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Mar 16, 2025

Nashville, il fascino di una “piccola” maratonina nella giovane America

Nashville, il fascino di una “piccola” maratonina nella giovane America Roberto Mandelli

Nashville (TN), 15 marzo – Accanto alla grande maratona (e mezza maratona) dell’ultimo sabato di aprile, questa mitica città musicale del Middle-East offre a getto continuo eventi podistici. Sabato scorso era stata la volta della “St. Paddy’s Half Marathon”, affiancata dai 5 e 10 km; questo sabato, nella ricorrenza di S. Patrizio, tocca appunto alla “Publix St. Patrick’s Music City Half Marathon”, con l’usuale contorno dei 5 e 10 km, collocata in un grosso parco appena a nord del fiume Cumberland, 300 metri in linea d’aria dal centro città, e sì e no un miglio dal grande Nissan Stadium del football dove arriva la maratona. In questo parco, anzi, la maratona vive la sua fase decisiva, all’incirca nei suoi km 30-40, sulle sue piste ciclopedonali leggermente ondulate, attorno al lago e nei boschetti dove si aggirano scoiattoli e caprioli, mentre gli alberi sono popolati dai tipici tordi migratori americani (dei simil-pettirossi grandi il doppio).

La partenza, come usa da queste parti, è piuttosto mattiniera: ore 7,45, con attesa degli ultimi fino a mezzogiorno; ma le nefaste previsioni meteo (dopo una settimana stupenda, con cieli limpidi e temperature ideali, fin verso i 15 gradi), che danno piogge deboli dalle 6 del mattino, e via via più forti dalle 11, inducono gli organizzatori a istituire un tempo limite di 3 ore, con l’ipotesi addirittura che nel caso di temporali con fulmini il via sarà dato solo dopo 20 minuti dalla fine degli eventi peggiori (il messaggio della vigilia avverte “We've produced many races in the rain and are closely monitoring the weather for tomorrow's race as safety is always a top priority. Should lightning occur, we will delay the race for 20 minutes after the last strike”).

Come raccomandato, raggiungo la zona col “carpooling”, per l’esattezza con Uber; purtroppo alla gran maggioranza di noi italiani gli interessi di casta impediscono di godere di Uber, un’istituzione meravigliosa che si gestisce tutta dal telefonino: entri nell’app, digiti dove sei, dove vuoi andare e a che ora, entro un minuto ti compare il modello, la targa dell’auto e il nome dell’autista che ti verrà a prendere, col prezzo che sarà scalato dal tuo conto (dunque niente paura che il taxista ti faccia fare il giro delle sette chiese per far salire la cifra); entro un’ora dalla partenza puoi disdire tutto, e questo mi tornerà comodo dopo l’arrivo della gara, quando anticipo alle 10 la ripartenza: puntualissimo, si presenterà all’uscita del parco una grande Kia guidata da un giovane figlio di profughi cubani: nella vita gestisce trasporti agricoli coi camion, e dedica 2-3 ore al giorno a guidare un Uber.

Al mattino, salvo una minima spruzzata verso le 7,15, assolutamente non piove e fa anzi caldino, sui 17 gradi. Il ritrovo, sotto tendoni e in parte nelle strutture fisse del parco (ma le rest-room sono lucchettate…), è gestito come si deve per la consegna pettorale (cui è incollato il chip di prammatica), pacco gara, custodia bagagli: d’altronde, siamo sì e no un migliaio, con tariffe che a seconda dell’età, della gara e della data di iscrizione variano da zero a 127 dollari, devoluti in beneficenza.

Si parte tutti insieme, preceduti da tre biciclette che faranno da battistrada sulle tre distanze; in coda partono anche giovani famiglie, addirittura una mamma col mega-stroll su cui stanno tre bimbi piccolissimi. Un’altra ragazza ha sul dorso della maglietta una scritta divertente in cui esorta chi le sta dietro a prendere la vita con allegria.

Ristori di acqua e Gatorade all’incirca ogni due miglia, percorso segnatissimo e con transenne agli incroci, in qualche tratto c’è doppia corsia con l’invito a tenersi dal lato sinistro della transenna. Ma dopo mezz’ora comincia a piovere, dapprima qualche goccia, poi via via peggiorando, con fulmini e acqua dal cielo come si vede solo nei film americani. Sto scambiando due chiacchiere con una ragazza americana che si pone come obiettivo le 2h15 (è incredibile quante donne ci siano: in fase di sorpasso ne conto 12 in fila indiana, senza gli usuali accompagnatori-gabbiani che imperversano da noi), già abbiamo incrociato il primo uomo che, mentre noi siamo verso il sesto miglio, sta tornando verso il traguardo, quando un addetto ci preavvisa che dopo cento metri dovremo fare inversione a U e immetterci nelle ultime 2-3 miglia del percorso. Già è molto che la gara non sia stata sospesa (nefasto il ricordo di una maratona di Messina sospesa sulla linea di partenza perché tirava vento), e suppongo che i primi siano riusciti a fare un percorso più lungo (non tutti i 21, stando ai tempi realizzati: penso 17-18), mentre a noi del gruppone risultano 11,350 km cioè poco più di metà. Comunque le strutture d’arrivo funzionano benissimo, e le classifiche si ottengono in tempo reale inquadrando il qr code della corsa e connettendosi al sito https://www.racetecresults.com/results.aspx?CId=20003&RId=552&EId=1&dt=0 .

Il ristoro, cui si accede staccando via via i tagliandini in fondo al pettorale (due di Drink, uno dei quali serve per la birra alla spina, e uno di Food), oltre alle solite bevande, banane e arance, consiste in un sacchetto a scelta, riempito all’istante dagli addetti,  tra Vegetables (che nessuno sceglie), Chicken (scelto, diciamo, dal 25%) e Pork (tutti gli altri, come il sottoscritto che poi fa un secondo giro e si gusta pure il Chicken); più l’aggiunta di altri generi, crackers, chips, donoughs ecc., e la possibilità di insaporire il tutto con le salse e le verdure più disparate, e perfino qualche bustina di parmesan made in California.

Le classifiche danno 330 arrivati sui 5 km, 224 sui 10, e 352 sui 407 partiti per la mezza maratona: di questi, la maggioranza (180) sono donne, “solo” 171 gli uomini, e uno registrato come Mixed, un M 25 che ovviamente vince la sua categoria con 1.08:23 (arriverà anche in Europa la categoria del terzo sesso?).

La graduatoria assoluta vede primo Jordan Wilson, un M 35 (qui le categorie, secondo le regole mondiali, sono basate sull’età effettiva, non sul millesimo), con 1.00:42, seguito da due donne: Reagan Henderson, F 35, con 1.04:25, appena 7 secondi davanti alla F 20 Sarah Mullin. Quarto è addirittura un M 15, Jack Lowry; e c’è perfino la categoria under 14, con un solo partecipante, Zeke Shepherd, 130° assoluto in 1.10:28.

Inserito nella categoria M 70, scopro di essere secondo con 1.14:57, a 12” dal vincitore Kent Spaulding; e credo di ricordare questo biondo magro che mi ha passato a un certo punto (dal real time appare che io sono transitato sotto l’arco 26 secondi dopo il via, lui dopo 48, dunque mi ha rimontato). Il terzo arriva quasi cinque minuti dopo. Curiosando tra le categorie, vedo che sono ben 46 le F 25 e 33 le F 30 (dove le trovate tante ragazze nelle maratonine italiane?); mentre la vincitrice delle F 65 con 1.13:33 (quindi davanti al sottoscritto) si direbbe abbia origini nostrane chiamandosi Brigitte Fasciotto. Potrebbe essere “nostro” anche il terzo M 65, Ernesto Valle (1.13:39).

Ma la cosa che più marca la differenza con le corse lunghe italiane è il numero dei componenti delle categorie più anziane, gli over 60, che in Italia sono la stragrande maggioranza, mentre qui sono 11 in tutto su 171 maschi, di fronte a ventitré M 20, cinquantadue M 25, ventitré M 30.

L’America è un paese giovane e il podismo qui ha un futuro. A proposito di gioventù, non ero qui per la maratonina ma per il quinto compleanno, oggi, del mio meraviglioso nipotino dal doppio passaporto, Alessandro, che fra tre mesi avrà un fratellino. Alla festa di compleanno del pomeriggio, in un grandioso impianto sportivo con almeno dieci campi da calcetto per bambini e dieci piste da basket, tutte al coperto, un’altra giovane mamma italiana annuncia che al suo Leone, di un anno, aggiungerà a fine anno una sorellina. In Usa si crede ancora nel futuro: tutte le donne italiane che conosco, arrivate qui senza figli e spesso senza lavoro, hanno trovato rapidamente ottimi impieghi e messo al mondo due-tre figli ciascuna. L’unico rimpianto è che questi ragazzi italiani per ius sanguinis e americani per ius soli, col cavolo che torneranno in Italia… Racconta Federico Rampini, da 25 anni negli Usa, che fin dai primi tempi i suoi conoscenti altolocati della California e della East Coast dichiaravano di voler fuggire da questo regime antidemocratico, magari nelle loro case a Parigi o nelle ville toscane di proprietà; eppure sono ancora qua. Ben altro genere di popolazione viene a fecondare la nostra penisola.

Informazioni aggiuntive

Fotografo/i: F. Marri - R. Mandelli
Fonte Classifica: Comitato organizzatore

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