “Staccato di 12 minuti il pur brillante Marchisella”. In fondo il mio idolo aveva fatto il suo dovere giungendo secondo. Pamich fu quarto a Melbourne, bronzo a Roma e oro a Tokio.
Ero liceale, e avevo maturato un senso critico, quando mi imbattei nuovamente nell’Australia. Trovandomi a Messina, mi recai al porto per ammirare la Guglielmo Marconi, all’ultima tappa del suo viaggio inaugurale verso Sidney. Non mi colpì il transatlantico, mi sbalordì la marea di giovani donne che salutavano i mariti che emigravano in terra assai lontana, in un silenzio tombale. Per la gran parte calabresi, erano magre, diritte, in piedi, ricoperte da un lungo scialle nero: non un gemito, né un lamento. L’unica parte scoperta era il pallido viso, rigato da silenziose lacrime. Mentre la nave, superba, si allontanava e quelle braccia maschili, che potevano essere impiegate nella propria terra, sventolavano fazzoletti bianchi di tristezza e speranza, un’amara conclusione si fece strada nel mio animo di adolescente: solo un paese profondamente ingiusto poteva allo stesso tempo creare un gioiello di tecnica e tanta povertà.
Ed eccomi nuovamente nel paese dei canguri. Il ritiro pettorali, partenza e arrivo sono nell’imponente Melbourne Cricket Ground, il miglior stadio d’Australia, capace di contenere 100.000 spettatori. E’ immerso nel Yarra Park, situato sulla riva nord del fiume Yarra che divide la città in due parti. Ma non è finita! La scorpacciata di spazi verdi e d’impianti sportivi continua. Confinante con il Yarra Park c’è il Melbourne Park, che accoglie campi da tennis a non finire, il Rod Laver Arena in cui si disputa l’Australian open di tennis, il Westpac Centre, l’Hisense Arena e l’Olimpic Park Stadium. A buon diritto, Melbourne è stata chiamata “città giardino” per via dei magnifici parchi di cui si è dotata fin dal XIX secolo, disegnati da celebri architetti del paesaggio. Io stesso, per sgranchirmi le gambe anchilosate dopo 22 ore di volo, ho scelto quello più vicino al mio hotel, gli splendidi Fitzroy Gardens che hanno la caratteristica di avere viali di olmi disposti a formare la bandiera inglese man mano che dalla periferia si portano verso il centro.
Il cielo è tinto di rosa quando, di primo mattino, si esce dagli hotel e ci si dirige verso la John Batman Avenue, adiacente il Melbourne Cricket Ground, dove alle 7:00 è fissata la partenza. Il tempo è previsto bello, e tale si manterrà per tutta la durata della gara, sebbene il clima qui sia volubile e nello stesso giorno si possano vedere le quattro stagioni. Partirà per prima la maratona, a seguire la 21 km, 10 km, 5 km e la 3 km walk. Come al solito, in prima fila ci sono i top runners, e subito dopo è schierata una categoria che non conoscevo, i VIR = Very Important Runners. Sono quelli che hanno acquistato il VIR Package al prezzo di 244 dollari australiani (150 euro), contro i 158 AUD (96 euro) del pettorale normale, che dà diritto alla scelta della griglia di partenza, ad esclusivi spogliatoi, bagni e docce, a massaggi, caffè, thè e tutta una lunga serie di privilegi. “Tu sei una star fin dalla partenza”, è l’ammaliante messaggio pubblicitario con il quale viene commercializzato questo pacchetto. E un altro tabù è crollato! Avevo sempre pensato che il podismo fosse uno dei pochi sport, appunto perché alla portata di tutti, in cui fossimo tutti uguali sulla linea di partenza, senza distinzione fra ricchi e poveri, patrizi e plebei, anche per il fatto di essere vestiti allo stesso modo. La selezione avveniva dopo la partenza, e vinceva il più forte, quasi sempre un ‘povero’ keniano o etiope!
Un qualche privilegio ce l’hanno anche gli “Spartan”, che corrispondono ai nostri “Senatori”, con la differenza che da noi bisogna aver partecipato a tutte le edizioni e qui ne bastano dieci. Poi vengono le griglie con i tempi. E sia ben chiaro che il tempo con il quale si prevede di finire la maratona deve essere non semplicemente dichiarato al momento dell’iscrizione, ma oggetto di un’altra domanda-procedura e ben documentato. In fondo al gruppo sono schierati tutti gli altri partecipanti.
Poco dopo la partenza, il percorso abbandona la city propriamente detta con la sua griglia ordinata di strade, sede d’importanti edifici pubblici, degli affari, dei negozi griffati, supera il fiume Yarra e si dirige in quella parte di città destinata a parchi che finisce al mare. I 42 km del percorso si dipanano in tutta questa zona con lunghi tratti a doppio senso. Strada maestra è la Kilda Road, una lunghissima arteria che collega la City al litorale. Grattacieli avveniristici si affacciano su di essa, e spesso soffocano singole architetture vittoriane miracolosamente salvatesi dalla frenesia della modernità. Ci si trova nell’emisfero opposto che esce dal letargo invernale, e i primi a svegliarsi sono stati i platani già con nuove foglie, mentre gli olmi sonnecchiano ancora. Il fenomeno è più evidente quando ci si allontana dalla strada maestra per fare frequenti incursioni in giardini e parchi con laghi. Se la strada non fosse asfaltata e il percorso piatto e veloce (da primato personale), si avrebbe l’impressione di correre un’ecomaratona.
Al 15° km si giunge al cospetto del mare, a Port Phillip Bay, che abbandoneremo al 29° km, sotto lo sguardo di una grandiosa nave da crociera e il traghetto che fa la spola con la vicina Tasmania. Galoppiamo prima sul lungomare nord, giro di boa, e ci ritroviamo al 22° km che è in corrispondenza del 29° km. Al 22° km bisogna giungere entro le ore 9:40, altrimenti si viene indirizzati al 29° km. I circa 7 km saranno recuperati nei pressi dell’arrivo in un circuito di 1,3 km. Questi corridori più lenti per poter essere classificati devono giungere al traguardo, situato nel Melbourne Cricket Ground per tutte le gare, entro sette ore. L’organizzazione si giustifica adducendo problemi di traffico e tutela della salute dei corridori più lenti. In realtà è un comportamento che fa perdere molti punti ad una manifestazione per altri versi perfetta. Tutti gli altri atleti continuano sul lungomare sud, giro di boa, e al 29° km dicono addio al mare e imboccano la Kilda Road. Dunque i km 15, 22 e 29 si trovano molto vicini, ma i controlli chip sono molto numerosi e collocati in punti strategici.
La Kilda Road, la “Via Appia” della maratona, ci riporta verso il traguardo, ma non prima di averci fatto scorrazzare per un buon numero di chilometri nei Royal Botanic Garden e Kings Domain. Sono bellissimi e curatissimi, adornati di eleganti statue, monumenti e in cima al colle la residenza del governatore dello stato di Vittoria di cui fa parte la città. A catturare la mia attenzione è lo Shrine of Remembrance, un imponente monumento classico, copia del mausoleo di Alicarnasso, che ricorda i soldati australiani morti in guerra. E’ nei saliscendi di questi giardini che si trovano le uniche difficoltà altimetriche di un percorso sostanzialmente agevole.
Siamo al 40° km, la maratona sta per finire, e ai ristori si trova soltanto acqua che reintegra i liquidi persi, ma non le energie. A fornirmi carboidrati ci hanno pensato le cinque caramelle che previdentemente ho portato con me, abituato all’estero ad organizzazioni impeccabili ma sparagnine. Riattraversiamo il fiume, penetriamo nella city passando davanti alla Flinders Station, alla cattedrale di St Paul, a Federation Square ed entriamo nello stadio. Sfortunatamente vi giungo quando vi entra la gran massa della 3 km Walk. La confusione è massima, ma riesco a trovare la corsia della maratona e, dopo aver completato un giro nel favoloso Melbourne Cricket Ground, taglio il traguardo della 42^ edizione della Melbourne Marathon. Poi un percorso obbligato mi conduce in un oscuro sotterraneo, ed è in questo deprimente ambiente che mi viene data la medaglia. Acqua in abbondanza come ristoro finale.
Iscritti alla maratona 7.738, uomini 5.669, donne 2.069. I classificati sono stati 6.995. I paesi rappresentati 48. Gli iscritti a tutte le gare 37.185, un record: la più partecipata di tutta l’Australia, si vantano gli organizzatori.
Torno dalla toccata e fuga in Australia rimotivato e carico di entusiasmo. L’effetto terapeutico è stato raggiunto. Ora in tutti i continenti ho corso almeno una maratona. Mi mancava il 5° continente, che ai miei tempi si chiamava Oceania.
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