Abuso di maratona
Stavo programmando di scrivere questo pezzo quando l’email mi ha scaricato l’articolo “Maratona, maratona, maratona e domani farei un’altra maratona” firmato per Endu da Andrea Toso . In realtà non volevo parlare esattamente di quest’argomento, cioè “quante maratone è opportuno fare in un anno?”: quando cominciai io – il passato remoto è d’obbligo – i sacri testi dicevano 2 o 3 l’anno, e infatti il primo anno ne corsi due, il secondo tre, il terzo volli testarmi correndone sette; poi, una volta liberatomi di tutti i malanni all’apparato locomotore (o almeno tenutili sotto controllo, imparato come si curano o si prevengono) mi sono assestato sulle 10-12 l’anno.
Molte per il “comune sentire” e per tecnici seri come Maurizio Lorenzini, pochissime per la prassi dei cosiddetti supermaratoneti, che non hanno più paura nemmeno delle cento maratone l’anno; tant’è vero che ogni anno perdo posizioni nella classifica annuale di “chi ne ha fatte di più”. A fine 2010 ero 25° assoluto, ma alla fine dell’anno scorso sono scivolato al 34° posto, perché i miei miserabili 655 km percorsi in un anno, in 15 occasioni diverse (sono conteggiate anche le ultramaratone) mi collocano a un miserabile 149° posto stagionale, davvero un’inezia rispetto alle 84 e 61 maratone totalizzate dal primo uomo e dalla prima donna italiana.
Ai quali (senza far nomi), e ai loro ‘simili’ si riferisce Toso (cui la Maxiclassifica cartacea assegna una sola maratona nel 2016 e nessuna nel 2017), con queste parole: “forse, collezionano patacche e pettorali per numerare le maratone, ‘ne ho fatte 100, sono a 115 tra maratone e ultra’ è la tipica sentenza, e noi ne rimaniamo un [sic] inizialmente ammirati, fino a sentire i cronometri da ritmo shopping. Tacche sul fucile…. ma certe distanze diventano dannose al nostro organismo, in radicali liberi, danni muscolari e traumi al sistema scheletrico. Le endorfine sono la droga naturale del nostro organismo e come da battuta costano meno di uno psicologo, ma tra scarpe esauste viaggi ed iscrizioni esiste forse un bilanciamento”.
Lascio impregiudicato il quesito (anche se non dubito di come la pensi Lorenzini): io però, conoscendo molti di questi supermaratoneti, parecchi dei quali più anziani di me, li vedo nonostante tutto sanissimi: c’è addirittura un medico ortopedico/fisiatra, più vecchio di me, che in carriera ho sempre battuto, finché lui ha compiuto 70 anni, e da allora mi arriva quasi sempre davanti.
Mentre i danni scheletrici, le carriere troncate per esaurimento di menischi e così via, le ho constatate, in quasi mezzo secolo che bazzico questo mondo, non tanto nei supermaratoneti (sì, due o tre sì, ma non di più), quanto piuttosto in quei giovanotti assatanati dei 3:30 a km, delle mezze corse sotto l’ora e dieci, dei trail fatti zompando in discesa da un sasso all’altro. Lo storico recordman delle maratone, Beppe Togni, correva ben oltre gli 80 anni, si può dire fino alla morte, come fa adesso il carpigiano Antonino Caponetto (lunga vita: l’ultimo nostro ‘scontro diretto’, alla fu-maratona di Carpi, si è risolto a suo favore!).
Ovviamente diverso è il discorso tecnico: se correre una maratona in 4 ore e mezzo sia “ritmo shopping” come scrive Toso (che nella sua ultima maratona ha fatto 3.59:28, giusto come feci io nella mia prima, quando non ne sapevo niente), e se dobbiamo lasciare i 42 km solo a quelli sotto i 4 minuti a km, per far regredire il mondo del podismo ai tempi che i campionati italiani li vinceva Antonio Ambu su un lotto di 50 partecipanti, è una questione (scriveva Manzoni in una parte dei “Promessi sposi” che poi cancellò) sulla quale non ardisco esprimermi.
Ma, come dicevo, l’articolo di Toso è solo un accessorio (un accidente, direbbero i filosofi aristotelici e i neogrammatici) rispetto al tema “abuso di maratone” suggeritomi dall’articolo, stavolta ‘nostro’, di Rodolfo Lollini sull’ultramaratona, per l’esattezza la 24 ore, corsa su tapis roulant in Norvegia e terminata col record mondiale http://www.podisti.net/index.php/notizie/item/2878-record-mondiale-su-tapis-roulant-264-km-in-24-ore.html
Un paio d’anni fa avevo assistito, in anteprima alla maratona di Reggio, a una ‘impresa’ analoga, non so se coronata da qualche Guinness come usa dire; record che comunque era stato superato nel 2017 da un Luca Turrini che l’aveva conseguito addirittura a Sidney. Turrini è di Bovolone (VR), località dove una volta ho corso una maratona: adesso la maratona non la fanno più, e allora i bovolonesi si sfogano sul tapis roulant? L’anno scorso mi era poi capitato di assistere a un paio delle 60 maratone consecutive che un nostro vecchio amico, Daniele Cesconetto, ha corso su tapis in prossimità della maratona di Conegliano: siccome l’aveva fatto per beneficenza, avevo commentato “a parte il Guinness dei primati (che mi lascia piuttosto scettico, specie da quando c’è anche chi fa la maratona palleggiando con due palle da basket), è una iniziativa da elogiare”.
Vedo che la moda comunque si diffonde, e addirittura diventa oggetto di scrittura, diciamo così, d’autore: sulla “Lettura” del Corriere della sera di domenica scorsa, 18 novembre, un articolo di Daniele Giglioli (un po’ troppo difficile e raffinato per i miei gusti sempliciotti, ma non per i salotti d’alto bordo dove le professoresse con l’erre moscia fanno perlomeno finta di capire) tira la volata al romanziere e maratoneta Mauro Covacich (peraltro assente dalla citata maxiclassifica dei due ultimi anni), di cui presenta una raccolta di quattro romanzi come “caparbio esperimento di autofinzione in cui il narratore si è fatto anche performer”.
A spiegare meglio (diciamo così): “Covacich stesso si è fatto performer correndo i quarantadue chilometri e rotti della maratona (specialità cui è dedito il suo personaggio Dario Rensich) su un tapis roulant, una performance intitolata non a caso L’umiliazione delle stelle”: che non è uno dei quattro romanzi ristampati ma, come leggiamo da una didascalia a parte, una “video/audio-installazione”, da cui è tratta l’immagine raffigurante - suppongo - Covacich stesso in slip con tanto di cardiofrequenzimetro e boccaglio per la respirazione a bordo, si immagina, di un tapis roulant da cui appare che abbia finora corso 29 km in 3h02 (quasi quasi ce la faccio pure io, ma non scomoderò la Nave di Teseo per raccontarlo).
Suppongo appartenga all’articolista, ma sia ispirata dal romanziere, la definizione della maratona: “disciplina espiatoria se mai ve ne furono, tortura semovente in cui si perdono chili, acqua, fiato, succhi gastrici, deiezioni intestinali, col rischio costante che ti scoppi il cuore”.
Che schifo, e che palle (nel senso di frottole e non solo). Insomma, che abuso di maratona: arrivato pure alla più antica università del mondo, quella di Bologna, il cui prorettore Enrico Sangiorgi (su “Sette”, altra filiazione del “Corriere” rimodellata dal presenzialista e piacione Severgnini: 15 novembre, p. 70), per esemplificare la scelta di concedere agli studenti di rifiutare il voto d’esame, ma una volta sola, usa questo paragone: “Allo stesso modo, se ci si trova ad allenare un aspirante maratoneta, non si inizia facendogli percorrere quaranta chilometri, ma d’altro canto non si può neanche pensare di farlo correre sempre e solo per cento metri”.
La metafora alquanto barocca (non a caso dall’università di Bologna sono usciti i più grandi studiosi del barocco, da Raimondi a Battistini, e a Bologna si è laureato pure Daniele Giglioli) dovrebbe essere spiegata così: non possiamo pretendere che uno studente superi al primo colpo un esame, dobbiamo farlo allenare e permettere che la prima volta si ritiri; ma la seconda volta, la maratona deve finirla, altrimenti…”.
… Altrimenti lo manderemo sul tapis-roulant.
2 commenti
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Lunedì, 26 Novembre 2018 18:45
inviato da Andrea Toso
Grazie per la citazione, tengo intanto a precisare che le ultime maratone fatte sono state da pacer, bellissima esperienza che passando al triathlon abbandono per altri allenamenti. Poi Le segnalo che richiamo il significato AGONOSITICO della GARA Maratona, quindi uno sforzo massimale, ben diverso da un lungo o una scampagnata turistica, non per niente top runners arrivano a farne due all’anno perché il nostro organismo, muscoli, energia etc richiede un tempo di recupero ben maggiore.
Detta la mia opinione, credo fermamente l’errore sia nell’ingordigia della FIDAL che richiede uguale iscrizione a qualsiasi partecipante, sebbene siano sport diversi quello di un agonista e di un affettuosamente detto Tapascione, sebbene svolti sullo stesso percorso (pagato dai secondi per altro...).
Cordiali saluti -
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Sabato, 24 Novembre 2018 14:36
inviato da pasquale
Grazie Fabio. Il tuo articolo fa riflettere (come sempre) e aiuta a capire che i principi sono importanti, ma poi esistono le persone. ognuna con un vissuto e con caratteristiche la rendono unica. Evviva!
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