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Apr 29, 2018 4666volte

Nashville (TN, USA), 19a Rocknroll Marathon: dalla Marathon ad Alexa?

2018 St. Jude Rock ‘n’ Roll Nashville Marathon & Half Marathon 2018 St. Jude Rock ‘n’ Roll Nashville Marathon & Half Marathon Photo By Donald Miralle

Sono 2143 i classificati in maratona entro il tempo massimo di 6 ore, e 20865 quelli della mezza maratona, partiti in contemporanea alle 7,15 di sabato 28 (in più erano programmate una 5 km e gare minori). Gli organizzatori parlavano di 4000 iscritti alla maratona: sicuramente molti sono arrivati fuori tempo massimo, come mi era facile dedurre quando, dal mio km 37 e seguenti che si svolgevano in buona parte sulla stessa strada nei due sensi, vedevo camminatori affrontare, già intorno alle 4h 45 dal primo sparo, gli ultimi loro 10-12 km inclusivi di salite. In più c'era la possibilità di optare, al bivio del km 19 e in altri due punti dove noi maratoneti rinvenivamo sul tracciato della mezza (sia pure con circa 8 km in più sul groppone), per autoridursi il percorso e concludere legalmente la gara rientrando in due classifiche 'speciali'. 

Da rilevare pure come gli arrivati in maratona siano equamente suddivisi tra uomini e donne, e per la mezza le donne siano quasi il doppio degli uomini: cose impensabili da noi in Europa, in Italia soprattutto. Non si tratta di supercampionesse: la vincitrice della maratona, la cipriota con doppio passaporto Stella Christophorou, ha impiegato quasi 2.54, infliggendo 13 minuti alla seconda, l'americana Heather Crowe. La vincitrice era smontata dal suo lavoro in Kentucky all'una di notte. Una volata in Tennessee per prendere il via, ma la fortuna di 'trovare' il marito, un militare americano, che faceva servizio come accompagnatore in bicicletta...  della prima donna! Immagino le lamentele delle italiche cacciatrici di prosciutti per un'eventualità del genere.

La maratona di Nashville, nata come 'Country music marathon' ma inserita da alcuni anni nel circuito Rock' n' roll (che comprende varie gare Usa e alcune europee), non è certo una maratona da tempo, per le molte asperità soprattutto della prima parte piuttosto collinare (già il nome di Belmont Avenue su cui si corrono parecchi chilometri è indicativo). Ha vinto per il sesto anno consecutivo il 36enne Scott Wietecha, migliorando il suo tempo del 2017 (quando fece davvero molto caldo), ma senza battere il suo miglior personale qui, in 2.28:18, con un minuto e mezzo di margine sul 22enne libanese Garang Madut. Le cronache fotografiche documentano anche il suo ricorso a una delle numerose toilette mobili disposte lungo il tracciato, davanti alle quali (appunto per la loro numerosità) non si generavano mai le lunghe code che siamo abituati a vedere di solito. Notevole pure che accanto a ognuna delle infinite postazioni per complessi rock ci fosse una toilette. È ovvio che non solo i podisti ma anche i musicisti abbiano certi bisogni durante 6-8 ore.

Anche in altri casi ho constatato con invidia la solita organizzazione americana, a cominciare dalla sistemazione nel vasto parcheggio gratuito dello stadio del football intitolato alla Nissan (che a Nashville ha la sede centrale per  tutti gli States): già nelle strade di accesso alla città (intasate questa mattina  come le nostre tangenziali alle 8 e alle 18 e quasi sempre in altre ore, anche per uno sciagurato camion che la sera prima aveva messo fuoriuso un sottopasso in un incrocio essenziale) c'erano code disperanti, che inducevano molti podisti ad accettare le offerte dei tanti parcheggi a pagamento da 10 dollari in su nelle vicinanze. Io invece ho avuto fiducia e giunto allo stadio verso le 6.15 ho trovato innumerevoli segnalatori che hanno guidato me e figlio (all'esordio sulla mezza) al settore D, zona G, piazzola 46. Da lì, 10 minuti a piedi verso la chiesa battista davanti alla partenza, dove una prima serie di bagni (o come le chiamano qui, sale da riposo) offriva sfogo alle impellenze fisiologiche, cui sopperivano poi altre toilette chimiche piazzate di fronte alla consegna bagagli.

Non sarà la più rinomata delle maratone Usa, ma una città che già nel 1907 aprì una fabbrica di auto chiamandola Marathon e assegnandole un podista come logo, di certe cose dimostra di avere una lunga esperienza...

Partenza nella centralissima Broadway, di fianco al palaghiaccio dove ieri i Predators locali hanno disputato la prima gara dei playoff scudetto. Si parte a ondate, distanziate di un paio di minuti l'una dall'altra, sebbene l'accesso ai vari settori non fosse controllato e comunque i settori non fossero separati. Cosicché,muovendomi in avanti appena sentito lo sparo, mi sono trovato con una coppia bolognese di amici di Podisti net, Andrea Sotgiu e Cristina Pasin, e insieme siamo partiti (loro per la mezza) dopo 13 minuti dal primo sparo. Naturalmente, checché ne pensino i soloni della Fidal, l'unico tempo valido per la classifica è quello registrato dal tuo chip attaccato al pettorale, dunque non serve sgomitare come in Italia. L' unica pecca del sistema è stata per me il non potermi fidare dei tempi indicati dai pacemakers (uno ogni 15 minuti), non sapendo in quale ondata fossero partiti: tant'è vero che sono arrivato a pochi metri dalla pacer delle 4.45, ma il mio real time risulta, come è giusto, di 4.55.

Percorso, a quanto ricordi, identico all'anno passato: il gps dichiara 42,850 metri (+500 di dislivello) ma sto abituandomi a non credergli troppo. Bella la prima parte, con lo stupendo coronamento del giro nel campo da baseball, ripresi dalla telecamera che vi proietta sul maxischermo; più monotona la seconda metà, stradoni, fabbriche, concessionarie e tanto sole. Induce invece a pensare la serie di cartelli esposta verso il km 16  dall'ospedale pediatrico St. Jude, che dà il nome alla maratona con finalità di raccolta fondi, ed esibisce le foto di tanti piccoli suoi pazienti, e alla fine la scritta: finché un solo bambino morirà di cancro,  noi non smetteremo di muoverci.

A proposito di scritte, i cartelli inalberati dal pubblico sono tra le cose più divertenti, seppure non tutte originali: come "su una scala da 1 a 10, tu sei 13.1" (l'equivalente in miglia della maratonina); oppure quello hard in mano a una donna: "hai un fucile sotto gli slip o sei contento di vedermi?". Piu saggio "la sofferenza dura un giorno, la classifica è per sempre"; sacrosanto " il matrimonio è una maratona, non uno sprint"; arguti "se pensi alla fatica che fai, pensa alla mia nel reggere questo cartello", oppure "mi sono allenata tutta la settimana per tenere su questo cartello". Noi italiani non siamo secondi a nessuno nel gestire in allegria le maratone, ma coi cartelli non siamo ancora a questo livello. Arriverà, come immagino che arrivi a breve Alexa, un robottino pazzesco che furoreggia nelle case, obbedisce a comandi a voce tipo "accendi la luce in cucina" o "mettimi una canzone di Joan Baez" o "chi ha vinto la maratona di New York?". Tutto per rendere più pigra e ottusa e obesa la gente: l'anno prossimo voglio chiederle di correre la maratona al posto mio...

Per fortuna, al momento corrono donne in carne e ossa: arrivato nel punto dove chi ne ha deve tirarne fuori, cioè alla deviazione degli ultimi 10 km verso il laghetto e il campo da golf sormontato da un ponte ferroviario come ne vediamo solo nei western o in Cassandra crossing, là dove gli addetti ai ristori (tanti!) cominciano a distribuire sacchetti di ghiaccio e bustine di sale, ingaggio pacifiche battaglie con due cavallone locali, i cui pettorali (nel senso di Bibnumber) dichiarano i nomi di Olson e Gwenthian. La prima mi supera inesorabilmente, la seconda invece sembra cedere, anche perché attardata dall'amica Julia. Insomma, un sacco di donne, che certi modenesi di mia conoscenza, ritratto vivente della sf* (in senso etimologico), che li porta a correre solo se affiancati da una di sesso opposto, ci farebbero più di un pensierino (specie se riuscissero a scroccare il pettorale anziché pagarlo 69 dollari come me).

Io invece arrivo al traguardo in solitudine (la biondina pacemaker fa il suo mestiere qualche decina di metri avanti). Solitudine integrata virtualmente dall'assistenza transoceanica di Roberto Mandelli, che mi rimbalza quasi minuto per minuto tempi di passaggio, piazzamenti ecc., e costruisce a getto continuo album fotografici mixando cene tennesseane e razzi di Alabama, come Alexa non saprebbe...

Dopo l'arrivo, la medaglia e i tanti generi di conforto (tra cui un benedetto asciugamani intriso di acqua fredda e una birra), trovo mio figlio con la medaglia al collo, entusiasta e che già progetta la gara del 2019 con colei che diventerà sua moglie. È giusto che noi anziani cediamo il passo a chi ha la gamba più sicura.

Informazioni aggiuntive

Fotografo/i: Fabio Marri

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