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Ott 19, 2021 3978volte

Da Parigi una lezione anche per l’Italia?

Da Parigi una lezione anche per l’Italia? Roberto Mandelli

17 ottobre - Diciotto mesi era la durata del servizio militare quando toccava ai miei ‘coscritti’; e diciotto mesi è durata la naja della 45^ maratona di Parigi, prevista la prima domenica di aprile 2020, e arrivata di rinvio in rinvio a questa edizione (marchiata sulle magliette 2020/21) di cui conoscete già i primi dettagli:

http://podisti.net/index.php/cronache/item/7867-parigi-maratona-di-parigi.html

Iscritto già dal 2019, ammetto di essermi spazientito, non tanto per il primo rinvio (nell’aprile del 2020 eravamo tutti ostaggio dei cinesi) quanto per l’annullamento del ‘recupero’ previsto a ottobre, epoca nella quale forse si poteva correre ed effettivamente da qualche parte si era corso (Davos, San Marino, Pescara per limitarmi alle esperienze vissute). Chi fa questo genere di trasferte sa che difficoltà ci siano a spostare i voli di aereo e le date degli alberghi, spesso prenotati con tariffe economiche e non rimborsabili: ma per questo devo dire che mi è andata bene, ovvero ho scelto i partner giusti: Air France, che prima mi ha spostato i voli, poi me li ha rimborsati, e infine mi ha di nuovo accolto, a un mese dal via definitivo, con una tariffa decisamente economica (260 euro con valigione in stiva e snack a bordo), e – last but not least – mi ha portato a destinazione e riportato indietro con 20 minuti di anticipo sugli orari di arrivo previsti.
Davvero simbolico che la partenza per Parigi sia stata il giorno che Alitalia ha smesso di rompere (sebbene i suoi sprechi tipicamente romani continueranno a pesare sulle nostre tasche per decenni), e non ne sentiremo proprio la mancanza. Le ultime trasferte maratoniane con Alitalia furono per me a Cagliari (dove mi smarrirono il bagaglio sia all’andata sia al ritorno) e a Palermo (dove l’OK per il volo di ritorno, che per errore loro mi avevano messo intorno a ora di pranzo, mi arrivò solo a due ore dalla partenza del volo che avevo prenotato). Riposi in pace, e soprattutto lasci in pace noi (magari, soffrirà la solitudine quella ex amica che, fatta la conoscenza di un pilota Alitalia, si faceva scarrozzare gratis sui voli e ospitare negli alberghi ufficiali, sdebitandosi nella maniera che immaginate).

2. Il secondo partner ben scelto è stata l’agenzia Ovunque di Modena; a parte l’antica conoscenza col principale, ex maratoneta da tre ore, che risale perlomeno alla trasferta per la maratona di Monaco nel 1992, dichiaro solennemente e senza contropartite (se volete vi mando le ricevute dei pagamenti, a tariffa non scontata) che una agenzia così ‘onesta’, efficiente e solidale non l’ho ancora trovata (come si vede anche dalla recente quérelle su New York, in cui Ovunque è stata l’unica agenzia ad annunciare sul suo sito la rinuncia al viaggio e la politica di ‘ristori’ per gli iscritti).

Diciotto mesi (anzi di più, perché la prenotazione risale a un paio d’anni fa) di continui aggiornamenti, ipotesi, pagamenti dilazionati (il saldo ce l’hanno richiesto dieci giorni fa!), e insomma ci siamo trovati in 35, ognuno col suo aereo o treno preferito, messi in un alberghetto a 200 metri da partenza e arrivo (impagabile uscire dall’albergo già vestiti da gara, e rientrarci per la doccia  appena venuti fuori dalla zona-arrivo), scortati la vigilia tra RER e metrò fin dentro la grande fiera di Porta Versailles, e aiutati a superare le problematiche relative alla documentazione, soprattutto anticovid.

3. Il Covid, appunto. Mi fanno malinconia i comunicati ufficiali delle corse italiane dell’ultimo anno, dove l’aggettivo “rigoroso” accompagna sempre il soggetto “rispetto dei protocolli”: perché se omettete “rigoroso”, magari, Speranza e Arcuri vi bloccano la gara. In Francia, dove ci insegnano democrazia non da duemila anni come crede il nostro ministro degli esteri, ma almeno da 232, il cosiddetto green pass va tenuto sempre con sé perché te lo chiedono in aeroporto, in ristorante, al museo ecc. (e non si limitano a dargli un’occhiata, lo scansionano sul serio), e la mascherina va portata in tutti i negozi, bus, metropolitane (si vedono anche cortei no vax e no greenpass, ma pacifici, e rumorosi nei giusti limiti, scortati discretamente dalle forze dell’ordine). Inesistente il controllo della temperatura: il razionalismo l’hanno inventato in Francia, da noi non è ancora arrivato, salvo che… all’aeroporto di Bologna il termoscanner non funzionava e siamo entrati tutti in allegria (come diceva un saggio, la severità delle leggi italiane è compensata dalla loro disapplicazione).
In compenso, l’Italia (ministero della Speranza) si è inventata un ennesimo illogico, inutile, seccante e paranoico documento, sedicente europeo ma in realtà vigente solo da noi, Malta e Slovenia, intitolato “Autodichiarazione giustificativa per l’ingresso in Italia dall’estero”, e pomposamente (io so ammericano der Kansas City) PLF, Passenger Locator Form, dove anche gli italiani devono dichiarare il motivo per cui rientrano in Italia (nostalgia degli spaghetti è un motivo valido?), indicare precisamente il volo con cui rientrano e il posto occupato in aereo, e perfino il numero di telefono di una terza persona da contattare (ero tentato di metterci il mio nipote dodicenne!).
Il documento, siccome la burocrazia speranzosa ama le scartoffie, va compilato online ma anche stampato: e la compilazione online è di una complicatezza che meriterebbe l’incarcerazione nella Bastiglia per chi l’ha ideata. Anzitutto bisogna registrarsi al sito, inserendo tutti i dati e inventando una password; poi entrare, reinserire i dati (come se il più sfigato dei navigators non fosse capace, partendo da nome e cognome, di risalire a tutto quanto lo Stato e la Rete sanno di noi); e ancora dare il codice del volo (nel mio caso, AF 1028), e una volta dato questo, specificare anche da dove parti, in che albergo sei, dove arrivi e a che ora, e per di più dire anche in che regione ti trovi e in che regione atterrerai (perché il suddetto sfigato navigator, o l’ultimo pulitore di cessi nella sede di Google, può non sapere, se parti dal CDG e atterri a Bologna, la regione in cui sei e quella in cui ti troverai). Non è dittatura, nooh, è stupidità sanitaria. Comunque, tutto fatto e stampato. Poi arrivi all’aeroporto di Parigi e nessuno vuol vedere niente, il check in è completamente automatizzato e nessuno ti controlla (salvo poi, all’ingresso delle partenze, sequestrarti la mezza bottiglietta di acqua: pavido riconoscimento agli eroici assalitori del Bataclan e di Charlie Hebdo); arrivi a BLQ (ah no, nel PLF la sigla dell’aeroporto è diversa) ed esci senza incontrare nessuno. Chissà se la autodichiarazione che ho tenuto varrà anche quando tornerò da Valencia, oppure se ci sarà un nuovo funzionario che ne inventerà un’altra, ricevendo l’approvazione del ministro mentre costui si farà la barba (ma poco, per non sembrare un bambino).


4. Il Covid e le Paris Marathon. Non so se anche qui ci sia un ministro Espoir che impone il respect rigoureux, ma sta di fatto che all’ingresso dell’Expo ci controllano (con scanner) due volte il pass, la prima come gente qualunque che va a una esposizione, la seconda, trenta metri oltre, come iscritti alla maratona: dopo di che ci allacciano al polso un braccialetto, che sarà obbligatorio mostrare all’ingresso nei box domenica mattina, dove ovviamente avremo la mascherina da deporre dopo partita la gara (in realtà qualcuno se la toglie pochi metri prima del via ufficiale). Al traguardo ce ne daranno una nuova, da indossare… ma con calma, doucement.

Siamo in circa 35mila, che credo sia il record europeo dalla ripresa (altroché le majors italiche dove accedi solo se stai sotto le 2h45), e le partenze sono scaglionate nell’arco di quasi tre ore (come del resto già succedeva prima, a New York o Chicago ecc.), secondo megagruppi basati sull’obiettivo cronometrico dichiarato. Ovviamente il tuo tempo sarà esclusivamente real, con rilevamenti ogni 5 km e al 21,097, e rilascio delle medie cronometriche parziali e complessive: da Concorezzo, Mandelli resta incollato allo schermo e mi vede avanzare, prima baldanzoso poi sempre più fioco, lungo l’ippodromo di Vincennes o la Senna, e con uno scatto d’orgoglio equino all’uscita dall’ippodromo di Longchamp.

I ristori cominciano dal km 8 e seguiranno regolarmente, con tavoloni preannunciati da cartelli 250 metri prima, e lunghi (non esagero) 100 metri, e centinaia di addetti, che prima ti mettono in mano la bottiglietta d’acqua Vittel aperta, poi ti lasciano prendere con le tue mani la gran varietà di cibi solidi (banane francesi di Guadalupa e Martinica, biscotti, prugne e albicocche secche, tortine, zollette di zucchero e tanto altro), infine ti danno ancora da bere. Simpatici i tantissimi cassonetti raccoglitori, nel cui coperchio sollevato è dipinto un bersaglio, da centrare con la tua bottiglietta che cadrà esattamente dentro, come a basket se tiri sul tabellone (ammetto di aver sbagliato due centri tirando di mancino, ma in altri due casi ho messo a canestro la bottiglia senza bisogno di rimbalzo, in uno con un tiro che sarebbe stato da 3…). In ogni caso, i puristi salutisti e rigoristi (non come Veretout) si scandalizzeranno, però 35mila podisti di tutto il mondo hanno affondato le proprie mani nel cibo collettivo, come al traguardo hanno ripreso in mano la propria borsa dei ricambi, lasciata nei depositi ufficiali: il vaccino cosa ci sta a fare, se non garantirci queste semplici libertà?

5. Eccoci alla maratona, a correre per le strade dove ogni angolo ha una lapide ricordo di qualche grande evento storico: la chiesa dove Manzoni si convertì e quella frequentata da Dante, il convento dove Mabillon ricostruì la storia del cristianesimo, la casa dove morì Chopin e quella dove Stendhal scrisse Le rouge et le noir, Notre Dame ferita e la Tour Eiffel in via di ridipintura per i giochi olimpici del 2024 (quelli che Roma non ha voluto): state facendo 42,195 km (avvisa uno striscione) nella città più bella del mondo.

No, dire che è la più bella forse non è vero (mi tengo Roma, Firenze e Venezia), ma certamente non basta: è la capitale culturale del mondo civile, una Città-Luce (come viene chiamata) dove il 67% dell’energia elettrica è prodotto dalle centrali nucleari, il 13% è idroelettrico, l’8 % eolico, solo il 7% è da combustibili fossili (da notare che lo sponsor principale della maratona è la Schneider Electric, che si occupa di tutto quanto è elettrico, digitale, per la valorizzazione sostenibile di ogni risorsa); la città dove gli uomini di cultura non si preoccupavano di andare da Fazio o di sfruculiare sulle carte delle procure, ma lanciavano i loro rischiosissimi J’accuse contro il Potere; dove un De Gaulle, il 18 giugno 1940 (non il 24 aprile 1945) inventava la parola Résistance in una frase come “Qualunque cosa succeda, la fiamma della Resistenza non deve spegnersi e non si spegnerà mai… Il destino del mondo è là”; o altre frasi da mandare a memoria e pronunciare con un groppo alla gola: “Che tutte le nostre libertà ci siano rese. Che l’ideale secolare della Libertà – Uguaglianza – Fraternità sia messo in pratica. Che questa guerra abbia per conseguenza un’organizzazione del mondo che stabilisca la solidarietà e l’aiuto mutuo delle nazioni”.

Correre la maratona di Parigi è anche pensare a cose come queste, perché se è vero, come Le Parisien del lunedì mette in bocca a un arrivato, “ci siamo io e gli altri, quelli che hanno fatto una maratona, e gli altri. C’est genial!”; la Verità più resistente di Parigi è quella dell’invenzione del metro e del pendolo di Foucault, la scoperta del radio o la creazione della bicicletta, della mongolfiera o della macchina a vapore, l’ideazione dell’alfabeto Braille, l’insegnamento di Cartesio e Molière, di Zola e di Baudelaire, e perfino dei coniugi Leroy e Merlin, o di Louis Vuitton il cui museo è al km 40 della gara; quella che ha portato a Parigi, da un’Europa ancora impaurita, trentacinquemila corridori, più le centinaia e migliaia in coda per i tantissimi musei e luoghi di culto cristiano o laico. Parigi val bene una tacca, e molto di più.

6. Su come sia andata la maratona, saprete già l’essenziale. L’Equipe intitola, credo con un gioco di parole, Le coup de pompes à l’idole, “Rotich, un keniano inatteso aiutato dalle calzature al carbonio, ha strappato il record della corsa all’iconico Kenenisa Bekele”: una quarantina di secondi limati, sette anni e decisivi progressi tecnici dopo (cui forse alludono quelle “pompe” in grado di pompare le prestazioni come le gomme di bicicletta). Comunque sia, è di tutto valore un 2.04:21 su un percorso abbastanza ondulato come quello parigino (duretta la salita al km 16 di Vincennes, con le risalite dai tunnel dei km 26/30, gli ultimi strappi nel parco di Boulogne fra il 35 e il 41); e fa piacere apprendere che Rotich, 31enne finora vincitore solo a Eindhoven nel 2018, terzo ad Amsterdam nel ’19, è pupillo di Michele Zangrandi, coach bresciano formatosi nel team Rosa.

Presto arrivano a ciascuno sul telefonino le misure della sua prestazione (chissà come l'avrà presa quel ragazzo che appena davanti a me scoppia in un pianto deluso, invano consolato dalla sua ragazza, stupenda come quasi tutte le francesi, specie quelle di colore); poco dopo anche un video di 3 minuti (gratuito), e nel mio caso una sessantina di foto ufficiali prese da varie posizioni, scaricabili per meno di una trentina di euro (per salire neanche a metà della Torre Eiffel ne spendi 16,70, per entrare al Pantheon 11,50, per il museo degli Invalidi 14… la cultura costa).

Il mio Polar direbbe anche altro, se credessimo alla sua misurazione di 43,150 km (non ci credo, beninteso, però non mi è mai capitata una differenza così netta dalla misurazione ufficiale); serve a consolarmi dal mesto confronto col record personale di Parigi, 3.28 di 27 anni fa. Eppure ci si muove ancora; ne avremo a sufficienza per la Parigi olimpica del 2024??

Informazioni aggiuntive

Fotografo/i: Fabio Marri, Paris Marathon
Fonte Classifica: active.com

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