Forno di Zoldo : una DXT esagerata e da commuovere
C’è poco da dire: ai confini tra Bellunese, Südtirol e Carnia si trovano le Dolomiti più favolose: se fai un trail da queste parti, sei sicuro che ti aggirerai fra panorami (questì sì, una volta tanto tiro fuori anch’io l’abusato aggettivo) mozzafiato: sia perché in certi punti, o forse quasi in ogni momento, l’imponenza delle cime e la varietà rigogliosa delle valli ti obbligano a fermarti per ammirare; sia perché, per raggiungere quei punti, la fatica è tale che spesso devi fermarti, gravare con le ascelle sui bastoncini, far calare un po’ i battiti, bere.
La Val Zoldana, bella fino alla commozione, è tuttavia più da intenditori che da turismo di massa: schiacciata com’è tra il Cadore, Cortina, la zona del Falzarego e del Giau, l’Agordino, l’Alleghese, forse troppo bassa per impedire il superamento dei 30 gradi da giugno ad agosto (i maggiori agglomerati, compreso il capoluogo Forno di Zoldo, stanno intorno agli 800-900 metri), è relativamente meno frequentata, e anche meno attrezzata turisticamente salvo le sei settimane di punta. Chi ci viene anche fuori stagione lamenta negozi e ristoranti chiusi; e infatti, in questo secondo weekend di giugno, l’arrivo di un migliaio di podisti più le loro famiglie riempie tutti i buchi da Longarone in su, e addirittura induce gli amministratori locali a istituire un senso unico alternato in centro con semaforo che genera qualche coda, sebbene il traffico qui sia piuttosto modesto.
E, dicevo, qualunque percorso off road si possa scegliere, avremo sempre un’esperienza – oltre che una fatica – indimenticabili. A Forno e dintorni è stato tracciato da alcuni anni l’ “anello zoldano”, unendo i vari sentieri che si abbarbicano tra la lunghissima catena di Tamer- Moiazza- Civetta (paradiso dei ferratisti) a sudest, e il Pelmo a nord (nel mio giudizio molto opinabile, il Pelmo è la più bella cima di tutte le Dolomiti: quando ti spunta dopo una svolta del sentiero, non puoi fare a meno di fermarti, guardare, fotografare, e ti viene letteralmente un groppo in gola: ecco cos’è il “mozzafiato”).
L’idea base degli organizzatori zoldani è stata di trasformare l’Anello in un trail, lungo 53 km con circa 3800 m di dislivelli e una punta massima che malgrado il nome di “Busa” sta a 2360 metri, cioè 1530 sopra la partenza, da scalare in circa 20 km con l’intermezzo di una ‘cimetta’ intermedia a 2050 metri. Insomma, si può fare.
Poi, la malattia che sta pervadendo tutti gli organizzatori di trail (è successo così anche nella confinante Lavaredo) ha portato a raddoppiare il giro originale, istituendo una gara davvero “Extreme” di 103 km con 7000 metri di cosiddetto D+, e una trentina d’ore assegnate per completarla. A Cortina hanno avuto un successo strepitoso, e come al Monte Bianco, riescono ad assegnare sì e no la metà dei posti che sarebbero richiesti. A Zoldo siamo ancora agli inizi, e insomma gli iscritti alla gara massima sono stati 295, a quella ‘media’ 361, e 196 alla ‘corta’ di 23 km, in realtà una ventina, con un migliaio di metri ‘tranquilli’ da saliscendere: ce la commenta ora il giovane amico Alessandro Porcelli da Cornaredo:
http://www.podisti.net/index.php/commenti/item/1718-forno-di-zoldo-bl-dolomiti-extreme-trail.html
Il trail è un fenomeno in ascesa, e mentre nelle corse su strada l’età media dei partecipanti sta salendo in modo preoccupante (dalla maratona in su, le categorie dai 50 anni e oltre stanno in maggioranza schiacciante, e il livello tecnico va di conseguenza: se Calcaterra al Passatore ha trovato un rivale, nemmeno di primo pelo, solo dopo 12 anni, significa che quasi non esistono giovani leve), nei trail invece viene gente giovane e a volte giovanissima (ho fatto compagnia per molti km a una coppia di russi, Sergiey e Natalia, lei davvero bellissima ventiquattrenne, lui sei mesi in più!), e molto tosta, a cui noi ex stradisti dobbiamo solo cedere con ammirazione il passo quando saltabeccano su sentieri sassosi nei quali noi a stento mettiamo un piede dopo l’altro: e pensare che loro, nel sorpassarci, ci applaudono e dicono ‘bravò!”.
Ma a Zoldo, oltre che soddisfare le ‘richieste’ o mode del presente, pensano anche al futuro: e devo dire che non ho mai visto in nessun posto una corsa per bambini, anche piccolissimi, di circa due km con salite e discese e ostacoli vari, come quella organizzata la domenica mattina e frequentata da ben 182 frugoli incantati e incantevoli: e qui, il vostro vecchio e consumato podista, tornato sul traguardo che aveva varcato con un pettorale indosso la sera prima, confessa di avere sentito un secondo groppo in gola.
Non morirà del tutto il podismo finché qualche organizzatore sensibile allestirà, oltre ai giri super-extreme-ultra-mega-galactic, anche queste manifestazioni sicuramente in rimessa economica, ma apportatrici di amore e gioia.
Torniamo a noi: il comunicato ufficiale vi ha già informato sui risultati dei primi, con l’incredibile rimonta del vincitore, uno svedese che si è permesso di sbagliare percorso perdendo almeno una ventina di minuti, poi recuperare, riprendere tutti (anche… me! Stavo scendendo la lunga carraia che ci porta al traguardo, 4-5 km a monte, in compagnia di un argentino dal nome celebre di Monetti cui avevo recuperato 12 minuti negli ultimi 10 km, quando sento parlottare in tedesco alle mie spalle. Ecco due pettorali rossi – i nostri erano blu -, che si ricongiungono al giro ’medio’ sull’ultima asperità: sono appunto lo svedese e il tedesco ex capofila, ma che al traguardo beccherà 3 minuti).
Dopo una ventina di minuti arrivo anch’io a Zoldo e mi mostrano le foto dello svedese che percorre gli ultimi metri coi suoi bambinetti (per fortuna non c’erano quegli arcigni giudici Fidal che avrebbero squalificato tutti): ennesimo groppo in gola e occhi un po’ umidi (dite pure che era la pioggia).
Torniamo indietro, alla vigilia della gara: ritiro pettorali e controllo minuzioso del materiale obbligatorio, uguale per i 53 e i 103 salvo che noi non siamo tenuti alle lampade, essendo il nostro arrivo imposto entro le 19: simpatica la ragazza che mi controlla, si fa persino fotografare (ci abbracceremo al ristoro finale, 24 ore dopo). Cambio di programma dovuto alla neve alta che rende impraticabile il sentiero Angelini-Tivan, balconata del Civetta, oltre quota 2000: dopo la Forcella della Grava, circa km 22, e l’attraversamento di alcuni campi di neve, ci faranno scendere fino al villaggio di Pecol, cioè a 1400 metri, dopo 27 km, e poi da lì riguadagnare il percorso originario risalendo una lunghissima pista da sci fino ai 1920 metri del Col dei Baldi: ci schiveremo un tratto un po’ accidentato, ma allungheremo di circa 2 km senza perdere molto quanto a dislivello complessivo (il mio Gps si blocca dopo 24 km, a quota 1450, quando il D+ è già quantificato in 2000 metri).
Sarà forse anche per questo che il cancello delle 9 ore al km 37 (la mitica Forcella Staulanza di tanti Giri d’Italia e di qualche trail tra Pelmo e Civetta) viene un tantino ‘socchiuso’, e la consegna del pacco gara (un paio di belle scarpe da trail che in negozio sono vendute a 70 euro), prima subordinata al superamento del cancello, avviene invece per tutti nel pre-gara. Il regolamento, d’altronde, consente anche a chi si trova provvisoriamente fuori tempo massimo di proseguire, dunque chi ne ha si accomodi (non così ci trattarono a un certo Salomon trail dalle parti di Canazei, e ad un “Sentiero 4 luglio” in zona Aprica).
All’alba si parte: i super-super vanno via alle 5, noi alle 5.30 (orario profanato da troppi eventi che con lo sport hanno poco in comune, e qui invece consacrato, come anche alla TDS di Courmayeur). Primo tratto, fino al Passo Duran del km 12.5 (i super-super hanno già 14 km in più), semplicemente delizioso; più problematico il secondo, che dopo una salita a tratti alpinistica fino al Bivacco Grisetti a quota 2050 (a un certo punto una ragazza mi si accoda dicendo che vuol vedere dove metto le mani io per tirarmi su), si chiude al km 20 della Casera Grava, con secondo ampio ristoro. Poco avanti comincia la neve e il tratto ‘deviato’ di cui sopra; al rientro sulla retta via, la Malga Pioda dove si dovrebbe stare entro le 8 ore (ma in realtà non ci sono rilevamenti, solo il quarto grande ristoro), ci cominciamo a preoccupare perché mancano ancora 8 km alla Staulanza e ci sono tre cimette da fare, la più alta (Monte Crot, zona di guerra, trincee, cannoni) con un dislivello di 600 metri.
Pazienza, ci diciamo tra compagni ritardatari (ricordo tre ragazze, Annalisa, Cristina, Melita): se ci bloccano hanno ragione, se possiamo tiriamo diritto. Alla Staulanza, il vecchio amico Olivier (un trailer in gambissima, belga trasferito a Mirandola, con cui ci conosciamo da quarant’anni e qui correrà i 23 perché ha un paio di progetti grandiosi a breve) mi riempie la borraccia e indica la strada per proseguire. Dovrei fermarmi? mancano “solo” 16 km, forse “appena” 1200 metri da salire, poi c’è il discesone su strada… Evvài!
Ci si dirige proprio sotto il Pelmo, sentiero ottimamente tenuto, in leggera salita (dai 1750 si superano di poco i 2000); riprendo quasi subito i ragazzi russi, le bandelle continuano a indicare la strada, lo smartphone conferma, e finalmente, dopo circa 44 km, ecco la deviazione tra il giro super-super e il nostro dal volto un po’ più umano.
Comincia anche a piovere, io resisto così mentre i ragazzi si cambiano d’abito, credo per la terza volta (al Duran, sotto il sole, avevano due cappelloni stile cowboy o Massimo Muratori); ma la scena tenera di un vitello che tetta dalla mamma merita una sosta e qualche foto un po’ annebbiata. Incrociamo un ragazzo che sale con una gerla stracolma, ci dice che poco avanti c’è la scopa con l’argentino – il mitico Carlos Alberto Monetti che compie gli anni lo stesso mese di Natalia, però 44 autunni prima -, finalmente li prendo quasi in cima al Monte Punta, 47 km e fischia (“se vuoi piangere fallo adesso!” ammonisce un cartello), dove un elicottero sta issando col verricello una podista incidentata. (Mi era suonato il telefono poco sotto, e sentendo il rumore dell’elicottero temevo cercassero me: ma non ho risposto alla chiamata, ero letteralmente in condizione ‘mozzafiato’).
Finalmente siamo alla discesa, una bella carraia poco sassosa, ma lunga quasi 8 km fino all’ingresso nelle frazioni alte di Zoldo. Ci passano i due germanici supermen, noi ci consoliamo superando due olandesi molto più alla portata (io cerco di distrarre la compagnia ricordando certe finali poco limpide dei Mondiali di calcio con Olanda e Argentina protagoniste).
Al penultimo km uno spettatore offre un piatto di cocomere a fette: i miei due piccioni con la fava consistono che afferro una fetta e nello stesso tempo sorpasso un francese che mi arriverà appena dietro; seguono, ai limiti o un po’ oltre il tempo massimo, ma festeggiati e ‘diplomati’, i due olandesi, una coppia di italiani, l’argentino, un altro olandese, la lettone Elina di 27 anni, che zoppica ma all’ultimo km rifiuta l’ambulanza; e finalmente i due russi, che chiudono gli arrivi in 14h 17.
Fossi negli organizzatori, gli darei un premio speciale, altrocché ftm. Ma non sarà certo un bollino in più o in meno che ci toglierà la gioia di aver partecipato, dal primo all’ultimo metro, a questa meravigliosa festa di natura, di sport e di fratellanza tra popoli.
Le foto, assemblate da Roberto Mandelli, sono in realtà di tre autori diversi (due li vedete nella foto 11); in particolare, a Giuliano Macchitelli (vicino a Podisti net fin dai primissimi anni di vita, 1999-2000) si devono le foto 28-32 del mio poco glorioso arrivo. L'arrivo dei primi della 103 e le premiazioni della 53, foto 14-27, sono di D. Gianaroli.
http://foto.podisti.net/p368106341
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