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Set 01, 2020 Claudio Romiti 16352volte

“Ingessare” solo lo sport in attesa che si estingua l’ultimo virus?

Calma e gesso, sembrano dire i Capi Calma e gesso, sembrano dire i Capi Roberto Mandelli

In questa lunghissima fase di semi-paralisi delle attività sportive di massa, non è possibile prescindere dall’affrontare il nodo dell’epidemia di coronavirus. Una epidemia che da mesi sembra fortemente attenuata, con una mortalità media giornaliera decisamente inferiore a quella dei suicidi (in Italia si tolgono la vita in media 11 persone al giorno).  In tal senso prosegue il braccio di ferro tra chi, come alcuni autorevoli clinici, sostiene che il virus si sia nettamente indebolito, dal momento che la stragrande maggioranza dei soggetti contagiati sono asintomatici, e chi sostiene a spada tratta il principio di precauzione, immaginando di ritrovarci, qualora si adottasse una piena normalizzazione delle attività umane, nelle drammatiche condizioni di marzo, in cui si è rischiato il collasso di buona parte del sistema sanitario.

   Ora, premetto che non è mia intenzione imbarcarmi in una riflessione sulla differenza sostanziale che sussiste tra il concetto di verità, che appartiene fondamentalmente ad una sfera religiosa, e quello più laico di evidenza. Tuttavia,  su quest’ultimo piano mi sono parse particolarmente esemplificative le parole del professor Matteo Bassetti, direttore della   Clinica Malattie Infettive dell'Ospedale San Martino di Genova che, insieme ad Alberto Zangrillo, è tra i pochi esperti del mondo scientifico ad avere il coraggio di mostrarsi "non allarmista":  "A marzo emergeva la puntina dell'iceberg, oggi intercettiamo molto precocemente ed oggi stiamo tirando fuori il tanto che ieri era sommerso - ha spiegato Bassetti nel corso di Quarta Repubblica , in onda su Rete4-. Abbiamo delle mutazioni benigne nel virus, chi lo nega al letto dei malati non c'è andato".

  Ebbene, dato che tutto può accadere sotto il cielo, è  possibile che l’attuale andamento dell’epidemia, la quale da mesi sembra dare ragione a quegli studiosi che teorizzavano un graduale ma decisivo ammorbidimento del Sars-Cov-2,  prenda improvvisamente una piega drammatica, riportando il Paese in una condizione di grave emergenza sanitaria. Ma se è per questo, anche l’arrivo di un altro simile agente patogeno, altrettanto inaspettato e magari ancor più virulento, potrebbe stravolgere ancor più profondamente la nostra vita. 

   In questo senso, se usciamo dal binario di una esistenza in cui esiste un ragionevole rischio calcolato, entrando in una utopistica dimensione nel quale il medesimo rischio deve essere completamente azzerato,  noi podisti amatoriali le amate garette di una volta ce le possiamo proprio dimenticare. 

  Se, infatti, accettiamo come dogma assoluto che il Covid-19 sia una malattia che colpisce a casaccio, portando in sala di rianimazione chiunque a prescindere dall’età e dalla condizione fisica,  allora risulta cosa buona e giusta continuare a gestire le residuali corse podistiche con tutta una serie di misure di protezione che risulterebbero efficaci anche nei confronti della peste bubbonica. 

  Ma se, al contrario, partissimo dal presupposto, sostenuto da Bassetti, Zangrillo e tanti altri medici di prima linea, secondo cui ci troviamo di fronte ad un virus opportunista molto attenuato, il quale in pratica infetta in modo grave i fragili e gli immunodepressi, e che oggi sappiamo ben fronteggiare sul piano della terapia, allora forse potremmo aprire un dibattito su un possibile ritorno ad una normalità agonistica che in questo momento appare perduta per sempre.

  Anche perché, come è stato ricordato su queste pagine anche da altri amici podisti, le rigide precauzioni che hanno reso sportivamente e socialmente asettiche le nostre competizioni, trasformandole in anonime corse a cronometro, non trovano alcun riscontro nella nostra quotidianità, laddove l’atteggiamento spontaneo della maggior parte delle persone, podisti o meno, è lontano mille miglia dagli attuali protocolli che ingessano gli sport amatoriali di massa.

 Protocolli che dovrebbero quanto meno essere ridiscussi proprio in relazione all’andamento clinico dell’epidemia in corso, anziché imporli ad oltranza fino alla scomparsa definitiva di quest’ultimo coronavirus. Scomparsa che peraltro sarà quasi impossibile da ottenere, dato che il Sars-Cov-2 sembra che sia diventato endemico, installandosi a tempo indeterminato nella società umana così come accade da sempre per tanti altri virus.

 
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1 commento

  • Link al commento lorenzo calestani Martedì, 08 Settembre 2020 19:37 inviato da lorenzo calestani

    L'antropizzazione di un virus è in effetti una deriva che giova alla sua sopravvivenza (qualora fosse letale per tutti i contagiati il virus stesso non avrebbe più possibilità di replicarsi), resta da verificare la tempistica del suo mutamento (sei mesi sono tanti o pochi?). Alla luce dei nuovi focolai e della curva che sembra essersi solo appiattita (si intercetta anche quello che c'è sotto la punta dell'iceberg, i reparti di rianimazione sono meno sotto stress, i numero di decessi covid-correlati sembra essere diminuito) mi sembra che l'ingessare un settore - tanto importante per il nostro personale benessere quanto marginale in termini economici - sia una scelta cautelativa che va compresa, rispettata e sostenuta anche se ci costa un immane sacrificio.
    Quest'anno avrei dovuto festeggiare il ventennale dalla prima maratona, erano alcuni anni che ci pensavo e che cercavo di organizzarlo, capisco quanto il sacrificio sia grande ma penso che tanto il bene comune quanto la salute pubblica siano valori che si pongono oltre i miei personali interessi.
    Spero torneremo presto a spillarci un pettorale (storto come sempre...).

    Rapporto

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