Pianoro (BO), 52^ Galaverna, una festa per migliaia
21 gennaio – Cinquantadue edizioni, le prime in altra collocazione, ma poi stabilmente qui, a una dozzina di km da Bologna, dove le due ferrovie “direttissime” (quella del 1931 e l’AV) si biforcano per valicare l’Appennino. Come nella tradizione, freddo barbino (-4 alla partenza) ma il sole: 4 percorsi, con leggera riduzione del chilometraggio complessivo causa una frana che ha interrotto il giro tradizionale della seconda parte, dopo il ponte di Pianoro Vecchio; i due tracciati più lunghi erano dati di 16 e 20 km, il mio Gps alla fine segna 19,100 per il maggiore, con 578 metri di dislivello complessivo.
Gara non competitiva come sempre, prezzo d’iscrizione che più basso non si può (2,50) soprattutto se commisurato ai 4 ristori intermedi (con tanto di torte casalinghe) e al ristoro finale, che a me (alla 13^ partecipazione, malgrado i 60 km da fare per arrivare là) è parso più ricco e gustoso che mai.
Ma non credo che le migliaia di podisti e camminatori venuti qui perfino da Desio (ancora a 10 minuti dalla partenza, la fila al tavolo delle iscrizioni superava la cinquantina di metri) puntassero soprattutto ai ristori, e al premio finale (6 “peschine”, come quelle che nella mia infanzia le suore dell’asilo vendevano per 30 lire la domenica davanti alla chiesa): è il fascino dei panorami, quelli vicini di calanchi e vigneti, quelli più all’orizzonte come il Monte Cimone e le Prealpi veronesi, che si godono dalle prime due alture, ai km 5 e 13 (come detto, ci è mancata la terza salita, col discesone ora ghiacciato ora infangato da fare per ridiscendere al piano); ed è anche la non eccessiva difficoltà del tracciato, non a caso affrontato (almeno il “medio” dei 10 km) anche da giovanissimi, per i tre quarti asfaltato e per il resto su comode carraie, con un po’ di fango da scioglimento ghiacci solo intorno al km 15.
Meno belli il km di strada statale e la zona industriale degli ultimi km, sebbene coronata da un ristoro-super, comprendente, oltre alle torte, anche la cioccolata calda: poi, il grande parco abitato da anatidi vari, e l’abbuffata finale col clou delle cotiche nel brodo di fagioli, ma pure dei maccheroni col ragù alla bolognese, del vin brulé e altre leccornie che si trovano solo alla “Galaverna” e sono l’ideale per scacciare il freddo (“sai quanta gente ha fatto il bis e il tris?”, mi diceva la erogatrice di mestoloni).
Disponibile, per ripararsi, anche una sala-teatro, dove, oltre ai servizi igienici, era allestito perfino un deposito borse (cosa inaudita in una non competitiva). Usciti alfine allo scoperto per il via, qualcuno si è spazientito perché la sindaca la tirava in lungo con la sua concione, oltre tutto inascoltabile causa la povertà dell’altoparlante, mentre noi zampettavamo cercando le rade lame di luce nella strada gelata: finalmente alle 9.08 ci hanno lasciati partire, e solo dopo un paio di km, quando la strada finalmente saliva, la temperatura corporea è divenuta accettabile e abbiamo potuto godere la festa, sia chi più o meno correva (qualcuno aveva pianificato questa corsa come tappa di avvicinamento alla maratona di Bologna), sia chi camminava, magari tenendosi delicatamente per mano tra partner, anche stagionati, o raccontandosi tra amiche le ultime vicende del marito di quella o del proprio figlioletto sciatore impaurito o dei genitori morti di Covid uno a un mese dall'altro.
La “Galaverna” è questa: sport, solidarietà (un contributo era promesso al settore oncologia dell’ospedale S. Orsola), affetti, chiacchiere… e alla fine, pieno soddisfacimento del palato.
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