Una piccola “Via degli Dei” formato famiglia
10 maggio – Primo fine settimana all’insegna del “quasi liberi tutti”: radio e tv raccomandano di evitare “l’effetto Naviglio” o “la scena-Mondello”; il pittoresco governatore della Campania minaccia di arrestare gli pseudo-podisti con tre braghe (ma quando mai li hai visti!) per oltraggio al pudore; il governatore dell’Emilia-Romagna, con la barba meglio curata del solito, saluta il commissario speciale proibizionista – quello sempre lugubremente vestito di nero, camicia compresa – e dopo tre giorni di validità della sua ordinanza ne emana un’altra che la smentisce, consentendo di uscire dalla provincia per fare tante cose, compresa l’attività motoria (purché si rimanga dentro la regione: perché notoriamente i bacilli di Reggiolo non vanno a Gonzaga ma restano in quarantena nella casa dei doganieri).
Davanti alle frotte di persone oggi anche nei parchi e nelle stradette di campagna modenesi (mai vista tanta gente!) mi vengono in mente quei sarcastici versi del concittadino Guccini (ottant’anni fra un mese, tra la via Emilia e il West): “tu giri adesso con le tette al vento – io lo facevo già due mesi fa”. Ebbene sì, durante i due mesi di blocco mi ero ricavato un circuito campagnolo, “in prossimità” di casa (mai più di 1200 metri, Gps alla mano), e siccome i famigerati 200 metri non esistevano in nessuna ordinanza della mia regione, ma erano solo un pourparler senza validità legale, in quel circuito mi sono corso tre maratonine autogestite più altri percorsi minori, quasi ogni giorno: accorgendomi che devo essere allergico a una delle erbe che si accumulavano tra scarpa e calza, perché al collo di entrambi i piedi mi era venuta un’irritazione che sta passando solo adesso… Vabbè, i droni (che spreco di risorse alla ricerca della multa facile) non mi hanno beccato, e se mi beccavano i vigili li avrei rimandati a un dibattito a bocce ferme in tribunale, per capire chi ha diritto di imporre leggi e di decidere cosa significa “prossimità”; e infine, avrei chiesto ai vigili cosa ne pensavano delle adunate regolari, con grigliate e perfino partite di calcetto, nei prati in fondo a via T.d.G., dove la strada finisce mentre un centinaio di metri più in là, terreno agricolo già coltivato a grano, è in corso un mega intervento edilizio, cinque palazzoni di almeno cinque piani benedetti dal Comune.
Ma lasciamo perdere e ricominciamo da capo, da quell’8 marzo in cui la provincia di Modena venne improvvisamente dichiarata “zona rossa”, col divieto di passare il confine verso Bologna (prima città d’Italia vittima, la settimana precedente, della soppressione di una maratona, eppure non “zona rossa”). In quel giorno avevo programmato in famiglia una lunga passeggiata verso quella parte della “Via degli dei” che non avevo mai fatto, cioè tra le prime colline bolognesi e il passo della Futa (da dove, viceversa, ero partito come atleta di retroguardia, un paio di volte, arrivando fino a Fiesole).
“Via degli dei” è un nome un po’ di fantasia, quasi come la “Via degli abati” cento km più a ovest; ma sottintende una realtà storica, la riscoperta di una strada romana, la Flaminia Militare da Bologna ad Arezzo, parzialmente riportata alla luce una quarantina d’anni fa da due appassionati di storia e archeologia, “dilettanti” col merito di non aver dato retta ai soloni dell’università di Bologna, e con braccia sufficienti per dissotterrare, sotto un metro di manto boscoso, i resti del selciato di 2200 anni fa. Da quattro anni, Via degli Dei e Flaminia Militare sono anche i nomi di un suggestivo ultratrail, previsto il 3 aprile di quest’anno disgraziato, e dopo un tentativo di rinvio, annullato definitivamente per il 2020.
E appunto, nel dubbio di non riuscirci mai più come atleti, io e la consorte Daniela avevamo programmato per l’8 marzo di percorrere un tratto a noi sconosciuto della Via: ma venne il confinamento, e quella domenica ripiegammo su un giro nell’appennino modenese (è vero che per arrivare al punto di partenza, la strada statale faceva una ventina di km in territorio reggiano… ma come diceva Max Vinella, chiappala).
Due mesi dopo, quasi-liberi-tutti come si diceva, allora ritiriamo fuori le mappe e il librino distribuito ai partecipanti dell’Ultratrail; autostrada fino a Rioveggio, un pustàzz (direbbe Lolo) sventrato dai viadotti, però nobilitato dal trail-marathon di Monte Sole (saltato pure esso). Poi a Madonna dei Fornelli, 826 metri, da dove parte ufficialmente la seconda tappa del trekking, quella che tocca le tre cime più alte dell’intero percorso, tra i 1100 e i 1200 metri, coi resti più significativi della strada romana.
Che nei primi 5 km, fino a Pian di Balestra (provincia di Bologna, ma si sente solo l’accento toscano), è stata ‘ricoperta’ da stradine e carrarecce varie; ma da quel punto in avanti, fin quasi al passo della Futa, è splendidamente riconoscibile. E ogni volta che vediamo lo stupendo rettilineo lastricato (come a Pompei!) inabissarsi sotto il terriccio e i faggi o gli aceri, per poi riemergere magari mezzo km dopo, mi chiedo quanti percettori di reddito di cittadinanza potrebbero venire quassù a fare qualcosa di utile. Se ognuno scavasse un metro al giorno, in un anno o due … ma la voce di Daniela mi sveglia dall’utopia: “Non gli spetta, il capo dei navigators è già scappato in America!”.
Intanto, ecco la cava di pietra da dove furono estratti i piastroni della strada (“strata”, cioè lastricata), e dove i due ‘dilettanti’ trovarono una moneta romana, oggi riprodotta nella segnaletica del percorso; ecco la fornace dove si cuoceva il calcare per ricavarne la calce, mentre la strada di crinale va su e giù, con qualche blanda curva per addolcire la pendenza (il Gps, a parte un 26% delle prime centinaia di metri di sentiero certamente non romani, mi darà un massimo del 18%, ma la strada vera e propria raramente arriva al 5%). Un paletto sotto il Monte Bastione, da dove cominciano i reperti più estesi, indica il passaggio del confine con la Toscana, che qui in effetti segue una linea piuttosto capricciosa (l’antico confine naturale della Futa è tutto in territorio toscano, mentre alla nostra destra Pian del Voglio e Castiglione dei Pepoli, a sinistra Loiano e Monghidoro sono bolognesi). Stiamo violando le leggi regionali? Non siamo i soli: 3-4 ciclocrossisti e almeno una quindicina di camminatori fanno altrettanto, e non credo che nessuno stia infettando i pipistrelli della zona… dove peraltro, il richiamo di tanti invisibili cucù, oltre al fruscio delle lucertole, è il suono più caratteristico.
Si prosegue, tra boschi e radure erbose, con tre sorgenti naturali di acqua fresca, ottimamente segnalate, per le tre vette più alte del percorso: le Banditacce (m 1202), il Poggiaccio (1196) e Poggio Castelluccio (1131); poi la strada scende verso i 900 metri della Futa, zona già nota, dunque possiamo fermarci qui, dopo quasi tre ore di marcia e 13,5 km (con 575 D+, 440 D- per dirla in termini tecnici).
Un panino, un frutto portati da casa (i due agriturismi lungo il giro sono chiusi) e consumati sul lastricato romano, con l’acqua di fonte, sono il nostro ristoro da semipodisti: passano tre anziani camminatori toscani, coi quali scambiamo impressioni - alla canonica distanza che qualche commissione medica stabilisce in m 1,82, e noi recepiamo come se fosse una distanza testata in laboratorio, mentre si tratta solo della traduzione dalla cifra tonda di due yards.
Il ritorno è anche il canto del cigno (cigno nero) delle Kalenji da trail comprate per pochi spiccioli in uno dei momenti più angosciosi della mia vita podistica: primavera 2015, braccio al collo, tre fratture, eppure sono iscritto alla UTMB di fine agosto, bisogna muoversi: ecco allora i test (di scarpe e gambe) in tre trailini da 21 km, e poi il battesimo del fuoco il 26 agosto, negli ultimi 60 km fino a Chamonix (le scarpe che avevo portavo fino al cambio erano ormai due zolle di fango). Prova superata, e riprova nel 2016, questa volta nella prima parte della Abbotts Way, e tre mesi dopo nella mitica Davos. Ahi ahi, strappi sulla tomaia (dopo 270 km di gare), ma li faccio riparare, e nel 2017 ributto le scarpe in gioco con la ecomaratona di Fiera di Primiero (vado persino a premio!). Poca altra roba, fino all’ultima gara importante, il Ventasso nove mesi fa. Dopo un totale di 500 km scarsi, requiescant in pace.
Il sole punta verso il Cimone e il Cusna striati di neve, là all’estremo ovest, e illumina Monghidoro (quella che prima di Gianni Morandi si chiamava Scaricalasino) sul versante opposto. Le piante dei piedi fanno un po’ male, che vergogna: ma un conto è l’erba attorno a via T.d.G., un conto le pietre romane e i sassi medievali.
Chissà se tornerò da queste parti, con altre scarpe, ma in pantaloncini e pettorale spillato, senza paura di spillover…
2 commenti
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Lunedì, 18 Maggio 2020 23:08
inviato da Fabmarri
Esiste il sito dedicato http://www.viadeglidei.it/ , gestito dal comune di Sasso Marconi, e che prevede anche un percorso a tappe (quella descritta nel racconto è la seconda tappa). C'è una descrizione e mappa a stampa, in vendita a 10 euro presso varie sedi e librerie (guarda caso, anche a Verona,
Libreria Gulliver - via Stella 16b - 045 8007234). La "Via degli dei", come scritto, è pure una gara di ultratrail, che dunque i campioni sono capaci di correre per intero, e gli altri... un po' di corsa e un po' di passo (30 ore il tempo massimo)! Certamente è problematico correre sul selciato romano, che però affiora a tratti solo per la quindicina di km centrali attorno alla Futa; per il resto si tratta di tranquilli sentieri di bassa montagna, o per la più parte (specie nel tratto toscano), di stradine e carrarecce, anche con tratti in asfalto. Deviazione un po' sadica, introdotta l'ultimo anno, solo la salita al Monte Ceceri sopra Fiesole, che però non appartiene alla Flaminia Militare storica. -
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Lunedì, 18 Maggio 2020 10:04
inviato da Fabrizio Sandrelli
Molto interessante. Esistono cartine o guide a stampa che descrivano in dettaglio il percorso di cui si parla nell'articolo?
Si può correre lungo alcuni tratti del sentiero o è meglio andare al passo?
Grazie
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