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Ago 11, 2024 padre Pasquale Castrilli 408volte

Elogio della debolezza olimpica

Elogio della debolezza olimpica Repertorio

Parigi, sabato 10 agosto mattina, rue de Meudon, appena passato il 30° km della maratona olimpica. C’è un uomo che cammina. E’ Eliud Kipchoge. Il campione keniano sta per ritirarsi e mettere fine al sogno di vincere un terzo oro olimpico dopo Rio 2016 e Tokio 2020. Parla con la gente, si toglie le scarpe, le calze sale sulla vettura dell’organizzazione. “La mia peggiore maratona in carriera”, dirà più tardi, “Non so in questo momento quale sarà il mio futuro”.

Parigi sabato 10 agosto, ore 19.48. C’è un uomo a tappeto. E’ Gianmarco Tamberi che sbagliando la misura di 2metri e 27 centimetri esce dalla finale di salto in alto. Un paio di coliche renali dei giorni precedenti ed un ricovero mattutino lo mettono fuori gara. Impossibile difendere l’oro di Tokio 2020.

Parigi 1° agosto. C’è una donna piegata in avanti che si appoggia ad una transenna. E’ Antonella Palmisano che si ritira dalla 20km di marcia al 13° chilometro. Abbraccia l’allenatore e marito cercando una spiegazione. Qualche giorno dopo dirà: “Purtroppo ho contratto il Covid, sono sempre stata monitorata e isolata per non allarmare i miei compagni di squadra”.

E per finire con l’ultima gara olimpica, Parigi 11 agosto: Giovanna Epis arriva tra le ultime in maratona, ma trova che questo sia quasi un buon risultato, dopo che una microfrattura l’aveva ridotta a non camminare fino a due mesi fa.

Campioni medagliati in tante manifestazioni internazionali devono arrendersi a contrattempi e malanni fisici. Le loro vicende, forse, ci riconciliano con la vita e con lo sport. Gli atleti non sono della macchine, ma degli esseri umani, e i carichi di lavoro ai quali si sottopongono non li rendono invincibili. Kipchoge che cammina per qualche centinaio di metri, gli occhi spenti di Tamberi, le lacrime della Palmisano ci fanno sentire più vicini questi campioni che per un momento della loro carrierahanno vissuto le condizioni degli amatori spesso alle prese con imprevisti o infortuni.

Da tali esperienze si riparte verso nuove mete. Gli schiaffi che scombinano la vita sono fonte di umiltà. San Paolo, che nei suoi scritti ha usato spesso metafore sportive, direbbe: “quando sono debole è allora che sono forte” (2Cor. 12,10). Una prospettiva davvero originale. Le ripartenze, poi, sono sempre possibili: lo sport vive anche di rivincite.

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