Vegetarianesimo: che vuol dire e come lo si pratica?
Secondo i dati Eurispes dell’ultimo triennio, la percentuale di vegetariani e vegani si attesterebbe intorno al 6-7% della popolazione italiana. Senza in questa sede discutere sull’affidabilità o meno di tale indagine (dai risultati un po' troppo altalenanti negli anni per essere pienamente affidabili), analizziamo i termini e i gradi di questo comportamento, che oltrepassa il regime alimentare, poiché ha implicanze anche etiche ed ecologistiche.
Per iniziare, un utile strumento d’analisi ci è offerto dall’etimologia del termine stesso, dall’ingl. vegetarian. In effetti il vocabolo vegetarianismo fu coniato nel 1847, in Inghilterra, in occasione della fondazione della Vegetarian Society per indicare chi non mangiava né carne né pesce, derivandolo ‒ si suppone ‒ dalla parola lat. vegetus (= sano, vigoroso), per evidenziare come chi non consuma carne è in salute. Il termine fu poi adottato in Germania, nel 1857 e infine in Francia, nel 1875. A partire dal 1889 si parla di vegetarismo. Contrariamente a quanto molti credono, il vocabolo non avrebbe pertanto origine dal sostantivo vegetale (ingl. veget(able), come “cibo dei vegetariani”; vegetarian non sarebbe cioè tratto) = vegetale, con il suffisso -arian (cfr. unitarian, trinitarian e simili).
Si tratta di una neoconiazione: infatti, nell’antichità e sino al 1847 si usava la locuzione abstinentia, sottinteso carnium (“dalle carni” ovvero ab esu animalium, “dal cibarsi di animali”), per indicare l’astinenza dalle carni animali, comportamento non inusuale nel mondo greco-romano. Il termine lat. abstinentia può equivalere al gr. xerofagia, il quale sta a designare una dieta che escluda carne e altri cibi, privilegiando quelli secchi. Un vocabolo analogo è digiuno, che negli autori spirituali può comprendere tutte le forme di restrizione alimentare di carattere ascetico, intendendo in certi casi la rinuncia completa al cibo per periodi di uno o più giorni. L’astinenza dalla carne o da altri cibi specifici era di solito ascritta tra le pratiche penitenziali che preludevano a un vero e proprio “cambiamento di mente”, una “conversione”.
Alla base del termine vegetarianismo/vegetarismo ci sarebbe quindi la sanità, il vigore prospettato da questo tipo di dieta. Per esempio, nel vocabolario etimologico del Pianigiani, risulta che l’aggettivo italiano “vegeto” (= che vien su prosperamente robusto”) riprende il lat. vegetus, derivante da vegeo = sono sano, vigoroso e, attivamente, spingo, eccito; cfr. il lat. vigere (e anche vigor, vigesco) = ho forza.
Pianigiani in proposito propone il parallelo con il vocabolo igiene, dal gr. ὑγιεινή = “arte che conferisce alla salute”, connesso a ὑγιής “sano, in pieno vigore”. Più recentemente, alla base si postula una radice proto-indoeuropea *weg’- “essere vigoroso” sottesa sia al lat. vigil/vigeo sia a vegetus/vegeo.
L'alimentazione vegetariana (scelta “sana, vigorosa”, quindi, fin dalla stessa etimologia) sta a indicare uno specifico tipo di dieta (dal lat. diaeta, a sua volta dal gr. δίαιτα = modo di vivere): termine quest’ultimo che erroneamente nel linguaggio comune è inteso come temporanea astinenza, totale o parziale, dal cibo (si consideri che nel latino medievale, dieta indicava il giorno stabilito per l'assemblea di alcuni popoli germanici e derivava a sua volta dal lat. dies = giorno, per poi passare a designare le assemblee del Sacro Romano Impero in cui si trattava della guerra e della pace, della legislazione e dell'elezione del sovrano). Vegetarianismo/vegetarismo pertanto è un termine che sta da indicare ogni concezione dietetica che, basandosi su presupposti di ordine non solamente igienico, ma anche etico (illecita uccisione di animali), ecologista (minor impatto sull'ambiente) e spirituale (purificazione), abolisce l’uso di alimenti carnei, compresi i pesci, e reputa i cibi di provenienza vegetale (dove vegetale è ciò che si ottiene, che si estrae, dalle piante) come idonei a una completa e sana alimentazione.
Esistono diversi gradi di alimentazione vegetariana:
- l’alimentazione lacto-ovo-vegetariana esclude solamente la carne e il pesce, cioè i carnami, ivi inclusi insaccati, frattaglie e prodotti nei quali sono contenuti tali prodotti animali, come per esempio le preparazioni con lo strutto;
- l’alimentazione ovo-vegetariana oltre a non ammettere il consumo di carnami, proscrive pure quello di latte e suoi derivati, permettendo il consumo delle uova;
- l'alimentazione lacto-vegetariana esclude l’utilizzo di carne, pesce, uova, ma consente quello di latte e suoi derivati;
- l'alimentazione granivora prevede l'assunzione di soli cereali;
- l’alimentazione 100% vegetale o vegana prevede il consumo di cibi di origine vegetale, escludendo carne, pesce, uova, latte e suoi derivati, nonché i prodotti delle api (miele, polline, pappa reale, ecc.);
- l’alimentazione crudista prevede solo l’uso di prodotti crudi, cioè non cotti, e può includere l’utilizzo di carne e pesce, come l’ “istintoterapia” di C. Burger; nel qual caso si viene in sostanza a perdere la connotazione vegetariana, includendo alimenti uccisi e perdendo la valenza non violenta;
- l’alimentazione fruttariana o frugivora è adottata da chi si ciba di soli frutti, cioè dei prodotti di piante arboree come mele, pere, ciliege, pesche, arance, ecc., ma anche di frutti di piante erbacee (fragole, cocomeri, angurie, ecc.).
C’è da osservare che la classificazione sopra riportata risponde a un criterio “esclusivo”. Si può considerare in realtà che una dieta vegetariana “include” tanti cibi del mondo vegetale e quindi non è per niente “esclusiva” e limitata.
La scelta vegana (termine coniato nel 1944 da Donald Watson, il fondatore della Vegan Society, eliminando semplicemente la parte centrale della parola vegetarian) racchiude un significato etico e supera l’aspetto puramente dietetico dell’alimentazione 100% vegetale. Essa prevede, infatti, di non utilizzare alcun ingrediente ottenuto dallo sfruttamento e uccisione di animali (per la produzione di latte e uova gli animali sono infatti sfruttati e poi uccisi esattamente come nella produzione di carne). Essa comprende anche la scelta di non utilizzare alcun prodotto di origine animale in ogni altro aspetto della propria esistenza, non solo nell’alimentazione: ossia evitare pellicce di animali per coprirsi, pelli nel tessuto di calzature, cinture e borse, lana (derivante dall’allevamento e conseguente inevitabile macellazione delle pecore), cosmetici che impiegano prodotti animali, nonché altri sistemi come la vivisezione. Prevede anche di non visitare zoo, acquari, circhi con animali e qualsiasi luogo di reclusione e sofferenze per gli animali. Il principio che sta alla base di questa motivazione è che la vita di tutti gli animali ‒ esseri senzienti come noi ‒ debba essere sempre rispettata anzi salvaguardata.
Quasi venti secoli fa Giovenale (m. 140 d.C.) affermava che la sanità della mente dipende da quella del corpo: «mens sana in corpore sano» (Satire, X, 356). In tutti i campi e in ogni epoca storica, nel mondo della scienza, della religione, della filosofia, dell'arte, della medicina, dello sport, della letteratura, dello spettacolo, ecc., moltissime persone che hanno fatto la scelta di non mangiare animali si sono mostrate intelligenti, colte, aperte, sagge, serie, pacifiche, spirituali, tolleranti, serene. Per loro non è stata una scelta politica, una moda, un modo per mettersi in evidenza, ma una disposizione interiore, che ognuno vive con sfumature diverse.
BIBLIOGRAFIA
D’ELIA A., Miti e realtà dell’alimentazione umana, Roma 1999.
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