Ronda Ghibellina, sei bella e unica
1. Da buon suddito di San Geminiano, da più di quarant’anni consacro l’ultimo giorno di gennaio (che a Modena è festa comunque) alla “Corrida”. Ricordo di averne saltate due: una per andare alla maratona di Marrakesh e l’altra per la prima edizione della Ronda Ghibellina nel 2011 (ho fatto la Corrida persino l’anno scorso, 5 giorni dopo essere uscito dall’ospedale per un’operazione a un piede!). Ma quest’anno, come cantava Julio Iglesias, agli organizzatori “è mancatto il coradjo”; o forse sono tanti i bastoni tra le ruote messi dai benpensanti e dai ministri-bambini che non si fanno la barba, da indurre anche la gloriosa Fratellanza Modena a gettare la spugna con un cosiddetto “rinvio” che sa di annullamento, e la corsa virtuale utile solo per i selfie.
E allora si torna a Castiglion Fiorentino, dove gli organizzatori e gli amministratori sanno quello che fanno, adempiono tutti gli adempimenti, ci riempiono della modulistica necessaria a schivare o almeno attutire gli effetti dei controlli, e oltre tutto – vista la voglia di sport che legittimamente ci pervade – riescono a produrre il tutto esaurito negli alberghi della zona. Malgrado la durezza dei tracciati e la previsione di maltempo (che di questa stagione è quasi un must), sono almeno mille gli iscritti, e se ci aggiungiamo gli accompagnatori e familiari, due conti li potrebbero fare anche gli inventori dei ristori che non arrivano (al loro posto per ora danno… gli spugnaggi).
Doverosa la sosta ad Arezzo, una delle più belle città d’Italia (quella piazza Grande, dove si svolge la giostra del Saracino, vale la piazza del Campo di Siena; aggiungi delle chiese favolose e tutte aperte; e dentro i tesori di Cimabue, di Piero della Francesca, i bassorilievi romanici, perfino il cadavere con spadone del vescovo morto nella battaglia di Campaldino dove combatté persino Dante). In più Arezzo è situata su una collina, come tantissime cittadine tosco-umbre (e compresa la stessa Castiglion Fiorentino che a sua volta è un gioiello), offrendo l’agio di visioni panoramiche; c’è la casa di Petrarca e la casa di Guido d’Arezzo inventore della musica moderna. Insomma, ce n’è per tutti i gusti, e c’è perfino il casello autostradale voluto dalla buonanima di Amintore Fanfani: che, certo, deviò l’autostrada in direzione della sua città piuttosto che farla passare da Siena o Perugia; ma almeno, quella autostrada, la costruì, segnando un passo decisivo verso la ricchezza degli italiani, eppure continuando a vivere una vita quasi monastica, in una comunità religiosa dove erano stati Dossetti, La Pira, Lazzati; mentre agli italiani costruì le “case Fanfani”, che stanno in pedi benissimo anche dopo 70 anni. Se penso ai politici d’oggi mi viene da piangere: specie se vedo la ressa incontrollata in piazza San Francesco di Arezzo (foto 10-11), dove centinaia di ragazzotti si accalcano a sbevazzare e baccagliare, spesso senza mascherine e cheek-to-cheek; ma i vigili e poliziotti saranno impegnati altrove a controllare che non si faccia podismo.
2. Ad Arezzo si mangia pure da Dio: i pici, la salsiccia e cipolla, i cantucci nel vin santo non saranno il cibo ideale del pre-maratona, sed primum vivere deinde philosophari. Anche la cena serale nel nostro albergo a 5 km dal ritrovo-gara (pieno di soli podisti) prevede un antipasto fisso di salumi vari, e poi penne al tartufo, patate fritte e per chi vuole, i dolciumi: proteine, carboidrati e gioia del palato, a parziale compenso del mancato tradizionale pasta-party offerto dall’organizzazione. Questa, sentendosi in colpa, ci ha ridotto le quote di iscrizione rispetto a quanto indicato in origine!
Maltempo con pioggia prevista al 75% per le ore di partenza (scaglionate a seconda delle distanze); la 15 km parte e si conclude il sabato sera, all’asciutto, con 130 partecipanti di cui 12 gareggeranno anche nella 25 di domenica, per la classifica combinata. Eppure alle 8, quando iniziano le partenze della gara clou dei 45 km (siamo più di 300, ci mandano via a gruppi di una decina, scaglionati ogni 20 secondi, e tutti con mascherina, dopo misurazione della temperatura), smette di piovere. Ci scambiamo esperienze e battute allegre tra vicini di griglia: mi trovo in mezzo a un gruppone di mantovani (Mantova, Moglia, Viadana, addirittura una Laila che ha quasi il mio cognome ed è nata a 12 km da dove sono nato io), che apprezzano Fabio Rossi e ringraziano Podisti.net per il servizio che sta rendendo in questi mesi.
La pioggia ricomincerà dopo un’ora, poi smetterà, addirittura con la comparsa di un pallido sole sotto il quale ci saranno i primi arrivi; poi tornerà più forte per noi scarsi che ci attardiamo oltre le 7 ore. È già un progresso rispetto a quell’esordio del 2011 quando corremmo sulla neve, e ci abbuonarono la salita alla vetta più alta (750 metri), in un percorso che i gps di allora stabilirono di 40 km. Quell’evento ormai lontano ci illude: io progetto di stare tra l’una e le due ore sopra le 6.58 di allora, ma dal km 4 in avanti la natura, sotto forma di pantano e di salite ripide non meno che scivolose, chiederà il conto a tutti.
3. Allora lo spauracchio diventa il cancello delle 7 ore al km 33: già dopo il secondo dei cinque ristori (al km 17) cominciamo a chiederci, Laila e io che ci troviamo spesso insieme, se non dovremmo recuperare qualcosa per stare nei tempi (però di fronte a certi monumenti nel bosco, come una badia in rovina sulla cima di una salita maledetta, è obbligatorio fare una foto).
Mi rassereno un po’ al terzo ristoro (km 23, foto 15) abbracciando l’artista Adele Rasicci da Copparo, i cui occhi da Liz Taylor avevano illuminato tanti giri del campionato di Andora: se una come lei, che in fondo arriva sempre, se la prende comoda, significa che ha garanzie. Lo scampato pericolo si materializza però solo al fatidico cancello di Petreto (bellissimo villaggio in una vallata) dove lo scanner, manovrato da un compuntissimo bambino, sentenzia che passo in 6.59:29, dunque ben 31… secondi prima dello scadere. (Non so ancora che i tempi-limite sono stati prorogati). Dunque mi fermo un po’ più del solito al ristoro subito dopo: fornito, come tutti i precedenti, di tè caldo, acqua, sali, cola, gel energetici, crostate e formaggio parmigiano, che proprio non posso rifiutare sebbene poi mi darà sete e voglia di birra.
Ancor più sereno mi sento poco fuori del paese, quando a un guado e successiva risalita della sponda raggiungo una signora dall’accento inconfondibile: è la siora Nadaìna in compagnia del suo “angelo custode”. Finalmente possiamo litigare in santa pace (come Natalina ha raccontato nel suo pezzo già online) http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/6880-ronda-45-km-primissime-impressioni.html, peccato che delle tante facezie intercorse possa raccontare solo questa, della prospettiva sua di sbarcare alla stazione di Padova solo dopo il coprifuoco, e dunque di essere multata: “ma io non pago, perché il DL che ha imposto le sanzioni non è stato convertito, dunque è scaduto, e i DPCM sono incostituzionali e valgono come la carta straccia”. (Questa la riporto in quanto la faccio mia; le altre sulle multe pendenti e gli alimenti da pagare e le ispezioni della Finanza ecc., purtroppo devo tenerle per me).
Natalina ha ragione anche quando dico: “bè, da qui al traguardo non ci saranno quasi più salite”. Mi guarda compassionevole… infatti il mio Gps, che ha appena smesso di funzionare, segna “solo” 1400 metri saliti, ce ne mancano altri 1100! E anche sui km percorsi, la mancanza di supporto tecnologico ci induce a calcoli arbitrari: dopo un giro un po’ vizioso causa bandelle nel greto dell’ennesimo torrente, due segnalatori mi dicono che mancheranno 5 km. “Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto”, quando dopo un paio di km un vigile del fuoco, cui rivolgo la domanda rituale, risponderà: “calcola di essere adesso al km 40”. E infine, al quinto ristoro e controllo (dove, sebbene la ristoratrice stia dentro e noi fuori dell’edificio, siamo comunque obbligati a indossare la mascherina), l’addetto mi dice: “QUI siamo al 40, e hai ancora 200 m verticali di salita”, facendomi constatare che insomma, a tenore di chip, ho percorso gli ultimi 7 km in 1h58!
Questo almeno è un dato ufficiale, e mentre imbrunisce ci ributtiamo nella smalta e nel pacciugo (riconoscendoli solo dallo s-ciaf delle scarpe o dal brivido dell’acqua nei piedi), almeno con la sicurezza di quanto ci manchi. Nella sospirata discesa, quasi al buio, ci illuminano i passaggi degli eroi della 70 km (90 arrivati su 110 partiti), dotati obbligatoriamente di frontalino. Per fortuna, in un momento di solitudine (interrotta solo dai trilli del cellulare) vedo le bandelle che ci inoltrano per un prato a sinistra (sennò arrivavo … in centro di Castiglione): manca un paio di km, là in fondo ci sono le luci, e alla fine si arriva.
4. La grande concittadina Ermanna Boilini (foto 6), reduce da infiniti ultra-super-trail sulle Alpi, è arrivata da un’ora coi compagni di squadra Marco Centonze e Manuela Dallavalle, e per fortuna il suo Graziano ci lascia le foto ‘itineranti’ che ora abbelliscono il nostro magazine (https://foto.podisti.net/p739775417; Graziano è a cena nella foto 40); ancor prima è arrivato Maurito Malavasi, figlio d’arte (ma il padre Paolino non osa mettersi in gioco, adesso che potrebbe precedermi nella classifica di categoria). Ma da tre ore è in classifica Tommaso De Mottoni, patron della Bora di Trieste, insomma non un “armiamoci e partite”. Dopo la consegna del ristoro e di un artistico boccale a tema, riprendo la borsa e raggiungo le docce (novità rispetto al ‘trattamento’ dell’era-Covid), in un ampio tendone dove il distanziamento è assicurato; e anche le docce sono in tre settori diversi, dove non andiamo mai in più d’uno per volta (a dirla tutta, non c’è nemmeno una grande spinta a mettersi sotto un getto freddo: foto 23). Nel frattempo giungono le ultime compagne di questa faticosa ed emozionante avventura: Alessio “angelo custode” e Natalina sono già arrivati, ma il cronometro spietato li separa a seconda degli orari di partenza, mettendomi davanti Alessio, e Natalina dietro; è infine la volta di Adele a 9 minuti e di Laila a 13, mentre quelli del trail estremo continueranno fino alle 19, e qualcuno alla fine desisterà. La riconoscenza per questi ‘toscanacci’ del clan Ronda Ghibellina è tuttavia unanime.
5. Non resta che rimettersi in viaggio, tenendo di scorta i papiri delle autorizzazioni e delle autocertificazioni. Internet fa circolare la notizia che il nuovo presidente Fidal è Stefano Mei, l’unico che nel suo programma aveva mostrato rispetto per i podisti: e dopo anni o decenni di generali o colonnelli, è ora che qualcosa cambi.
Ripassiamo da Arezzo e il pensiero torna al “fanfaniano” Ettore Bernabei, creatore di una tv che agli italiani ha insegnato a leggere e a ragionare, facendo cultura con Bongiorno e Tortora, col maestro Manzi e le commedie del venerdì, con gli sceneggiati televisivi di Sandro Bolchi e i Caroselli di Enrico Viarisio (“ullallà, è una cuccagna!”), Tognazzi e Vianello.
Arrivato a casa, accendo la tv: Fazio sta facendo la sua ennesima, diciamo così, promozione, stavolta in favore di Panariello: peccato che il lockdown impedisca la presenza dei cosiddetti “figuranti”, che ad ogni raschio in gola o risolino col singhiozzino di Fazio facevano partire l’applauso o la risata. Non c’è più niente da ridere. Da 21 anni giace al cimitero Flaminio nonno Amintore, autore dell’art. 1 della Costituzione, ispiratore di John Kennedy, attuatore della nazionalizzazione dell'energia elettrica e, tramite l’Eni del suo Enrico Mattei, di una relativa indipendenza energetica dell’Italia; padre dell'obbligo scolastico fino ai 14 anni, della scuola media unica (con i libri di testo gratuiti per chi non poteva permetterseli), colui che aumentò le pensioni del 30%, fece costruire trecentomila alloggi in un’Italia a pezzi per la guerra e, ripeto, eresse la Rai a “servizio pubblico”.
Pensate a chi c’è oggi, in Rai e in politica, e Arezzo vi sembrerà ancor più una grande madre rimpianta della nostra patria vilipesa.
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