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Feb 06, 2020 12498volte

Che cosa succede quando si corre

Foto K.Pozzi Foto K.Pozzi

Non serve una laurea in scienze motorie per fare del buon running. Sapere però che cosa avviene nel nostro corpo quando ci muoviamo, quali meccanismi si susseguono passo dopo passo, è sicuramente utile non solo come bagaglio culturale personale ma anche per dare ancora più senso ai nostri allenamenti (e magari riuscire a migliorarsi). Ecco dunque alcune nozioni di base.

Prima di tutto è bene sapere che il corpo utilizza energie diverse e attinge da serbatoi differenti a seconda della velocità.

A velocità di corsa più basse l’organismo consuma più grassi e, in minor misura, carboidrati. Via via che la velocità aumenta, cresce anche il consumo di carboidrati (necessari proprio per effetto della maggiore velocità di corsa, che implica uno sforzo maggiore. Nelle gare brevi, fino a 3-5-10 chilometri, si consumeranno più zuccheri (carboidrati), per distanze dalla mezza maratona e oltre è quasi impossibile fare a meno dei grassi, a meno di non appartenere a categorie di atleti elite. A proposito di consumi: non è difficile calcolare con una discreta approssimazione il consumo calorico quando si corre; è ancora attuale e attendibile la teoria di Rodolfo Margaria, fisiologo aostano (1901-1983), che molto semplicemente indica di moltiplicare i chilometri percorsi x il peso corporeo x 0,9. Un soggetto del peso di 70 kg, che percorre 10 km, consumerà quindi circa 630 calorie. La velocità a cui si corre incide relativamente sul consumo, semmai cambierà il mix di carboidrati e grassi utilizzati dal punto di vista energetico.

Nella corsa più si accelera, più aumenta la spinta, minore è il tempo di appoggio sul tallone e maggiore risulta il lavoro della parte mediana e anteriore del piede. A seconda dell’andatura, vi è una diversa sollecitazione dei gruppi muscolari.

A velocità moderate nei muscoli lavorano le cosiddette fibre rosse, più legate alla resistenza. Più si accelera e più entrano in gioco le fibre bianche (chiamate anche veloci, tipo II, etc), legate appunto alla velocità, o più che altro all’intensità dello sforzo ad essa connesso.

Quando sottoponiamo il nostro organismo a determinati sforzi, come appunto nella corsa, produciamo una sostanza che si chiama acido lattico. Più intenso è lo sforzo, maggiore è l’acido lattico che si crea. Entro determinati limiti questa sostanza viene smaltita, raggiunta la soglia in cui la quantità prodotta supera quella che l’organismo riesce ad eliminare, non riusciamo più ad aumentare gli sforzi (la velocità) e riusciamo a mantenere quel ritmo solo per pochi minuti.

In questo caso siamo passati da un meccanismo aerobico (presenza di ossigeno) ad uno anaerobico (assenza di ossigeno). In pratica abbiamo raggiunto il nostro limite, la respirazione è affannosa, il disagio (anche mentale) è notevole, i nostri muscoli sono ormai privi di energia. Dobbiamo rallentare molto, se non addirittura fermarci.

La buona notizia è che si tratta di una situazione migliorabile: a parità di intensità (e di sforzo fisico) in un soggetto sedentario, o poco allenato, il meccanismo interviene molto prima rispetto a un soggetto allenato. Una delle (tante) funzioni dell’allenamento è «insegnare» al nostro organismo come migliorare la capacità di smaltimento dell’acido lattico, rendendoci capaci di correre più a lungo e più velocemente.

La corsa consiste in un’azione semplice e naturale. Eppure dal punto di vista biomeccanico succedono tante cose. Ad una prima fase di contatto col terreno, di norma con la parte esterna del tallone, ne segue una successiva di appoggio con una leggera rotazione verso l’interno (in condizioni normali), infine dopo la cosiddetta rullata si compie il movimento propulsivo, in pratica quello che ci fa avanzare.

Questa è la sequenza corretta, quella di un podista che abbia una biomeccanica efficiente ed appoggi sul terreno in modo sostanzialmente neutro.

Quasi tutti nella prima fase di contatto al terreno appoggiamo di tallone (questa è la ragione per la quale di norma il consumo è maggiore, nella parte esterna, senza che ciò indichi l’immediata necessità di cambiare le scarpe). Ben diverso il discorso relativamente ai velocisti e comunque per gli atleti in grado di correre più velocemente, tipo sotto 3’30” al chilometro o anche di più. Un esempio limite viene da Usain Bolt, a cui bastavano 41 passi per correre 100 metri, dando l’impressione di non appoggiare proprio i piedi a terra.

Per correre bene servono non solo le gambe ma anche le braccia. La loro azione è più importante di quanto si creda: provate a tenerle ferme e distese lungo il corpo in un tratto di salita, anche solo per qualche centinaio di metri, e vi renderete conto di quanto è importante la loro coordinazione, ma anche la spinta con gli arti inferiori.

Il movimento delle braccia dovrebbe risultare piuttosto naturale, avanza sempre il braccio in opposizione alla gamba libera (quella che resta dietro). La flessione dovrebbe corrispondere grosso modo ad un angolo di 90 gradi. Tale angolo varia, anche sensibilmente, in presenza di salite, così come il movimento risulta più o meno accelerato in relazione alla velocità di corsa.

I pugni non dovrebbero essere mai chiusi o troppo stretti: indirettamente ciò porterebbe ad un irrigidimento della parte superiore del nostro corpo, a tutto svantaggio della fluidità dell’azione di corsa (e, inoltre, favorisce il mal di schiena). Insomma, si possono stringere i denti per la fatica (in realtà nemmeno quelli), ma non i pugni.

Per chi comincia, o corre da poco, il consiglio è comunque quello di correre nel modo più naturale possibile, non preoccupandosi troppo del proprio stile. Poi si vedrà.

Molti iniziano a correre per dimagrire. Eppure spesso il primo impatto può risultare deludente. Ad esempio perché non è sempre così automatico iniziare a fare running e perdere subito peso. Se è vero che correndo piano consumiamo più grassi, perché la lancetta della bilancia resta ferma (più facilmente al femminile)? Sono domande frequenti tra chi ha iniziato a correre da poco e il suo obiettivo principale è eliminare i rotoli del girovita o snellire glutei e gambe.

Prima di tutto, le aspettative devono essere ragionevoli. Dimentichiamo i bombardamenti della pubblicità a suon di chili che si dovrebbero perdere in pochi giorni. Si tratta invece di un processo spesso lungo ma che per fortuna fornisce risultati consistenti e duraturi nel tempo.

In più correndo (in particolare a velocità elevate, quindi con sensibile impegno muscolare) sicuramente perderemo tessuto adiposo ma lo sostituiremo con un incremento della massa muscolare, e i muscoli pesano di più (ecco perché le lancette della bilancia, soprattutto nel breve termine, potrebbero addirittura tendere a salire piuttosto che a scendere).

Inoltre, semplificando al massimo, noi perdiamo peso in relazione alla quantità di massa grassa di cui disponiamo. Se, a prescindere dal nostro peso, ne abbiamo poca… ne perderemo poca. Questa è la ragione per la quale può capitare che una persona già magra perda ulteriormente peso ed una con un peso superiore fatichi a dimagrire. La certezza è che con la corsa acquisiremo una notevole efficienza fisica, un senso di benessere unico, anche a livello mentale; e aumenterà la velocità del nostro metabolismo, la chiave di molto, se non tutto. E, quando ci sederemo a tavola. potremo toglierci qualche soddisfazione in più, senza complessi di colpa. Insomma…correre per dimagrire? No, per stare meglio, ma anche togliersi qualche soddisfazione in più, una volta seduti a tavola.

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Qualche-idea-per-correre-meglio

 

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