8-10 luglio: un Ultra Trail di Corsica più “spartano” che francese
Lo stoico Lucio Anneo Seneca fu relegato in Corsica per circa otto anni dall’imperatore Claudio su istigazione della consorte Messalina e, a causa di ciò, non scrisse lettere d’amore (più appropriato, vista la caratura del personaggio, definirle epistole) nei confronti dell’isola. Ma, quando una persona viene privata della libertà, è naturale che maledica anche un paradiso. Gli storici concordano sul luogo del soggiorno, nei pressi di Capo Corso, ovvero il “dito di Corsica” nella parte settentrionale dell’isola. Di salute cagionevole, afflitto da croniche bronchiti asmatiche, dubito che durante quel lungo periodo Seneca si sia avventurato sugli alti monti dove hanno origine i fiumi Restonica e Tavignano. Ai piedi delle profonde valli di questi impetuosi corsi d’acqua situati nel cuore dell’isola, è sorta la città di Corte, l’antica capitale còrsa, il cui eroe nazionale non si identifica come logica nell’ajaccino Napoleone Bonaparte, ma in Pasquale Paoli. Se il filosofo romano avesse contemplato quelle ardite e contorte vette granitiche circondate da altipiani e laghi glaciali, di sicuro avrebbe cambiato opinione.
Dall’8 all’10 luglio 2021 si è svolto l’Ultra Trail di Corsica con base appunto a Corte, un vivace paese dell’entroterra posto a una quota di m 486 s.l.m., e ho avuto la fortuna di portare a compimento questo cimento attraversando un paesaggio alpino in mezzo al Mediterraneo che non lascia indifferenti anche i cuori più induriti. Cosa strana: non senti la necessità di recarti al mare che dista circa una settantina di chilometri dai versanti orientale e occidentale. Questo perché le acque del fiume Restonica che confluiscono in quelle del Tavignano, e degli altri corsi minori, che scendono tumultuosi dalle gole in un susseguirsi di cascate, sono così limpide che invitano a emulare Tania Cagnotto.
Oltre l’ultratrail, partito alle ore 23,00 di giovedì 8 luglio i cui dati ufficiali indicano una distanza di 110 km lineari e un dislivello positivo/negativo di 7200 m., nel programma erano inserite altre quattro gare di contorno in una tre giorni podistica terminata sabato 10 luglio: il tradizionale Restonica Trail (69 km e d+ m 4000), il Tavignanu Trail (km 33 d+ m 2500), U Giru di Tumbone (km.17 d+ m 650) e la non competitiva Marché (km. 9 e d+ m 400).
In relazione alle mie passate esperienze, deduco che l’Ultra Trail di Corsica è stato il più duro al quale ho partecipato. Si deve mettere in conto di procedere per buona parte su sassaie, sfasciumi e ripidissime ascese con alcuni passaggi alpinistici di primo grado e altrettante picchiate, con l’infortunio sempre in agguato. Insomma, tanto per essere chiari, per una buona metà del percorso, bisogna dimenticare di trovare i curati sentieri alpini della Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige.
Non dimentichiamo che la Corsica fa parte della Francia (ma non dite a un còrso che è francese, che si arrabbia) anche se geograficamente appartiene al contesto italiano (io, ad esempio, in Italia vivo circa alla stessa latitudine di Corte). Il legame con la Sardegna è stretto e il dialetto è simile al gallurese. Qui i valichi montani o forcelle si chiamano bocche e, durante la gara, di queste bocche se ne sono scavalcate tre, terribilmente dure e di rara bellezza, di cui due facenti parte del celebre GR20 che, a seguito di questa esperienza (a Dio piacendo) ho preso in seria considerazione, ma per effettuarlo in modalità trekking (sono 180 km da Calenzana a Conca e d+ m 11.000).
Tra Atene e Sparta vince Sparta, nel senso che spartano è risultato lo spirito di questo GR20 in misura ridotta. Cioè, a parte i dodici ristori con due punti di riposo risultati nella norma, per il resto bisognava procedere un po' a naso e mettere in campo le esperienze accumulate in anni di frequentazione di montagna nuda e cruda per non sbagliare la via a causa delle segnalazioni molto rade.
La fortuna ha voluto che il meteo abbia giocato in mio favore, altrimenti in caso di nebbia o maltempo non sarei stato assolutamente in grado di portare a termine questa avventura senza una traccia gps. Il mio problema principale poi era che alle ore 13,30 di sabato avevo il traghetto di ritorno per Livorno che partiva da Bastia, distante 70 km da Corte, quindi non avevo la possibilità di sfruttare l’ampio tempo messo a disposizione per l’UTC, di 45 ore; molte volte, specialmente di giorno, procedevo sempre con un certo stato di dubbio che svaniva con l’avvistamento delle segnalazioni ufficiali in una commistione con altri segnavia. Quindi, non potevo perdermi in quelle sperdute montagne e dovevo giocoforza tagliare il traguardo non più tardi delle ore 11,00 di sabato, il che avrebbe significato non dormire per due notti consecutive, con tutto quello che ne sarebbe conseguito.
Circa duecento sono risultati i partenti e, dopo i primi venti km in compagnia, ho proceduto quasi sempre in assoluta solitudine, e di notte potevo solo ammirare i colossali esemplari di abete bianco di dimensioni simili alle sequoie californiane, e le spumeggianti cascate. Ho dovuto respirare molta polvere alzata dagli atleti che mi precedevano durante la prima erta, ciò che mi ha causato una fastidiosa secchezza alla gola. Una fredda brezza in quota faceva il resto, così come i frequenti passaggi nei cespugli spinosi che hanno flagellato le mie gambe.
All’alba iniziavo l’ascesa per la Bocca a Crucetta verso il Monte Cinto (la montagna più alta della Corsica, quota 2706), dopo aver costeggiato il lago artificiale di Calacuccia. Se fino a lì l’andatura risultava spedita, per salire alla Bocca Crucetta a quota m. 2458, transitando per il pittoresco lago Cinto che non è poi così piccolo, il procedere risultava molto lento per via delle difficoltà tecniche. Terribilmente duro specialmente lo strappo finale per giungere alla citata forcella, su un ripidissimo sfasciume dove su ogni due passi che facevi in salita, ne perdevi uno, ributtato in discesa. Alla Bocca a Crucetta, dove s’incrocia il celebre GR20, non sono mancate le forti emozioni. A ovest scorgevi il mare, la valle sottostante e le nude fulve montagne piramidali circostanti, di una bellezza fuori dal comune. 250 metri di dislivello positivo separavano la vetta del Monte Cinto: quasi potevo toccarla con mano, e forte è stata la tentazione di raggiungerla. Ma non c’era tempo.
Se, nella prima parte della accidentata discesa procedevo abbastanza veloce, superato il primo risalto l’andatura crollava per via del superamento di salti rocciosi e insidiose placche. La secca risalita alla Bocca Foggiale col passaggio sul nevaio non concedeva tregua. Se alzavi lo sguardo il valico sembrava insuperabile. Ma le gambe erano ben allenate grazie alle lunghe sortite sul Gran Sasso d’Italia e non ho patito: in pratica tenevo la stessa andatura delle discese tecniche. La tensione alla Bocca Foggiale allentava. Il fondo risultava abbastanza corribile pur procedendo su delle sassaie. Un concorrente italiano, che si è ritirato a causa di un infortunio, mi confermava che fino all’attacco della Bocca alle Porte, il tracciato sarebbe stato relativamente agevole.
La mia testa era un continuo elaborare sulla proiezione finale della gara ed ero in merito piuttosto tranquillo, quando si era circa a metà gara. Ma non m’illudevo che sarebbe filato tutto liscio quando, saltando una segnalazione, mi sono ritrovato fuori percorso; errore costato un paio di chilometri. Non potevo concedermi questi sbagli, la concentrazione a maggior ragione doveva sempre essere massima. Per compensare il ritardo sulla tabella di marcia, tiravo veramente forte in salita. Tuttavia, in montagna la differenza si fa in discesa e la mia andatura non è più come quella che avevo in passato, come naturale che sia.
Al tramonto giungevo al lago de Nino, non prima di aver nuovamente sbagliato traccia a causa di una segnalazione spostata (mi sono ritrovato sull’orlo di un precipizio). Il bacino lacustre è ubicato su un ameno altipiano, regno di armenti al pascolo. Di fauna selvatica non ne ho avvistata, a parte un serpentello color smeraldo. Altro fattore positivo è che non sono stato tormentando dagli insetti. Calpestando un bel tappeto erboso mi appariva un’edicola votiva con la Regina della Pace, alla quale chiedevo una protezione che mi ha concesso senza riserve nel tratto che stavo per affrontare durante la seconda notte senza riposo.
Calavano le tenebre. Nessuna luce intravedevo ruotando di 360 gradi. La mia lampada frontale faceva fatica a scorgere le segnalazioni riflettenti perché la carica si stava esaurendo. La lampada di riserva era fuori uso. Un bel guaio. Tuttavia portavo al seguito un capiente powerbank, dotato di led con un fascio luminoso sufficiente per procedere in salita. La situazione era comunque abbastanza comica. Mettevo sotto carica la frontale e illuminavo il sentiero con la pesante torcia occasionale sulla mano sinistra, tenendo entrambi i bastoni sulla mano destra. Le segnalazioni in mezzo al bosco in alcuni punti non erano visibili perché alcune messe di taglio, perciò frequenti sono stati gli arresti per individuarle. Tornavo indietro per ritrovare la bandella precedente per poi procedere a cerchio fino a quando individuavo il bagliore. E’ stata questa una fase molto complicata, quando la stanchezza si stava facendo sentire e i minuti scorrevano veloci.
Poi finalmente da lontano intravvedevo il fascio luminoso di due concorrenti che procedevano molto lenti. Stavo per affrontare il tratto più insidioso: l’ascesa alla Bocca alle Porte e la traversata al buio della Restonica (la valle che ho visitato di giorno, di una bellezza sbalorditiva, meritatamente considerata grande sito di Francia) che terminava con una discesa insidiosissima alla Bergerie de Grottelle.
La seconda notte di buio pesto non è risultata più fredda della precedente grazie all’assenza di vento. Non potevo più arrampicarmi in quelle condizioni con entrambi le mani impicciate. Dopo un’ora di marcia, indossavo nuovamente la lampada frontale che si era discretamente ricaricata. Avevo gli arti superiori indolenziti per quel procedere innaturale. Raggiungevo in prossimità della forcella altri concorrenti: l’individuazione della forcella è risultata difficoltosa perché non esisteva alcun segnavia. Analizzando il profilo della tormentata cresta individuavo il pertugio giusto a quota 2270, dove era infisso un palo con la scritta “Bocca alle Porte”. Potevo solo immaginare il panorama immane che si può godere di giorno con i sottostanti laghi glaciali di Capitello e Melo circondati da vette.
La discesa della Restonica, come messo in conto, è risultata molto lenta per via dell’attraversamento di un paio di nevai, infinite pietraie e guadi dei bracci sorgentizi del fiume Restonica. Arrivavo nel profondo della notte incolume alla Bergerie de Grottelle. Lì era allestito un dormitorio, ma non potevo permettermi di fruire del servizio nonostante gli inviti. Mi sarebbe bastata un’oretta per eliminare il problema che si stava presentando quando non dormi da due notti: le allucinazioni. Udivo voci e in lontananza vedevo figure antropomorfe. Tuttavia la situazione era sotto controllo, non è la prima volta che ho vissuto un’esperienza del genere. Aumentavo l’andatura per arrivare all’alba al culmine dell’ultima aggressiva salita che conduceva all’altipiano di Alzu, uno strappo micidiale che non regalava nulla. Il sonno mi aggrediva, però il più era stato portato a compimento. Appena 13 km mi separavano dall’arrivo. Mi gettavo in discesa percorrendo un bel sentiero e, in fondo alla valle il caldo iniziava a picchiare duro. Il panoramico cammino in mezzo a spettacolari falesie che porta alla cittadella di Corte era invaso da atleti e turisti in un susseguirsi di incitamenti. Un po' complicato è risultato arrivare al traguardo di Corso Paoli, in quanto il tratto finale non era né presidiato e né segnalato, confermando lo stile spartano del trail.
E’ andata bene e sono felice. Ma mi aspettava, non appena tagliato l‘arrivo, il rocambolesco viaggio di ritorno a casa con la moto che è risultato assai più duro dell’Ultra Trail di Corsica (omissis).
Conclusioni. E’ stato piacevole il breve soggiorno in terra di Corsica. Si nota subito, una volta sbarcati, l’impronta francese per come sono curate le strade con le indicazioni chiare e precise che non danno adito a dubbi, per non parlare dell’arredo urbano curato e il generale senso civico delle persone. Non c’è un minimo di paragone con quello cui assisto dalle mie parti, di una decadenza disarmante: strade ammalorate, marciapiedi inesistenti e invasi da erbe infestanti, fauna selvatica che razzola all’uscio di casa e monnezza abbandonata. Agli amici còrsi consiglio di tenersi stretta la Francia, anche se abbondano sui muri i graffiti “Corsica libera”, e di prendere a modello le Pulzelle d’Orléans, le Bernadette Soubirous, i Jean-Marie Baptiste Vianney,i Louis-Marie Grignion de Montfort, non i venditori di fumo.
Omero gli uomini li chiamava i mortali, e noi mortali non possiamo in questo contesto storico rinchiuderci in casa e infilarsi a letto fino al termine dei nostri giorni per non rischiare di ammalarci. Facendo i conti della serva mi domando: come può reggere economicamente un sistema fatto di una popolazione di cassaintegrati, pensionati e dipendenti pubblici con elargizioni di miseri sussidi, e infliggere in una confusione generale limitazioni agli spostamenti che aggravano solo i danni? Dove si prende tutta questa liquidità? di certo non si può certo stampare carta moneta come faceva il cannibale Bokassa della Repubblica Centrafricana (per fortuna l’Europa ce lo impedisce, anche se per altre ragioni chiude un occhio sulla nostra finanza creativa). La mia risposta è: boh!
C’è chi confida nella scienza. Io confido in Gesù Cristo morto e risorto, e vivo felice e sereno abbracciando la Croce. Amen.
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