Lucerna (CH), 13° Swiss City Marathon: “la corsa rende felici”
27 ottobre – Il primo a parlarmi bene di questa gara era stato il povero William Govi, che la corse nel suo anno di lancio, 2007. Poi sono venuti i referendum tedeschi della rivista “Marathon4You”, che hanno issato Lucerna al settimo posto assoluto del Centro Europa. In mezzo, ci ho messo una consuetudine più che ventennale con le maratone svizzere, sempre ben organizzate… ecco perché in questa domenica così ricca di maratone europee tra le più famose ho scelto di ripassare il tunnel del S. Gottardo e colmare una lacuna personale. Non me ne sono pentito per niente.
Accanto alla maratona, che ha totalizzato 1064 arrivati (232 donne), più una cinquantina di non competitivi, con una leggera crescita sul 2018, si sono svolte una maratona a staffetta di due, una maratonina (che ha raccolto il numero più alto di partecipanti, quasi 6000 con 1939 donne) , una 10 km agonistica con 2320 classificati (997 donne), più altre gare su distanze minori, compreso il “miglio per l’Unicef” cui eravamo invitati pure noi maratoneti dopo il nostro arrivo (eh no, grazie tante ma scusate...).
A prima vista, il costo dei pettorali può sembrare alto (dai 40-50 franchi per la gara più breve ai 120-140 degli ultimi mesi per la maratona), ma non è colpa degli svizzeri se l’euro - che le veline di questi giorni dichiarano “salvato” da quel certo direttore italico – in pochi anni ha perso il 30% rispetto al franco, e insomma quando cominciai a venire da queste parti, con due euro mi davano 3 franchi, mentre adesso il cambio sta a 1,045. Insomma, è come se, ogni tre euro, uno fosse andato nella cartastraccia. E lo chiamano salvataggio.
Il pacco gara non è ricchissimo, ma solo in Italia si corre per avere una sporta della spesa (vi ricordate il successo del Custoza? ci veniva gente che non corre mai ma che ci teneva alle 6 bottiglie di vino e al pranzo finale omaggio!); va tuttavia aggiunto che, secondo una consuetudine delle migliori gare svizzere (le immancabili Davos e Interlaken, la grandiosa 100 km di Biel, la Stralugano ecc.), il pettorale dà diritto al trasporto gratuito sui treni, bus, tram ecc., all’interno di tutta la Svizzera (cioè dal confine in poi, da e per il luogo di svolgimento della gara). Provate a immaginare quanto mi sarebbero costati 300+300 km di eurocity svizzero (il Milano-Zurigo, con cambio a Arth-Goldau), e adesso capirete perché il sullodato Govi per risparmiare i pernottamenti in hotel preferisse farsi scarrozzare, nella notte precedente la gara, dalle ferrovie elvetiche…
Non me la sono sentita di fare altrettanto, e anche per il soggiorno ho approfittato di un pacchetto offerto dall’organizzazione: albergo di fianco alla stazione e all’imbarco dei traghetti, colazione la domenica mattina dalle 5.30, sacco viveri per il pranzo della domenica (foto 36; in alternativa, pranzo a prezzo convenzionato), rilascio della camera alle 17. E la donna delle pulizie ha lasciato scritti in camera i propri auguri sulla porta della doccia (vedere l’ultima foto del servizio)!
Rapida la consegna dei pettorali, in un prestigioso albergo del centro, sul lungolago, grosso modo al km 2 del tracciato (foto 1-2), contrassegnato da cartelli “la corsa rende felice / sexy / porta divertimento” ecc.; la città si prepara alla corsa e ha tappezzato le strade di passaggio di grossi cartelli di incitamento in tutte le lingue (3-4). Il sabato è dedicato alla visita della bellissima Lucerna, sita in posizione invidiabile al fondo del lago dei Quattro Cantoni (attraversato al suo termine da due meravigliosi ponti coperti, foto 12 e 25), cinta in alto da mura e torri con un camminamento che va fatto per forza (alla fine il gps dirà che ho camminato una dozzina di km: non sarà la preparazione ideale per la maratona, ma arricchisce lo spirito); dotata di alcune notevoli chiese cinque-seicentesche, e soprattutto di un museo (la Collezione Rosengart) ricco del meglio dell’arte otto-novecentesca: da Cézanne a Modigliani, da Matisse a Mirò, da Braque a Kandinskij, da Klee a Chagall, e soprattutto con una sfilza incredibile di Picasso (saranno cento?), che ti danno i brividi. O voi che esaltate il MoMa (pieno di bella roba ma anche di molto kitsch), date un’occhiata alle foto 26-30, e soprattutto venite al Rosengart, la cui cofondatrice Angela, classe 1932 e più volte ritratta da Picasso, è tuttora attivissima in sede.
Per finire la vigilia, verso sera nel duomo (Hofkirche, di fianco alla consegna pettorali: foto 35) c’è una messa cantata in latino e officiata in italiano da un vescovo missionario in Iraq, che ci racconta le sofferenze della popolazione, specie cristiana, erede di una Chiesa fondata addirittura dall’apostolo Tommaso. Dura un’ora e mezzo ma non ci si annoia proprio. I bambini possono lasciare in fondo alla chiesa le loro biciclettine, monopattini, caschi ecc. (foto 34) Chiamasi civiltà, chiamasi Svizzera.
E adesso, siamo pronti per il ‘lavoro’ per cui abbiamo pagato (anche qui, un cartello lungo la strada dice “non lamentarti, hai pagato per questo”). Il giornalino di gara è ricco di notizie e chiacchiere ma non altrettanto di informazioni pratiche, che invece sono magnificamente spiegate sul sito: il mezzo migliore per raggiungere la zona della partenza (nel parco lungolago attorno al grande Museo dei mezzi di trasporto, altra eccellenza da visitare), stante la chiusura delle strade e il dirottamento dei bus, sono i battelli, gratuiti, che partono a getto continuo dalla stazione treni e terminal bus, anche qui contrassegnati dalle solite sagome di podisti con scritte gioiose: dieci minuti di traversata, con possibilità di ammirare i due lati di Lucerna, altri dieci minuti a piedi per gli spogliatoi e depositi bagagli (in due sedi diverse per uomini e donne) e degli oggetti di valore (custoditi a parte in buste sigillate). Ampia disponibilità di toilette, non solo le Toi-Toi chiuse, un po’ macchinose e puzzolenti, ma anche comodissimi urinators aperti eppure con pieno rispetto della privacy (cioè ognuno fa la pipì da solo e non in un tubo di scolo dove la fanno altri cento): per farsi un’idea, foto 42-64.
Siamo pronti per la partenza, che viene scaglionata tra le 9 e le 9.30 a seconda del tempo atteso da ciascuno, che però è lasciato completamente libero di scegliersi la sua ‘ondata’ (indicativamente, ci sono i pacemakers coi rispettivi tempi, scaglionati lungo circa 200 metri). In effetti, è un po’ crudele che uno che la fa in 5 ore o più sia fatto partire alle 9,30, quando la chiusura del tutto avverrà alle 15 cioè dopo 6 ore dal primo sparo.
Ovviamente il cronometraggio avviene mediante chip (Datasport allegato al pettorale) e col solo tempo netto, come per le gare di massa accade in quasi tutto il mondo tranne che in Italia. I tappeti rilevatori sono sistemati alla partenza, dopo 108 metri e ancora dopo 1586 metri (precisione tipicamente svizzera, che confessa - senza nascondersi nello stile italiano - come la lunghezza complessiva della gara sia di 42,373, ma colloca un tappetino chip anche al 42,233 in modo da soddisfarci pure col tempo ‘teorico’ al passaggio).
In totale, sui due giri della maratona, avremo 14 rilevamenti, ognuno misurato al metro, e dichiarato anche nella sua altimetria (si parte e arriva ai 437 metri slm, ma si sale in tre ascese, tra i km 5/26 e 15/36, fino a 470; il dislivello che dà il mio Gps sarebbe 355 metri).
Chiusura totale al traffico, anche nella zona della stazione dove nei giorni normali si concentrano tutte le vie principali di transito; passaggio spettacolare nello stadio di Horw (km 14/35) dove un maxischermo proietta il tuo incedere per una cinquantina di metri, e altro passaggio all’interno del Museo d’Arte (km 18/39, foto 41) con luci psichedeliche. Segue l’attraversamento delle strade più caratteristiche del centro, oggi rigorosamente recintate (i turisti della domenica possono aspettare: fate il confronto con le maratone nelle città d’arte italiane, dove c’è sempre qualche comitiva di pensionati da scansare), e poi sul lungolago verso il traguardo, dove al primo giro avviene la “Wende” ovvero il “Wechsel” tra staffettisti, al secondo si va invece a sinistra per l’arrivo nel museo dei trasporti.
Percorso quasi sempre panoramico, in parte lungo il lago, in parte sulle colline dove pascolano greggi e mandrie; nei tratti urbani due muraglie di pubblico incitano, diciamo così, all’americana; ma nell’area di campagna sono gli addetti, numerosissimi, che ci applaudono e incoraggiano. Noto che il tifo è selettivo, informato: nel secondo giro, quando noi maratoneti ormai stanchi siamo affiancati dai velocissimi plotoni di coloro che corrono i 10 km (in discesa da Horw al lago), gli incitamenti sono però riservati a noi soli: il nostro nome, stampato in grossi caratteri sul pettorale (foto 7), è ripetuto dal pubblico, con applausi, offerte di “cinque”, complimenti vari: e se rispondi per ringraziare, o alzi un braccio in segno di saluto, subito il nome rimbalza agli spettatori del tratto successivo. Ad un passaggio per il centro, dove le nostre transenne sono rivestite di plastica o qualcosa del genere, il pubblico fa un rumore dell’ostrega picchiando le mani sul rivestimento. Viene un groppo alla gola: questa gente è qui da 4 ore o più, i primi sono arrivati e già docciati, non sei loro parente, e ancora ti fa il tifo!
Ad accrescere la carica contribuiscono la ventina di gruppi musicali sparsi per il giro (dunque, quasi uno a km): si va dalle percussioni agli xilofoni, dai lugubri corni della Jungfrau al coro vocale, dai pochi complessi rock alle tante bande impegnate sul repertorio più vario: verso Horw, mi sento costretto a mettere le parole alla musica di “…uno a te, uno a me, tanto facile è sognar… ti voglio bene, ma bene tanto tanto…” .
E se ti viene la gola secca, ecco un ristoro circa ogni due km: bevande sempre in bicchieri di carta (l’idrosalino ti lascia un simpatico retrogusto di… sardine in scatola), acqua freschissima, banane, barrette energetiche. La salita più dura del km 8/29 trova al culmine un ristoro ufficiale, ma un mezzo km prima un abbeveraggio ‘privato’, gestito da bambine biondissime di 6-7 anni al massimo: anche questa è civiltà, impossibile non fermarsi!
Se proprio devo muovere un appunto, è per la mancanza di spugnaggi, di cui non avevo letto niente: peraltro, come da abitudine parto con la spugna personale, che intingo o nei bicchieri d’acqua o nelle tante fontane pubbliche. In ogni caso, la temperatura non supera mai i 20 gradi, alle mie andature non si suda granché.
Dal km 41 al traguardo non si arriva mai… per forza, sono quasi 1400 metri misurati. Medaglia dal disegno originale (una nave, il profilo della città, le onde e i podisti), birra, mela, borraccia (vuota, sta scritto sull’involucro, casomai che qualche americano la credesse piena). Un po’ caotico il piazzale del ritrovo, per fortuna i box delle informazioni ti indirizzano prima agli spogliatoi e poi alle navi del ritorno (attraversando il museo e sovrappassando con un ponte il viale d’arrivo: 65-66). Di nuovo l’imbarco e il panorama dal lago, col rimpianto che sia finita.
Ha vinto il tedesco Kay-Uwe Müller in 2.27, con sei minuti sullo zurighese Philipp Arnold; tra le donne, la svizzera Franziska Inauen in 2.55, un minuto e mezzo davanti alla connazionale Miriam Niederberger. Nella mezza, Niel Burton da Basilea in 1.06:38, tre minuti davanti al connazionale Elias Gemperli; svizzere anche le prime due le donne, Melina Frei 1.17:52 su Flavia Stutz 1.20:36. Gli italiani censiti sono 28 in tutto (8 maratoneti); all’expo, le uniche due pubblicità italiane sono la maratona di Padova (in inglese) e la mezza di Verona (solo figure).
Con tutto comodo, si prendono i treni (gratuiti) del ritorno: la stazione brulica di podisti. Il mio eurocity per Milano viaggia con puntualità svizzera fino a Chiasso; da lì in 60 km (gestione FS, a pagamento) fa 28 minuti di ritardo, senza che l’altoparlante dica beo, e ovviamente si guardi bene dall’annunciare che hai perso la coincidenza. Bentornati in Italia.
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