Servono i master per far crescere le “Survivor Series”?
Dopo le fasi preliminari ad Imola (BO) e San Donà (VE), con le finali all’Idroscalo di Milano di domenica 15/12, si sono chiuse le Survivor Series 2019. Si doveva gareggiare anche a Busto Arsizio ma la tappa è stata eliminata a causa del maltempo. Complimenti a Serena Troiani (CUS ProPatria Milano) e Simone Bernardi (Atletica Imola) che hanno scritto il loro nome nell’albo d’oro.
Le Survivor sono una novità nel panorama del cross, faticosamente portate avanti da un paio di anni dalla ferrea volontà di Stefano Longo a cui la nostra testata ha spesso dato spazio per raccontare in cosa consistono, cliccate qui per leggere il pezzo di presentazione dello scorso Settembre. Per chi non lo sapesse ancora, si tratta di gare brevi, solo 1200 metri da ripetere quattro volte. La prima volta a cronometro individuale, mentre per i successivi tre turni (quarti, semifinali e finale) si gareggia in batterie.
Anche quest’anno, tra gare concorrenti, raduni di mezzofondo e mille altre attrazioni alternative, la partecipazione è stata piuttosto limitata. Un vero peccato in quanto si tratta di una formula innovativa, allenante e divertente. Quello che ci permettiamo di suggerire per cercare di raggiungere un’adeguata massa critica è di non limitarsi agli assoluti, ma di coinvolgere anche i master con classifiche dedicate. Al momento gli over partecipano insieme ai giovani e purtroppo non tutti si chiamano Riccardo Lerda, un SM45 col cuore e soprattutto le gambe di un ragazzino. In grado di fare ancora bella figura contro atleti che vista la carta d’identità potrebbero essere figli suoi.
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