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Ago 08, 2021 padre Pasquale Castrilli 5143volte

Giochi di Tokyo. Houleye, Krystsina e non solo… ‘Insieme’, al di là delle discussioni

Giochi di Tokyo. Houleye, Krystsina e non solo… ‘Insieme’, al di là delle discussioni Rielaborazione di Roberto Mandelli

C’è stato un certo dibattito linguistico, a fine luglio, sul quarto aggettivo/avverbio scelto dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) per arricchire il motto olimpico. Al famoso e consolidato “Citius, Altius, Fortius”, è stato aggiunto l’aggettivo communis o, meno infelicemente, l’avverbio communiter. Un tentativo di inserire l’insieme, la dimensione diremmo comunitaria, così importante nella pratica sportiva.
“Un vero e proprio errore di semantica” lo ha definito Mario De Nonno, professore ordinario di Letteratura latina all’università Roma Tre. In realtà, come ha specificato anche il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, il termine più adeguato per esprimere questa idea sarebbe simul, ma il CIO lo ha voluto evitare per la sua attinenza sonora con la parola simulazione che è una delle dimensioni per eccellenza dell’antisportività.
Il professor Gabriele Burzacchini, dell’università di Parma, ci fa notare che benché l’avverbio sia usato da Catone in un paio di frammenti, e soprattutto da Cicerone in varie lettere, in orazioni e in trattati filosofici (scrivere una lettera communiter cum aliis 'in comune con altri'; possedere omnia communiter con un altro; cercare il cibo insieme tra dissimillimis bestiolis, ecc.) non è il più adatto ad esprimere nel motto la nozione di 'insieme', che sarebbe meglio resa da simul oppure una. Tuttavia, nella modifica del motto olimpico c’è un ampliamento che va apprezzato e alcune idee che è senz’altro interessante annotare.

Anzitutto la dimensione inclusiva. Lo sport (e la nostra amata corsa a piedi) vuole coltivare una dimensione di inclusione, dove tutti sono cittadini con eguali diritti e altrettanti doveri. Nelle qualificazioni dei 100metri donne abbiamo notato la presenza Houleye Ba, un’atleta della Mauritania che ha corso la sua batteria in 15:26. Non è la prima volta che una donna si presenta a gareggiare alle Olimpiadi coperta con hijab e tuta. Lo sport è di tutti, non solo degli atleti superperformanti. Ma sapete dev’è la Mauritania e siete mai andati a vedere gli impianti sportivi della capitale Nouakchott dove si allena la 29enne professoressa?

C’è poi la dimensione solidale, la vicinanza a situazioni contingenti, a problemi. Possiamo forse rintracciarla, al di là delle questioni politiche, nell’accoglienza con visto umanitario da parte della Polonia della velocista bielorussa Krystsina Tsimanouskaya. L’atleta aveva espresso alcune critiche a suoi allenatori e ai capi delegazione. Messaggi che hanno irritato le autorità del suo Paese, da cui la loro intenzione di effettuare un rimpatrio forzato e anzitempo. Krystsina ha dichiarato che non ha alcuna intenzione di sollevare questioni politiche: "Voglio continuare a correre. Non ho ancora pensato a chiedere asilo politico, voglio solo continuare la mia carriera sportiva".

Nell’aggiunta della parola insieme (un concetto simile sarebbe espresso in parte dalla frase inglese dell’AIMS “marathon is race without race”) c’è infine la sottolineatura della dimensione umana dello sport, un’umanizzazione della pratica sportiva, dove non conta l’agonismo esasperato, la ricerca di sé stessi, il consenso popolare, ma la felicità e la forza del ritrovarsi insieme, che include anche la possibilità di dare una seconda occasione a chi è stato ingiustamente accusato o avesse commesso presunti errori. A noi, lo diciamo con il rischio di esporci a critiche, è mancato il marciatore Alex Schwazer accusato di doping recidivo (dopo una prima condanna, meritata e scontata), privato di due altre Olimpiadi, con sentenze sportive però ‘smontate’ lo scorso 19 febbraio dal gip di Bolzano Walter Pelino senza che i supremi organi dello sport ne tenessero conto.

“Più veloce, più in alto, più forte” valgono ancor più se fatti “insieme”.

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