Onore alle donne della maratona
8 marzo. In questo giorno della Festa della donna vogliamo rendere onore a cinque fortissime donne. Ricordando che la storia delle donne in atletica risale a meno di un secolo fa. Nelle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 furono infatti ammesse, per la prima volta ai Giochi, 300 donne. Un’inclusione che ha portato nell’ultimo secolo a progressi fenomenali in tante discipline dello sport, dell’atletica e della vita. Lo sport ha riconciliato nazioni, fatto progredire il genere umano, ha permesso di eliminare stereotipi. Compreso quello della presunta inferiorità femminile.
Ma torniamo alle nostre cinque.
Kathrine Switzer e Bobbi Gibb
Non potevamo non cominciare da lei. Maratona di Boston 1967. Uno degli atleti iscritti regolarmente risulta “KV Switzer”. Le donne non erano ammesse alle maratone, ritenute troppo esigenti per un fisico delicato. Kathrine quel giorno si camuffa da uomo, ma nel corso della gara viene riconosciuta da un giudice che le si para innanzi per toglierle il pettorale numero 261 e fermarla. Alcuni atleti, tra cui il fidanzato Thomas Miller, le fanno da scudo e la Switzer termina la gara.
In realtà si scoprì anni dopo che un’altra donna aveva corso a Boston già nel 1966, ma senza pettorale dunque non risultando regolarmente iscritta alla gara. Si tratta di Roberta (Bobbi) Gibb, che corse poi anche nel 1967 e nel 1968 con tempi più veloci della Switzer. Nel 1996, trent’anni dopo, la Boston Athletic Association conferì alla Gibb un riconoscimento per essere stata la prima donna al traguardo nelle edizioni 1966, 1967 e 1968.
Al di là degli intenti femministi delle protagoniste, le immagini di queste atlete americane si sono trasformate in un’icona della parità dei diritti e dell’uguaglianza sociale. 4 ore e 20 minuti per la Switzer, un’ora in meno per la Gibb, per entrare per sempre nella storia.
Edna Kiplagat
Mondiali del 2013. Al microfono della Rai la medaglia d’argento Valeria Straneo parla di “una ragazza” che l’ha superata nei chilometri finali della maratona. Non sa nemmeno come si chiama. L’italiana era partita sicura di vincerla quella gara, non erano contemplati avversari. Peccato che Edna non fosse una sconosciuta di giornata, l’atleta che fa l’exploit della vita. Era arrivata a quell’appuntamento con la medaglia d’oro in maratona ai mondiali di Taegu nel 2011, il terzo posto alla maratona di Londra sempre nello stesso anno, Il secondo posto alla maratona di Londra nel 2012 e nel 2013. Carriera continuata con altri splendidi risultati in quella Londra che è diventata la sua città di adozione: primo posto alla maratona del 2014, argento ai Mondiali sempre a Londra nel 2017. Nel 2017 vince anche la maratona di Boston all’età di 37 anni.
La “sconosciuta” keniana è stata una delle più forti maratonete di questi ultimi decenni. Esponente di quella schiera di atleti degli altipiani africani che hanno sconvolto la maratona al maschile e al femminile. Cinque figli, un lavoro da poliziotta, Edna vive a Iten dove è considerata "un modello”. “Ho incoraggiato le ragazze a studiare in Kenya e le donne a formare associazioni” - ha detto - “Aiuto anche le famiglie meno fortunate pagando le tasse scolastiche dei figli”.
Rosa Mota
Piccola, leggera. Uno scricciolo di 1 metro e 57centimetri per 45 kg di peso. Ricorda la nostra Annarita Sidoti, marciatrice di origine siciliana che ci ha lasciati nel 2015. Alle Olimpiadi di Seul del 1988 Rosa vince la maratona con un attacco decisivo al chilometro 40 che la porta al traguardo con 13 secondi di vantaggio sulla seconda, Lisa Martin. Una medaglia storica, la prima al femminile nei Giochi olimpici per la sua nazione, il Portogallo. Tra l’altro non avrebbe dovuto partecipare a quella gara per una squalifica. Oltre a quel risultato Rosa è riuscita in altre imprese: campionessa mondiale (Roma 1987) e tre volte campionessa europea (Atene 1982, Stoccarda 1986, Spalato 1990).
Una vera e propria eroina nazionale che ha vinto 14 delle 21 maratone corse in carriera tra il 1982 e il 1992. Chissà cosa ha pensato nel 1988 quando è stata insignita del Premio Abebe Bikila per lo sviluppo degli allenamenti sulle corse di lunga distanza. Lei che da bambina, nella periferia di Porto dove era nata, correva e combatteva con problemi di anemia e asma.
Grace Sugutt
Chi è costei? La meno nota delle cinque che oggi menzioniamo. Vienna, 12 ottobre 2019. Eliud Kipchoge corre la prima maratona della storia sotto le due ore. Una competizione organizzata appositamente per lui, un tempo non omologabile come record del mondo. Eppure, “In questo giorno storico volevo la presenza di mia moglie e dei miei figli”, ha avuto modo di dire Kipchoge. Pochi metri dopo aver chiuso la prova in 1 ora, 59 minuti e 40 secondi, il primo abbraccio è a lei. Grace Sugutt è la moglie di questo campione keniano, il più forte di sempre sulla maratona. Eliud ha più volte espresso la sua ammirazione per la fermezza della donna che vive al suo fianco e che si prende cura amorevolmente dei tre figli a Eldoret, la città keniana dove vivono. “Eliud saluta tutti nel nostro villaggio - ha detto Grace - non è uno distante, ‘arrrivato’. E’ una persona ordinaria come tante”.
E a chi le chiede il segreto delle vittorie del marito, risponde: lavoro duro e disciplina combinati con cibo sano.
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