Podismo e coronavirus: discutere rispettando le opinioni altrui
Sono d’accordo con Rodolfo Lollini quando, commentando la breve riflessione dello psicologo-podista Gerardo Settanni (di cui non condivido l’impostazione di fondo), mette in evidenza la colossale incongruenza che c’è tra i più diffusi comportamenti del presente, che caratterizzano anche molti personaggi pubblici, e le attuali proibizioni cautelari che di fatto impediscono lo svolgimento delle nostre gare podistiche a tutti i livelli.
Sono tuttavia assolutamente in disaccordo con lui quando, per avvalorare la sua visione catastrofista dell’epidemia utilizza, al pari di tantissimi opinionisti appartenenti ad altri mondi, termini che denotano un atteggiamento da guerra di religione. Termini, a mio avviso, ben poco appropriati nell’ambito di un dibattito civile e moderno.
Quando, infatti, si usa la definizione infamante di “negazionista” , soprattutto dopo aver abbracciato in modo piuttosto acritico il “partito unico del virus”, composto da una impressionante schiera di novelli Savonarola che continuano a terrorizzare il Paese, taccia di eresia chiunque non avalli l’idea che il Covid-19 sia la peste del terzo millennio. Si esce pertanto da una discussione civile, che contrapponga i vari studi e le varie teorie scientifiche sul tappeto, per entrare in una dimensione religiosa di stampo settario. E in questo caso i morti, la cui causa diretta per lo stesso virus sarebbe intorno al 4% secondo l’Istituto superiore di sanità, diventano uno strumento di pressione morale e psicologica nei confronti di chi, pur non negando affatto la serietà del problema, cerca di valutarne le corrette dimensioni, evitando di ingrossare l’esercito dei cosiddetti utili idioti dei succitati Savonarola.
In un tentativo di osservazione critica, che io ritengo assolutamente legittimo in un Paese libero e democratico (almeno fino a prova contraria), essere considerato un “minus habens” non aiuta assolutamente il dibattito.
Dibattito che, tornando alla questione per noi fondamentale di un rapido ritorno alla normalità agonistica, dovrebbe, ad esempio, prendere in esame un recentissimo documento-manifesto di 10 illustri studiosi indipendenti, che di fatto ribadiscono la fine dell’emergenza clinica del Covid-19. In particolare, Matteo Bassetti, Arnaldo Caruso, Massimo Clementi, Luciano Gattinoni, Donato Greco, Luca Lorini, Giorgio Palù, Giuseppe Remuzzi, Roberto Rigoli e Alberto Zangrillo affermano a chiare lettere quanto segue:
”Evidenze cliniche non equivoche da tempo segnalano una marcata riduzione dei casi di Covid-19 con sintomatologia. Il ricorso all’ospedalizzazione per sintomi ascrivibili all’infezione virale è un fenomeno ormai raro e relativo a pazienti asintomatici o paucisintomatici. Le evidenze virologiche, in totale parallelismo, hanno mostrato un costante incremento di casi con bassa o molto bassa carica virale. Sono in corso studi utili a spiegarne la ragione. Al momento la comunità scientifica internazionale si sta interrogando sulla reale capacità di questi soggetti, paucisintomatici e asintomatici, di trasmettere l’infezione”.
Tutto questo, poi, dovrebbe essere sommato alle valutazioni espresse dal professor Guido Silvestri, il quale ha citato dieci studi indipendenti che arrivano tutti alla stessa conclusione, in merito ai rischi - praticamente vicini allo zero - di contrarre il virus all’aperto, anche in presenza di contatti ravvicinati per pochi minuti come nel caso della partenza di una gara podistica di 200/300 concorrenti.
Quindi, per ricapitolare e uscendo dalla logica degli anatemi di sapore millenaristico, allo stato attuale i danni che il virus può teoricamente produrre sulle persone è simile a quello del raffreddore –considerando che anche un raffreddore può uccidere un soggetto fortemente immunodepresso- e, data anche la bassa carica virale che si riscontra negli attuali tamponi positivi, la possibilità di essere contagiati nei luoghi aperti anche affollati, come alcuni recenti fatti di cronaca sembrerebbero dimostrare, è molto, ma molto scarsa.
Stando così le cose, ogni giorno che passa appare sempre più assurdo, in quanto privo di motivazioni basate su fatti oggettivi, il blocco delle gare che stiamo subendo. Volendo usare termini più consoni ad una discussione civile, potremmo dire che i “chiusuristi” ad oltranza hanno oramai perso quasi tutti gli argomenti per contrastare gli “aperturisti”, che da tempo invocano un ritorno alle competizioni, seppur con qualche elemento minimale di cautela.
D’altro canto, se anche tra i podisti, i quali rappresentano una delle componenti più dinamiche della società, prevale ancora adesso una narrazione pestilenziale del Covid-19, immaginando imminenti cataclismi da seconde e terze ondate, non si può poi pretendere che il nostro decisore politico di riferimento, ossia la Fidal, ci dia il via libera elaborando protocolli ben più masticabili rispetto a quelli, del tutto inapplicabili, che la stessa ha da tempo teorizzato.