Svizzera: salta la storica Swissalpine 2023
9 febbraio – Un comunicato proveniente da Coira (Chur, Svizzera), attuale sede della leggendaria Swissalpine nata a Davos 38 anni fa, annuncia che “con grande rammarico nostro la Swissalpine Chur non avrà luogo nel 2023”. La gara, articolata su tre distanze di 86 km (+5300 D), 42 (+2650 D) e 22 km (+1400 D), con partenza-arrivo a Coira (45 km in linea d’aria da Davos, molti di più per strada o ferrovia), non si terrà per ragioni economiche: “Eravamo stati troppo ottimisti sul finanziamento da parte locale, che invece risulta molto inferiore e non tale da portare avanti un evento dalla qualità desiderata. Gli iscritti saranno totalmente rimborsati. Ma non è chiaro cosa succederà con la Swissalpine Chur; vista l’abbondanza di gare trail vecchie e nuove, gli eventi unitariamente sviluppati e sostenuti a livello regionale dovrebbero avere maggiori possibilità in futuro”.
Sono al momento confermati gli altri due ultratrail in zona: il Davos X Trail, che sotto la mitica Montagna incantata ha preso il posto della Swissalpine antica ricalcandone la data (28-29 luglio) e in parte i tracciati: di 68 km (+2600 m D), attraverso i passi classici Scaletta e Fertig ma con l’aggiunta micidiale del Fanez; di 43 km (+1400 m) senza il Fanez, di 23 (con partenza da Klosters, godibilissimo), di 10 e di gare per bambini.
E lo Swiss Irontrail di Savognin (1-2 luglio), sulla distanza estrema di 105 km (+ 6700 m D) con passaggio da Berggün (altro luogo storico di transito della classica Swissalpine), sui 50 km (+2500 – 3100 D) e 20 km (+1200 D).
Ma l’impressione, da parte di uno come il sottoscritto che alla Swissalpine di Davos c’è stato dieci volte tra il 1999 (una delle primissime gare raccontate su Podisti.net appena nato) e il 2020 (quest’ultima volta, elogiando gli svizzeri che, primi in Europa, osavano proporre una corsa in piena pandemia), è che si sia perduto lo spirito originario della Swissalpine: una gara, dura sì, ma che si poteva correre con le scarpe normali da asfalto, perché l’unico tratto che oggi si definirebbe trail era quel paio di km nella discesa dal passo Scaletta verso Davos, ormai a una quindicina di km dall’arrivo; e i 75 km (poi 78,5) erano ampiamente corribili nelle 12 ore concesse, che spesso venivano allungate per aspettare gli ultimi (ricordo da principio, con venerazione, l’ingegner Morisi da Persiceto, poi Govi, infine Micio Cenci, tra i tanti delle nostre contrade che venivano qua). Per chi non se la sentiva, c’erano i 42 km con partenza da Berggün, e per un certo periodo ci fu perfino una seconda 42 km (C 42), ancor meno dura, e conclusa da un’accoglienza alle terme; senza contare le distanze più brevi.
Ma a un certo punto scoppiò la mania del trail, nel senso via via più hard, che significò espellere i maratoneti normali per lasciare spazio ai superatleti (magari con 49 sfumature di maniacale, ma numericamente assai più ridotti); ricordo che una volta la gara fu spostata a Samedan, località già molto più anonima, su un percorso quasi totalmente accidentato, che non piacque né a me né all’inviata di “Marathon4you”, né soprattutto ai podisti, dato che eravamo sì e no un paio di centinaia.
E a quanto pare i corridori sono calati ancor più, e in parallelo gli sponsor pubblici e i privati. Siamo davvero sicuri che il futuro della corsa sia nei sentieri EE, magari EEA con qualche ferrata e il rischio di cadere in un burrone?
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