Freddo e neve, l'habitat di Gianluca Di Meo
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Gianluca Di Meo, un ultramaratoneta bolognese che ha fatto della corsa in natura il suo stile di vita. Ne è saltata fuori un’intervista molto interessante nella quale si parla anche di qualche gara particolare.
Buona lettura…
1) Come ti sei avvicinato alla corsa e come mai hai deciso di correre ultramaratone?
Diciamo che ho iniziato a correre sognando già e poi correndo le ultramaratone. Ho cominciato a gennaio 2004 coi miei primi 10 km dopo 20 anni (alle medie correvo le campestri e facevo domenicalmente le camminate podistiche). Obiettivo maratona dopo 3 mesi e la mitica 100 km del passatore dopo 5 mesi. Ricordo la mia prima maratona preparata con 3 o 4 lunghi vestito in t shirt di cotone, scarpe da tennis, calzonicini da calcio, stigmate all’altezza dei capezzoli, crampi, vesciche, le lacrime dell’arco di Costantino a 200 mt della fine della maratona di Roma
Incontrai quel Vito Melito che quando ero piccolo ammiravo al telegiornale quando vinceva questa gara folle e inizia a correre con lui. Tolto lo sfizio e il sogno della 100 km (mezza camminata e mezza corsa) mi spostai più sulla qualità che le lunghe distanze con al massimo distanze fino alla maratona. Nel 2006 mentre guardavo il Tg5 scoprii la corsa in natura all’ennesima potenza con la vittoria di Marco Olmo all’UTMB, una gara di 170 km e 10000 mt di dislivello positivo attorno al monte Bianco. Andavo a camminare in montagna da sempre ma non avevo mai corso in montagna.
Comprai per euforia uno zainetto e le scarpe che per tre anni non usai mai. Avevo un capriccio da togliermi, la 100km. Preparai nella calda estate 2008 la mia seconda 100 km, Lipsia. Migliorai il mio personale sulla distanza di 8 ore.
Nel 2009 decisi di buttarmi a 360 gradi nella corsa in natura e la mia persona e la mia vita cambiarono in positivo. Ho buttato via il cronometro e mi sono perso letteralmente sulle cime delle montagne ed i sentieri. Il tempo trascorso non volevo che finisse mai e le distanze si sono allungate fino ad arrivare all’UTMB di 168 km 10000D+ e al Tor di 330 km e 24000D+.
Nel 2013 venni scelto per disputare l’edizione 0 della Grande Corsa Bianca in totale autosufficienza. Amore a prima vista. Nelle varie fasi di cambiamento di me stesso, nelle varie fasi della scoperta della corsa, l’approdo alle avventure nel ghiaccio in autosufficienze hanno avuto un peso enorme su chi sia Gianluca in questo momento.
2) Qual è la gara che ricordi più piacevolmente e qual è invece quella che non avresti mai voluto correre?
Ce ne sono talmente tante che ricordo positivamente che avrei l’imbarazzo della scelta. Potrei dire la Rovaniemi 150 che ho vinto facendo il record della corsa ma sarebbe troppo scontato o l’UTMB 2013 dove mi seguiva tutta la mia famiglia, la grande Corsa Bianca 2015 la mia prima grande prova artica, la 100 km di Lipsia indimenticabile, l’UTMB reprise 2010 con l’arrivo sotto l’arco di Chamonix esattamente 4 anni dopo l’inizio del sogno UTMB, il pianto a dirotto lungo la valle di Gressoney al Tor 2015.
Quando rileggo certe avventure che ho scritto sul mio blog, o ricordo dei particolari ad alta voce, mi capita spesso di piangere a dirotto, ritrovarmi io contro la natura, ricordare i pensieri, le sfide e sapere come poi è andata a finire mi commuove. Diciamo che il ricordo indelebile che ha segnato la mia vita sportiva è il pianto nella valle di Gressoney al Tor al 200esimo km di gara. Un’emozione vedere la quarta alba consecutiva e capire che vorresti che quei giorni non finissero mai, che la tua mente potrebbe fare altri 1000 km e non vorresti arrivare al traguardo più tardi possibile.
Non ricordo corse che non avrei mai voluto correre. Anche i calvari peggiori mi hanno lasciato qualcosa per la persona che sono adesso
3) Lo scorso anno hai vinto una gara un po’ particolare, la Rovaniemi Artic Winter di 150 km: hai voglia di raccontarci questa tua avventura? Come mai hai deciso di provare una cosa del genere?
Come dicevo prima, mi ero già spostato sulle corse in natura più autosufficienti possibile. Perchè nell'autosufficienza non c’è solo un impegno fisico, ma strategia, preparazione, studio, ragionamento, navigazione…
Nel 2014 corsi la prima Grande Corsa Bianca edizione 0 di prova ad invito e nessuno dei 30 partecipanti aveva ben chiaro cosa fosse trainare per 170km con 7000D+ una pulka sulla neve.
Quella corsa fu interrotta dopo 70 km per via di valanghe dopo un calvario di 25 ore di nevicata fitta e neve che arrivava anche al ginocchio.
L’edizione 1 e 2 della Grande Corsa Bianca invece mi trovò molto più preparato. Rovaniemi 150 rimaneva un sogno. Che però decisi di cavalcare.
4) Come si prepara un’avventura del genere e cosa lascia addosso dopo averla portata a termine?
Sulla carta sembrava più semplice, meno dislivello, più scorrevole. Sei pur sempre al circolo polare artico, a temperature che all’improvviso possono balzare a -30 -40, tempeste di neve e ghiaccio che possono tagliare orecchie e naso se non li copri all’istante, dita di mani e piedi a costante rischio. Ristori assenti e soli check point di acqua calda, quando sei all’aperto per ore fermarsi in una struttura calda chiusa per qualche mezz’ora a cambiarsi può davvero fare la differenza. Un'avventura sicuramente apparentemente più facile come percorso, ma non come ambiente. Mi iscrissi senza lasciare nulla al caso: ore di preparazione fisica, logistica, cerniere, gps, alimentazione, cintura di traino, resilienza statica sotto la bufera, nessun aspetto sottovalutato. 200 km a settimana, qualche prova di traino, prova materiali sotto stress maniacale. Resistenza al bagnato di giacche guanti, scarpe, calzini; reazioni dei vari cibi al freddo; traino della slitta; preparazione di addominali e schiena mediante esercizi di core stability due volte la settimana. Manualità in condizioni di stress delle lampo, con i vari tipi di guanti (a casa ho 60 paia di guanti diversi a seconda della loro funzione, e solo a Rovaniemi ne avevo 3 indosso contemporaneamente e 8 tra indosso e nella slitta). E’ andata… e bene! Con molta umiltà sono andato in Lapponia per finirla tenendo presente il tempo massimo di 46 ore, e caricando la pulka di cibo per stare fuori due notti. Invece in 24 ore ho vinto la gara e ho stabilito il nuovo record del percorso.
5) In futuro che programmi hai?
Ho sempre sognato anche prima di iniziare le avventure bianche l Alaska, Jack London, Zanna Bianca ma soprattutto Chris McCandless e il suo Magic Bus. L’Iditarod è una corsa di 1800 km che collega una parte all’altra l’Alaska. Il progetto era di correre questa gara nel 2020. Quest’anno sono iscritto alla gara più corta, di 130miglia, per avvicinarmi al grande freddo e alla grande solitudine di questo territorio incredibile come l’Alaska. Non andrò! Ho scelto di avere altre priorità e quando la testa non è pronta al 10000 per mille per queste sfide, si può anche arrivare a rischiare la vita. Nel 2018 correrò l’ultratrail della Via degli Dei che collega la mia Bologna a Firenze sul classico sentiero che da decenni vede il pellegrinaggio di camminatori da tutto il mondo. Vorrei correre sull’Etna e scalare il Cervino
6) Tu che sei un esperto di ultramaratona, che consigli ti sentiresti di dare a chi vorrebbe provare un’ultra per la prima volta?
Ricordando come mi sono avvicinato all’ultramaratona potrei essere l’ultima persona che potrebbe dare consigli. Da ultramaratoneta da 20 anni, il consiglio che posso dare è di avvicinarsi per gradi, di allenarsi e gareggiare distanze in base all’allenamento fatto perché farsi male è molto facile. Chi si avvicina alle ultra in natura, prima deve provare a stare in giro in montagna senza pettorale di gara e in autosufficienza e deve conoscere la montagna, la natura e se stesso al meglio. Non si deve dimostrare nulla a nessuno tranne a se stessi e non è il numero di km fatti o il numero di maratone o ultra che dà il valore di una persona.
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