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Set 10, 2018 2968volte

Dolomiti di Brenta, ecco la nostra Montagna Incantata

Solo 10 km al traguardo... Solo 10 km al traguardo... D. Gianaroli

8 settembre - Già abbiamo riportato il comunicato ufficiale del 3° Dolomiti di Brenta Trail, l’ultramaratona di 64 e 45 km, con rispettivi 4200 e 2850 metri da superare, in massima parte su sterrato, che ha fatto segnare nuovi record di partecipazione (iscrizioni chiuse da settimane dopo il superamento del tetto dei 600 iscritti) e come tempi cronometrici.

http://www.podisti.net/index.php/cronache/item/2338-molveno-tn-dolomiti-di-brenta-trail-2018.html

 Devo dire, avendo partecipato ai 45 km, che quanto raccontato non sono vanterie: si tratta di una delle corse negli ambienti più belli dell’arco alpino, e gestita in modo molto ‘umano’: intendo dire che non ci sono tempi massimi-capestro, che costringono le persone appena sotto della media a correre con lo spettro del 'cancello' (mi era capitato a Forno di Zoldo in giugno), senza poter rifiatare un attimo per ammirare un panorama che invece merita soste e contemplazioni.

Le bellezze naturali (l’ho già scritto) non sono merito degli organizzatori: da quelle parti, basta far scorrere il dito sulla carta geografica per inventarsi tracciati favolosi. In più, chi organizza ci deve mettere la scelta dei sentieri e dei punti d’appoggio, di ‘cancelli’ adeguati, la tracciatura, il controllo sul percorso. Doti tutte completamente rispettate a Molveno e dintorni (naturalmente si può sempre migliorare, e per dimostrarvi che non mi hanno pagato troverò qualche pelino nell’uovo).

Personalmente  non conoscevo la zona delle Dolomiti di Brenta (‘strane’ Dolomiti, staccate da tutte le altre veneto-tirolesi, e spesso ignorate dalle pubblicazioni complessive), salvo un ricordo primordiale di cui dirò alla fine… Leggendo sul sito la dettagliatissima descrizione del percorso, coi suoi sentieri panoramici e non insormontabili (tranne uno), coi cinque rifugi toccati e i passi alpini tra i 2200 e i 2600 metri (con partenza da quota 850), mi sono convinto ad andarci, sicuro che ci avrei trovato le mie soddisfazioni, forse tra le ultime di una stagione atleticamente declinante.

Si parte da una tariffa di iscrizione decisamente abbordabile (ancora al penultimo scaglione stiamo intorno, o sotto, alla quota simbolica di un euro a km), e facilitazioni per la prenotazione alberghiera nelle strutture convenzionate: riesco a trovarne una a 200 metri sia dal ritrovo- partenza sia dall’arrivo (collocato in un meraviglioso prato sul lungolago), ad un prezzo decisamente basso, e tale che la mattina della gara esco dall’albergo già in tenuta da gara senza borsoni da lasciare in giro (obiezione 1: non esisteva la custodia borse, con giustificazione che i podisti potevano parcheggiare davanti alla partenza e dunque lasciare la roba in auto: evidentemente nella civilissima Molveno non sono ancora arrivati gli habitués della spaccata alle auto podistiche).

Alla vigilia, ottimo briefing, con insistenza particolare sul materiale obbligatorio: incontra una certa resistenza l’obbligo di pantaloni/collant lunghi di scorta: “se volete, potete correre anche in slip, ma nello zaino dovete avere tutto quanto serve per il maltempo”. Infatti i soliti meteoastrologi, come fanno da tutta questa estate, prevedono che nel pomeriggio pioverà (invece non scenderà una goccia che è una, e il cielo non si coprirà mai, e gli astrologi resteranno impuniti a spacciare la loro pseudoscienza).

Al mattino, calzando delle NB da 65 euro (by Boniburini) che mi hanno già accompagnato in tutti i trail più lunghi dell’ultimo anno (quasi 250 km), faccio l’inventario dei malanni: su una scala di dolore da 1 a 10, il polso sinistro sta a 5 (a che serve il polso per correre? per i bastoncini!); le anche a 2; il tallone sinistro a 2; il metatarso del piede destro a 5, i tendini d’Achille a 1. Abile arruolato, anche senza prendere il diclofenac nello zaino. Quanto ad allenamento, nell’ultimo mese il Polar registra tre  allenamenti da 7 km l’uno, e 60 km di corse ufficiali (di cui solo 13 di trail). Vabbè, mi dico, se sarò sbattuto fuori a qualcuno dei posti di blocco me la sarò meritata.

I numeri rossi dei 64 km sono partiti alle 6, e ne arriveranno 230; a noi 353 numeri blu tocca alle 7,30, su prati coperti da rugiada, col sole che illumina le cime più alte del Gruppo Brenta, e il lago sotto che tremola appena. Data la mia stima nei confronti dei suddetti meteoastrologi, parto con maniche corte ereditate da Brixen, e pantaloni a mezza coscia (sono un omaggio di Lorenzini, sebbene lui non approvi queste mie follie senili): impermeabile, guanti, berretto e tutto il resto (perfino una lampada frontale e 2-3 etti di nutrimento) sta nello zaino e non sarà mai toccato.

Chip nel pettorale: dei sette punti di controllo, il primo dopo 5,5 km proprio non esiste (Andalo: solo Mandelli saprebbe dire chi era Andalù); in due avremo la spunta manuale, negli altri il controllo con scanner (gli ultimi due però esauriscono le batterie e, sia pur segnandoci, non trasmetteranno a valle i loro dati per una metà dei concorrenti circa).

Difficile peraltro ‘tagliare’: l’unico punto in cui teoricamente lo si poteva fare, cioè tra il passo Grosté e il Graffer e poi di nuovo al Grostè, ci ‘fregava’ lo scanner, oltre al primo ristoro davvero abbondante, messo al Graffer (sulla verticale di Madonna di Campiglio): dunque nessuno ha risparmiato quel paio di chilometri. Invece le scorciatoie saranno autorizzate, e spesso suggerite dalla collocazione delle bandelle, nella lunga discesa dal rifugio Pedrotti al Croz dell’Altissimo, 7 km di un sentiero sassoso con infinite varianti.

Bandelle: ottime e abbondanti per tutto il tratto comune ai percorsi di 64 e 45; assenti invece (obiezione 2) nella risalita dal Graffer verso il Tuckett, 4 km in cui noi del ‘corto’, orfani dei lunghisti che la stanno prendendo più larga, ci confortiamo vicendevolmente sulla ‘validità’ dei segni CAI sui massi.

Ristori: 4 completi e pluri-gustosi (l’unica cosa che non oso ingollare sono i panini con mortadella), altri tre con sole bevande (in realtà anche frutta).

Percorso: fa-vo-lo-so. L’unico tratto che ci dà problemi è il ghiaione per salire dal rifugio Brentei alla Bocca di Brenta, 300 e passa metri da scalare in mezz’ora. Ma i nostri occhi sono pieni della bellezza suprema dei luoghi che stiamo attraversando: arrivando al Tuckett dopo 23 km, mi dicono che ho 4 ore di margine sul tmax, allora mi lascio andare: foto, chiacchiere, spiritosaggini. A un collega dico che questo mi sembra il posto più bello di tutte le Dolomiti (è il parere anche di Isabella Morlini), ma lui nega: no, adesso vedrai andando al Brentei, che lì è ancora più bello. – Impossibile, gli replico. – Vedrai, mi fa. E ripartiamo.

In effetti il sentiero “del Fridolin” dal Tuckett al Brentei (con apice la Sella del Fridolin, il luogo dell'anima di Lorenzini) è la sommatoria delle bellezze di tutti i sentieri più belli delle Dolomiti: mettete la salita dal passo Gardena al Pissadù, la strada degli Alpini dietro le cime di Lavaredo verso il Comici, la valle di Travenanzes sotto la terza Tofana. Sommate il tutto e avrete la bellezza suprema del sentiero di questa Alta Via 10, tra rocce dritte che ti appaiono come tanti Duomi di Milano dal colore rossiccio, gallerie, strettoie, e in fondo la Bocca di Brenta che è una specie di Tre Cime, ma più raccolta e compatta. Tantissimi i turisti, generalmente in senso inverso, lungo il percorso; dalla Natascia modenese di Castelvetro al Davide ventunenne primo di tanti fratelli (tutti qui con genitori, e piccoli), ci cedono rispettosamente il passo (bè, qualche volta su certe cenge ‘incatenate’ è meglio aspettare che ne siano venuti fuori), si complimentano, scambiano due impressioni: a una bionda elegante che si appiattisce contro la roccia dico “Grazie, lei è una bella signora”. Risposta stile anni Cinquanta: “Sono signorina”.

Arriva il Brentei, e dopo uno zigzagare tra ghiaie arriva la sospirata ultima forcella: due alpini controllano e fanno foto a richiesta, indicandoci il Pedrotti dieci minuti sotto. Da lì è quasi tutta discesa, una picchiata di 1600 metri in 13-14 km: peccato che le piante dei miei piedi dichiarino di essere in fiamme, comunque il margine sul tempo massimo scenderà poco sotto le tre ore e ci sarà tempo per altre dispersioni extrasportive.

Altro tratto di sentiero meraviglioso scavato nella roccia, verso il Croz dell’Altissimo dove avremo l’ultimo controllo e ristoro. Comincia ad apparire il lago di Molveno, luccicante sotto il sole non previsto dagli astrologi; la stanchezza fa affiorare ricordi del 1954, la prima vacanza montana, senza mamma, di un bimbo della bassa modenese, con un orso a uso fotografico che mi faceva paura, una piscina in riva al lago il cui riempimento era per me più affascinante del lago stesso, un’altalena che mi colpì in testa col primo avviamento, dopo vari punti di sutura, alla chierica fratesca che si allarga sempre più. E il ricordo più fresco dei miei nipotini Davide e Paolo, portati a Molveno dalla loro mamma, e che fra tutto prediligevano la caravella in riva al lago (ora mi informano che quel geniaccio di Paolo, seconda elementare, ha preso una nota perché mentre la maestra spiegava… leggeva sottobanco il Corriere della sera. A  7 anni: per fortuna della maestra non ho dovuto firmare io la nota).

Qui, di fianco alla caravella, è il nostro traguardo, dopo aver attraversato tutta Molveno, quando pure per me rimane un dito di giorno (il campanile suonava giusto le 7 mentre gli passavo sotto 2 km prima). Un berretto di lana e una birra come premio, un pasta party con morbidissimo arrosto e altra birra, commenti tutti entusiasti fra reduci di questa meravigliosa scoperta di un posto da favola.

https://foto.podisti.net/p819083453

 

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