Simone, pettorale 26 e la corsa come terapia
Corre e sorride, Simone. A dispetto di tutto. Della sua malattia, della crudeltà della vita, dei sorrisini di alcuni compaesani. Ha 26 anni, è nato con un ritardo mentale, ha cominciato a camminare a quattro anni, da piccolo non parlava ma si esprimeva con suoni e gesti delle mani.
Tutto era iniziato al terzo mese di gestazione. Amniocentesi. Danni irreversibili al cervello. Iniziano i tentativi per capire e provvedere da parte dei genitori super impegnati: Giovanni, suo padre, docente di storia dell’arte, va in pensione con grande anticipo per investire tutto sulla salute e la felicità di questo figlio.
Le cure in Italia, poi a Philadelphia negli Stati Uniti per capire i margini di intervento e di miglioramento. La corsa come terapia. Simone esce ogni giorno, “a volte anche due volte al giorno”, mi dice il papà e “ombra” di Simone. Fino a qualche anno fa correva al suo fianco, da un po’ di tempo a questa parte lo segue in bicicletta. Non è raro vederli sbucare all’improvviso da un angolo del paese. Simone avanti, con la sua tipica andatura un po’ ciondolante, Giovanni dietro a pedalare e inseguire il sogno di una normalità.
Gli anni passano, i genitori invecchiano, Simone è ormai un adulto. Come sarà il futuro? Domande impegnative, ma obbligate.
Intanto Simone fa vita da atleta, mangia senza sale, sta attento al sovrappeso, corre una cinquantina di chilometri a settimana, ha interpretato la stracittadina delle sue parti, gara pianeggiante di 7 chilometri, a 4’50’’/km. Corre, sorride, saluta esibendo il pettorale 26 come i suoi anni. Evviva Simone, evviva la corsa!
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