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Ott 29, 2018 5214volte

Venezia: l’acqua alta ti ripaga di tutto (se non sei veneziano)

Il massimo della libidine Il massimo della libidine C.O. - R. Mandelli

28 ottobre - Nella giornata delle cinque maratone italiane (se non ne sono sfuggite altre!) sono tornato a Venezia, dove ero stato per la prima volta ventisei anni fa, quando la gara si svolgeva ancora nella seconda domenica di ottobre (era l’11 ottobre, nel 1992): poi ci fu uno scambio amichevole con Carpi, che adesso di questa data non sa che farsi, mentre Venezia, inoltrandosi nella stagione autunnale, rischia parecchio col clima.

E se la pioggia non fa paura a noi maratoneti (anzi, non sudiamo e sentiamo meno la fatica), l’acqua alta possiamo trovarla solo qui: non mi era mai capitata, negli ultimi giorni era prevista, e quando la cosa è diventata una certezza, cioè verso il sabato, gli organizzatori hanno messo in atto (abbastanza segretamente: non ne ho sentito cenno nemmeno dagli speaker alla partenza, e non pareva che lo sapessero nemmeno i pace-maker) il percorso sostitutivo dell’attraversamento di piazza S. Marco (che credo sia il punto più basso della città); ma ci hanno lasciato i 14 ponti e, fra l’uno e l’altro, tre affascinanti chilometri coi piedi e le caviglie a mollo, addirittura spinti dalle onde, che alla nostra destra salivano dal canale della Giudecca, contro i muri delle Zattere sulla sinistra e poi, passato il Canalgrande sul celebre ponte di barche ‘dedicato’ della Salute, di nuovo all’ammollo fino a pochi metri dal traguardo. Piazza San Marco è tornata ad essere vista da noi solo di passaggio dal lato sud come era nei primi anni, mentre al suo interno i turisti si divertivano a sguazzarci a piedi nudi come i bambini quando fanno il bagno nell’Adriatico (i veneziani invece non sguazzavano, sapendo che l’acqua alta in tanti punti non gli viene dal mare ma dalle fogne…).

Be’, vi garantisco che questi tre chilometri mi hanno ripagato della fatica maledetta del muro di vento contrario su tutto il ponte della Libertà, dove i bicchieri e le bottigliette usate al ristoro del km 35 (cioè oltre la metà) ci rotolavano addosso a una velocità da biciclette (meno male che non volavano!).

Ovviamente, anche senza l’acqua alta, la maratona di Venezia è uno spettacolo unico al mondo, che nel corso degli anni riesce a ridurre le zone ‘brutte’ (ricordo Marghera dei primi tempi, tra stradacce, fabbriche fatiscenti e signorine abbronzate in cerca d’ingaggi): far diventare bella Mestre (la palla al piede di Venezia come diceva Montanelli) è impresa ardua, ma intanto abbiamo inaugurato in anteprima il nuovissimo M9, e per lunghi tratti ho approfittato volentieri delle corsie del tram pavimentate in modo che più liscio non si può, a evitare gli inciampi tipici del nostro passo rasoterra (da sabato ne sa qualcosa anche Linus); e il lungo sottopasso ci ha fornito tregua dalla pioggia che stava cominciando a cadere proprio in quei minuti nei paraggi del mezzogiorno.

Cominciando dall’inizio, devo ringraziare il marò veneziano Adriano Boldrin, che se non ha corso qui tutte le edizioni poco ci manca (e vorrebbe pure mandarmi a Tokyo per completare le Majors come ha già fatto lui): perché il venerdì si è incaricato di andare all’Expo a ritirare le sacche gara di parecchi amici bolognesi, evitandoci il pernottamento su cui contano gli albergatori locali. Appuntamento dunque la domenica dalle 7,30 davanti al municipio di Stra, parcheggino su misura trovatoci sempre dall’Adriano, e tutto l’agio di incamminarsi attraverso un percorso segnalatissimo sul retro della villa Pisani, per spogliarsi, stare al caldo sotto i tendoni, depositare i bagagli nei sei camion che ci aspettano di lato, prendere il tè caldo dagli alpini e fare riscaldamento nel meraviglioso parco della Villa, aperto credo per la prima volta, e sorvegliato da numerosi addetti perché… all’occorrenza ci servissimo delle toilettes e non dei cespugli.

Toilettes numerose e dislocate in varie posizioni, anche se sembrano non bastare mai; più ridotte lungo il percorso, e mi è capitato di vedere due colleghi in attesa davanti all’unico sgabuzzino, verso il km 15 (anzi, mi sono compiaciuto del civismo del secondo, che è rimasto ad aspettare pur avendo davanti a sé una donna che notoriamente impiega più tempo – e speriamo avesse solo esigenze idriche!).

Partenza anticipata di una ventina di minuti come era già noto da alcuni giorni (ma qualche podista non a suo agio con le newsletter sembrava ignorarlo: forse la pratica degli sms potrebbe essere incrementata); addirittura spunta il sole, sebbene durerà poco. I meteo-astrologi prevedono tratti di pioggia debole al mattino e acquazzoni violenti dopo le 13, dichiarando attendibilità al 75/80%; e non ci azzeccheranno proprio. Intanto, in laguna l’acqua alta raggiunge i 120 centimetri, che i veneziani sanno contare a seconda del numero di rintocchi delle sirene.

E via per la riviera del/della Brenta, quasi sempre di fianco al fiume navigabile: tranne in un punto di Mira, dove un cartello pubblicitario delle bellezze del luogo si specchia in un tratto morto, sbarrato da una diga e pieno di tutte le schifezze possibili mentre il corso vivo è deviato all’esterno.
Mi fa tristezza vedere, poche centinaia di metri più avanti, quello che resta dell’immenso stabilimento Mira Lanza, grigio e coi vetri rotti alle finestre: ripenso a Calimero e “Ava, come lava!”, all’olandesina, a Biol, all’orgoglio di essere stati un paese di eroi, di navigatori e di inventori…; e vedo come ci siamo ridotti con la cosiddetta finanziarizzazione dell’economia.

Ristori regolari, con sola acqua e idrosalini fino a metà, poi anche frutta e qualcosa altro di solido; tè caldo, non visto, ma la temperatura almeno in terraferma si aggira sui 15 gradi e oltre.

Precisa pure la collocazione degli spugnaggi, che costituiscono la ‘buona azione’ domenicale degli scout; avrei però preferito vaschette di acqua corrente, non oso provare queste dove la gente immerge le mani. Singolare che l’avvicinarsi dei ristori sia preannunciato da cartelli che indicano “meno 100 metri, 110 virgola qualcosa yards” (altrimenti ‘quelli’ non capirebbero?). L’unica cosa che non possiamo fare è di seguire il precetto di “non sporcare” (p. 31 del libretto di istruzioni), con minaccia di squalifica per chi getta a terra le “immondizie”: dove stanno gli appositi contenitori? Così, e come sempre e ovunque, le zone ristoro sono segnalate dalla quantità di bicchieri e bottiglie a terra: spero che nessuna cada nel Brenta o in laguna, che già ne hanno abbastanza.

Precisa anche la collocazione dei rilevamenti chip, tranne forse in un posto dove sta un centinaio di metri prima; addirittura maniacale la precisione del km 40, dove il filo è all’inizio di un ponte ma sott’acqua (se lo metteva un metro più avanti restava asciutto); tuttavia funziona benissimo anche così. Però mi scuserete se riattacco il solito disco incantato: in una maratona dai grandi numeri e autenticamente internazionale sarebbe sacrosanto usare il real time anche per le classifiche. Ma in Italia (Sudtirol escluso) da questo orecchio non ci sentono: forse la Fidal dei pistard non vuole (e per compenso, oltre  alle tasse fisse, si prende un euro per ogni maratoneta arrivato).

Molto frequente lo scaglionamento dei pacemaker, addirittura ogni 15-30 minuti: il tutto sta nel capire in quale corral sono partiti e dunque qual è il loro tempo attuale. Mi capiterà di correre una quindicina di km (perché piacevolmente immesso nello stesso recinto rosso dove parte lei) con l’amabile Sabrina Tricarico e i suoi colleghi, sempre prodighi di consigli sul passo da tenere nei singoli momenti (con qualche battuta, tipo al famoso sottopasso della tangenziale di Mestre: “non andate su, come hanno fatto i primi l’anno scorso!”). Alla mezza passiamo in 2h20, cioè già in vantaggio di due minuti e mezzo rispetto al tempo previsto di 4h45, ma in realtà a 2.17 di real time. Purtroppo li perdo nel parco di S. Giuliano, molto bello (sembra di rivivere le antiche Cascine della maratona fiorentina, salvo che qui non si può tagliare date le transenne e il controllo, e anzi qui ci toccano i 400 metri in più che ‘risparmieremo’ a San Marco), e dunque non possono farmi da scudo contro il ventaccio del ponte. Ma contro l’acqua non so quale tattica servisse: certo che li vedo arrivati in 4.48 lordi, ma 4.45:30 netti; molto meglio loro, in proporzione, dell’illustre pacer e giornalista e omni-provider targato 4.00, che ha però finito in 4.15 (real 4.13:46). Sarei per l’assoluzione di tutti; e chissà se prima di chiudere la carriera di maratoneta vedrò il real time fare testo nelle classifiche italiane.

Vedo che saggiamente gli organizzatori non sono dei crono-nazi, e dunque classificano gli arrivati fin quasi alle 7 ore (a dire il vero, il regolamento non emanava pene di morte nei confronti di chi superava la sacra soglia delle 6 ore, ma semplicemente non garantiva la chiusura al traffico di tutto il tracciato): ci sta bene dentro Boldrin, e come lui il glorioso Luciano Morandin, classe M 70 e tanto stoicismo comprese le maratone corse all’indietro; l’ingegner Liccardi addirittura rischia di raggiungermi... Ma oggi le classifiche e i tempi valgono meno che mai, rispetto al divertimento quasi infantile del simil-duatlon finale.

Trovo migliorata, più bella, anche la zona del porto dove scendiamo dal km 37; vedendo le monumentali navi attraccate mi chiedo se le comandano ancora gli Schettino e se gli “inchini”, nel caso che a pilotare sia una hostess moldava, non potrebbero mai finire addosso al campanile di San Marco o alla chiesa di San Giorgio. Mah: così va l’Italia, un tempo c’era Mira Lanza, adesso sono gli Schettino a fare tendenza.

Per fortuna la maratona di Venezia è in mano a gente che sa gestire le cose, previste e meno previste: dicono che a 150 km da qui una maratona è stata accorciata per uno straripamento non epocale, qui invece si tira dritto secondo i protocolli. Da manuale anche la gestione della zona arrivo (sebbene alcuni tendoni siano allagati): medaglia originale e fortemente simbolica, telo da avvolgersi attorno alle spalle, sacchetto alimentare, restituzione sacche, poi si esce dal recinto a cercare una panchina dove potersi infilare i pantaloni. Perfetta anche la gestione del ritorno a casa: battelli riservati e gratuiti per il Tronchetto (dove chi voleva poteva lasciare l’auto a tariffa scontata), da lì bus a getto continuo, anche alle 17, per Stra. L’unica cosa che non posso dire è come fosse la doccia, perché vado a farla a casa di mia sorella e della nipotina Sofia, veneziana, laurea a Bologna e master a Londra in scienze politiche, e che per mantenersi agli studi ha fatto anche la cameriera e la gelataia, alla faccia dei cosiddetti Neet che aspettano i 780 euro.

Verso l’uscita, a uno dell’organizzazione tutto imbacuccato (potrebbe anche essere Rosa Salva in camuffa) avevo detto: Mose o non Mose, fate in modo che l’acqua alta ci sia in tutte le prossime edizioni, e alla vostra maratona mi iscrivo a vita!

5 commenti

  • Link al commento Alberto Agemiano Martedì, 30 Ottobre 2018 21:57 inviato da Alberto Agemiano

    Io sono veneziano, ho 54 anni ed è stata la mia prima Maratona; corro da tre anni ed ho fatto sempre solo mezze o 30 km.
    Pur avendo vissuto con enorme dispiacere l'ennesimo schiaffo verso la mia povera città, sono stato felice di aver vissuto questa esperienza quasi "epica" e mi sono divertito nell'osservare le espressioni di chi l'acqua alta non l'aveva mai vista e soprattutto non ci aveva mai corso dentro per 2 km.
    Bravi runners! Bravi organizzatori e volontari!

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  • Link al commento Mario Liccardi Martedì, 30 Ottobre 2018 14:12 inviato da Mario Liccardi

    Condivido tutto quello che ha scritto Fabio. Ero molto affaticato al Parco San Giuliano, quando nulla faceva immaginare le condizioni estreme dell'ultimo tratto. Eccezionale veramente il tratto del ponte della Liberta', a contrastare il muro dello scirocco che spirava a 100 km/ora in senso contrario e ci sbatteva in faccia qualche goccia di pioggia, con i bicchieri di plastica che sfrecciavano da tutte le parti. Tutt'intorno la laguna spumeggiante e cielo pumbleo. Fortuna che non ha piovuto come da previsioni meteo! Le condizioni estreme sul ponte hanno anticipato il divertimento puro sulla banchina delle Zattere. Acqua alta! Cick, ciack, cick, ciack, in certi punti l'acqua arrivava a meta' gambe! Mi sono dilungato a scattare tante foto e "girare" tanti brevi filmati. Bello, bellissimo e coraggiosa organizzazione per non avere annullato la gara. Scrivero' un articoletto sul sito del Club Super Marathon Italia.

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  • Link al commento Debora Martedì, 30 Ottobre 2018 13:56 inviato da Debora

    Anch'io c'ero e leggere il tuo articolo me l'ha fatta rivivere a distanza di 48 ore. Vorrei aggiungere alcune cose: beato te che sul ponte hai visto solo bicchieri e bottigliette...io mi sono presa anche due sacchi di plastica (per fortuna vuoti) in faccia; entrati in Venezia al primo ponte all'affermazione "c'è l'acqua alta" (eravamo una ventina) io replico "allora torniamo indietro"...se gli sguardi potessero uccidere!; attraversare il ponte alla Dogana è stato emozionante...ormai era fatta! e mi auguro che quelli che hanno corso l'ultimo km a piedi nudi non abbiano avuto "incidenti di percorso". Bella, emozionante, veloce (in condizioni normali) e soprattutto TANTO TIFO! Sicuri che fossimo in Italia?

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  • Link al commento Maria Cristina Orlandi Martedì, 30 Ottobre 2018 07:37 inviato da Maria Cristina Orlandi

    Complimenti Fabio. Mi sembra quasi di averla corsa con te!!
    Avanti tutta e bravi tutti: atleti ed organizzatori.
    10 e lode !!
    LA CRY

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  • Link al commento Adriano Lunedì, 29 Ottobre 2018 21:42 inviato da Adriano

    Bravo Fabio hai rispecchiato bene la bellezza della maratona di Venezia .
    volevo solo dirti che io le ho corse tutte 33 edizioni e siamo rimasti 11 i Leoni
    ancora vivi . ed ieri ho sofferto tantissimo soprattutto per problemi fisici
    ma felice e contento di essere ancora una volta arrivato al traguardo .
    ciao
    Adriano.

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