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Set 05, 2019 2370volte

Il “principe” Silvano incoronato re a New York (ma è solo un romanzo)

Il momento della massima concentrazione... Il momento della massima concentrazione... Roberto Mandelli

Mi è stato segnalato il romanzo di Adriano Corona Silvano principe del Monreale (resta il dubbio se dopo “Silvano”, dove il titolo in copertina va a capo, ci voglia un punto o un trattino: si veda l’edizione del maggio 2019 presso AmicoLibro, Vico II S. Barbara, 4, 09012 Capoterra (CA) - www.amicolibro.eu): poco più di un centinaio di pagine scritte da un podista amatoriale, ugualmente diviso tra il fascino della sua Sardegna e l’attrazione fatale di ogni maratoneta verso New York.

Il protagonista si chiama Silvano Melas, un bambino come tutti gli altri, ma con qualcosa in più, e  che a 7 anni vedendo in tv il successo di Pizzolato in Central Park si innamora definitivamente della corsa, cominciando a sognare di poter ripetere l’impresa. 
Il racconto segue la crescita del ragazzo, dedicando ampio spazio alle scorribande e avventure coi coetanei nell’incanto dei paesaggi sardi: durante una di queste, i ragazzi riescono a entrare nei ruderi del Castello di Monreale (realmente esistente nell’entroterra dell’isola, a sud-ovest da Sàrdara), di cui appunto Silvano si proclamerà “principe”, valendosi della carica soprattutto per ammaliare la bella Elisa, una ‘continentale’ ma di famiglia sarda, che torna nei paesi degli avi per le vacanze estive.
Ma questo accadrà molto più tardi, attorno ai vent’anni del ragazzo: il quale, prima, ha cominciato a partecipare a corse ufficiali, vincendo a sorpresa una “marcialonga” di 12 km, e incrementando i chilometri fino a partecipare alla prima maratona di Cagliari (reale o immaginaria? personalmente mi capitò di correrne in Sardegna durante gli anni Novanta, ma a Platamona e ad Assemini, non propriamente nel capoluogo), nel momento cruciale dei suoi esami di maturità. Sarà a lungo in testa, crollerà nel finale ma porterà ugualmente a termine l’impresa.
Silvano si affida a un allenatore, Attilio, un vecchio maestro elementare cui era morto il figlio ventiseienne, già maratoneta a Roma 1960 (a ventidue anni? Per la cronaca, il sardo Antonio Ambu gareggiò in maratona a Tokio quando aveva 28 anni) e in procinto di partire per le olimpiadi di Tokio: gli allenamenti si svolgono in buona parte sulle pendici del Monreale, con l’occhio fisso alla New York dell’anno dopo, secondo metodi rigorosi cui Silvano si assoggetta volentieri: la prova generale dovrebbe tenersi di nuovo alla maratona di Cagliari, che però Silvano deve saltare per un attacco di appendicite e susseguente operazione.
Restano pochi mesi, ma l’obiettivo New York rimane fisso, e così sarà, per la 28^ edizione del 1998: nel frattempo, le fatiche della preparazione sono alleviate dalla delicata e casta storia d’amore con Elisa (nipote di Attilio), che ripartita per il continente lascerà a Silvano una poetica lettera da aprirsi solo alla vigilia della maratona newyorkese.
Silvano e Attilio partono alfine per gli States, ed è la prima volta che il giovane, ventunenne, si allontana dalla Sardegna. La stupefatta ammirazione per i grattacieli lascia il posto alla pianificazione della gara, ovviamente diretta da Attilio che però, il giorno dell’evento, lascerà partire Silvano da solo per Fort Wadsworth, limitandosi a raggiungere Central Park per assistere alla gara tramite maxischermo e direttamente al finale.
La descrizione della corsa (le ultime 10 pagine) lascia piuttosto a desiderare (a mio parere), risultando più fiabesca-leggendaria che credibile: in base ai tempi di qualificazione, Silvano è assegnato alla seconda wave (non weve come è ripetutamente scritto a p. 113), eppure dopo poche miglia si trova a tallonare i top runners, inserendosi addirittura, unico italiano, nel gruppo di testa: nemmeno i telecronisti italiani (dalle cui labbra pendono, in Sardegna, gli amici e familiari che stanno seguendo la corsa in tv) sanno chi sia. Silvano è urtato e cade, sembra addirittura che si fratturi un polso, eppure viene rialzato e gonfio di adrenalina (come si suol dire), oltre che col pensiero della ‘sua’ Elisa che gli si è dichiarata per lettera, raggiunge di nuovo i primi, ridotti a quattro. Due perdono il contatto, restano un etiope, ormai allo stremo delle forze, e infine il keniano Mutai, vincitore uscente: a Silvano tornano in mente le parole del suo allenatore: al termine di una maratona, le gambe e la testa ti abbandonano (la seconda cosa, veramente, sarebbe esiziale!), rimane solo il cuore, inteso – suppongo – come coraggio, e solo a quello bisogna affidarsi.
A un km dalla fine l’etiope è superato, resta il keniano, affiancato e poi lasciato indietro a poche centinaia di metri dal traguardo, sotto lo sguardo di Attilio che, sventolando la bandiera sarda dei quattro mori, piange tutte le sue lacrime nel vedere finalmente un proprio ‘figlio’ trionfare in maratona.
Siamo all’apoteosi: il romanzo si chiude con Silvano disteso a terra dopo la finish line, che mormora: “È così bello che potrei morire”.

Che dire, da lettore? È una ‘favola bella’, molto ideale e un po’ enfatica, che forse un editor-maratoneta avrebbe aggiustato sia nell’intreccio generale sia in dettagli, come quello di Silvano che arrivando in corsa dal Queensboro Bridge ammira i grattacieli finora “visti solo in tv” (p. 113), ma che in realtà erano già stati contemplati e fotografati a pagina 108. Oppure l’abuso di virgole, anche in zone proibite come tra soggetto e verbo (“i volontari dell’organizzazione, distribuivano cibi e bevande”, “gli sembrarono in quel momento, parole troppo sussurrate”), tra verbo e complemento o viceversa (“portavano sempre in dono, dei buonissimi pasti pronti”; “la loro unica scoperta interessante, la fecero sotto la casa”, “nonostante avesse corso gran parte della gara, a pochi metri da loro”), tra frase reggente e frase secondaria (“Ci volle circa mezz’ora, per giungere a destinazione”).
Ma sono quisquilie: se la trama vi è piaciuta, vedete di procurarvi il libro e leggetelo durante la prossima trasferta per una maratona. Se poi sarà per la maratona di Cagliari (la cui edizione 2019 è stata annullata, con rinvio al 2020), sarà ancora più a tema.

 

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