33a Venicemarathon: sensazioni e … addio
La 33a Venicemarathon è stata condizionata dalle condizioni meteorologiche. Gli oltre 5mila partecipanti hanno dovuto fare i conti con il maltempo, annunciato alla vigilia. Prima della partenza è piovuto, poi lungo il percorso è soffiato un insidioso vento in specie lungo il Ponte Libertà che conduce a Venezia. Gli ultimi 3 chilometri sono stati corsi con l’acqua alta, che ha soprattutto penalizzato coloro che sono giunti con tempi oltre le 3h30’.
Per la cronaca 4˙914 sono stati i finisher di cui 3828 uomini e 1086 donne, quindi oltre un terzo le atlete, a dimostrazione della crescente partecipazione femminile nelle gare sui 42,195 km. La Venicemarathon è una gara un po’ particolare. La denominazione stessa inganna. Infatti si corre lungo la riviera del Brenta, attraversando nell’ordine Stra (partenza), Dolo (5° km), Mira (10° km), Oriago (15° km), la Malcontenta, Marghera (1/2 maratona), Mestre (25° km), poi Parco S. Giuliano (30° km), Ponte della Libertà (35° km), per concludersi a Venezia a Riva Sette Martiri, con gli ultimi 3 km contrassegnati sì dalla bellezza della città lagunare, ma anche dall’insidia dei 13 ponticelli. Non è una maratona dove si corre per realizzare il personale sulla distanza, ma il percorso piatto e lineare è comunque scorrevole. Il tasso elevato di umidità sempre presente, causato soprattutto dal fatto che si corre ai bordi di un fiume prima e del mare poi, è un dato negativo per la performance dell’atleta.
Le insidie maggiori quest’anno sono state causate da condizioni non imputabili all’organizzazione, che in oltre un trentennio di edizioni ha maturato enorme esperienza e ha visto correre su queste strade atleti del calibro di Gelindo Bordin, vincitore nel 1990 in 2h13’42”, Stefano Baldini, debuttante qui sui 42,195 km, 6° nel 1995 con 2h11’01”, Emma Scaunich nel 1992 in 2h35’06”, e una lunga schiera di atleti keniani ed etiopi soprattutto nelle edizioni del nuovo Millennio. Quest’anno i ristori e gli spugnaggi sono stati sempre ricchi di bevande e cibi solidi, ma i corridori delle retrovie hanno dovuto fare i conti con tanti bicchieri e bottigliette gettati a terra, e lo slalom di alcuni per accaparrarsi le bevande. Poco funzionale la sacca ove lasciare gli indumenti e altri oggetti personali nei camion: trasparente, leggera, fragile. Così c’è stato chi al traguardo l’ha trovata bagnata. I gazebo ove cambiarsi erano piccoli e l’aria irrespirabile.
Per me come atleta quest’edizione della Venicemarathon è stata la 50^ maratona che ho portato a termine, di cui 5 proprio in questa manifestazione. Nel lontano 1990 realizzai con 2h48’35”, quindi alla media di 4’ al km, la mia 3^ migliore prestazione sulla distanza, giungendo 120° assoluto. Allora piovve dall’inizio alla fine, ma la performance non fu penalizzata dal vento e dall’acqua alta. Da allora ho sempre ripetuto che questa è la maratona più bella, benché il giudizio sia parziale, in quanto non ho corso tutte le maratone nel mondo e solo una all’estero, proprio in quel 1990, quando a Berlino corsi in 2h53’18”. Non soddisfatto del tempo, in quanto avevo condotto una preparazione in estate non ottimale, ritentai a Venezia, migliorandomi di quasi 5’.
Dopo un lungo stop a causa della rottura del femore per investimento, fu proprio a Venezia che ricorsi nel 2014 la mia prima maratona, con il pettorale gratuito, vinto a una staffetta sull’ora a Roma. Ma non ritornerò alla Venicemarathon in quanto ho ravvisato troppe criticità. Ora che l’età avanza, il mio livello non è più quello di un tempo, cerco di correre qualche ultramaratona, considero opportuno correre gare meno impegnative in Italia come la Turin Marathon, che è in calendario ora a inizio novembre.
In ogni modo la Venicemarathon rimane una gara impressa nella mia mente e che ha segnato anche la mia carriera podistica di corridore dilettante. Non nego di aver sempre apprezzato le bellezze della Riviera del Brenta, la gente assiepata lungo il percorso, la musica che allieta la corsa. La prima parte del percorso gara, lungo il Brenta, si sviluppa in un ambiente ricco di suggestioni storiche, culturali e paesaggistiche, caratterizzato dalle numerose ville venete affacciate sulle acque del fiume.
Amo la natura e considero i percorsi più belli per una maratona quelli che, partendo da un centro urbano, si snodano lungo strade in campagna per poi ritornare in città, come nella Maratona di S. Antonio a Padova. Le metropoli italiane non sono oggi molto adatte a ospitare una gara lunga 42,195 km, soprattutto per la mancanza di una cultura sportiva. Preferisco una gara con percorso misto in città e in campagna o montagna.
Spero che il Comitato Organizzatore possa prendere atto delle anomalie che ho sottolineato, in modo da rendere più fruibile la prova per i maratoneti, che intendono portare a casa, oltre alla medaglia, un’esperienza di sport e comunque di vita.
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