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Giu 14, 2021 2368volte

Pellegrino Parmense: in duecento per la rinascita del “Pan e Formai”

Pellegrino Parmense: in duecento per la rinascita del “Pan e Formai” T. Seghedoni - R. Mandelli

SERVIZIO FOTOGRAFICO - 13 giugno – Come si vede dalla nostra homepage, mai così ricca da un anno e mezzo, quest’ultimo fine settimana ha segnato una ripresa del podismo in tutta Italia, letteralmente dalle Alpi all’Etna. Anche l’Emilia, finora piuttosto pigra, e nemmeno troppo celere nel passare dal giallo al bianco (accade questo lunedì), ha ricominciato, e insomma ogni settimana risulta ormai ‘coperta’ da almeno un paio di eventi nel weekend e, più sparsamente, qualcos’altro nelle serate feriali.

La stagione del trail, più gestibile sanitariamente delle corse su strada, sta riprendendo, anche nel bolognese e nel reggiano seppure con gare brevilinee; per le distanze più lunghe la zona parmense è forse la più attiva, grazie soprattutto all’Uisp, dall’Abbots way (peraltro interregionale) a questo “Trail del Pan e Formai”, titolo quasi in rima, giunto all’11^ edizione dopo la forzata sospensione del 2020.

La risposta degli appassionati è stata superiore alle previsioni, dato che i programmati 100 pettorali per ognuna delle due distanze, di 10 km (+450 D) e di 21 km (+900), già esauriti una decina di giorni prima, sono stati accresciuti per la distanza maggiore, che alla fine ha contato 108 classificati (più 4 assenti, come puntigliosamente segnalano le graduatorie ufficiali), in maggioranza parmensi, ma con presenze di un certo numero anche dal reggiano e dal modenese: inclusa la fotografa-top Teida Seghedoni che per una domenica ha abbandonato i piacevoli ozi marini o lacustri per beccarsi i 30 gradi dei 400 metri di Pellegrino (località già nota come punto di passaggio e sosta per la 50 km di Salsomaggiore ideata da Giancarlo Chittolini, e che da qui affronta la salita più dura del tracciato). Vabbè che i 30 gradi della collina diventano 34 al livello padano: insomma, è cominciata l’estate, e oggi davvero non spirava nemmeno un refolo di vento.
Va comunque detto che i ristori, alle canoniche distanze di 5 km (si vede il primo alle foto 58/59) erano ben forniti di acqua fresca in bottigliette, e cibi solidi – assai meno gettonati -. Devo però dire che l’acqua più fresca, sia per lavarmi sommariamente, sia per bere, l’ho trovata al traguardo, nei rubinetti all’esterno degli spogliatoi (dove però non si poteva entrare, a parte le toilettes: vedremo se col “bianco” si oserà di più): sono i rubinetti per lavare le scarpe infangate, ma oggi di fango ce n’era una dose omeopatica e quindi i rubinetti ci sono serviti anche ad “uso interno”. D’altra parte, in queste parti (alta valle dello Stirone, il torrente al cui estremo opposto sono ambientate le storie di don Camilo), c’è la fonte Ramiola da cui sgorga l’acqua minerale Verdiana, si va sul sicuro.

Acqua fresca pure nel pacco gara consegnato alla fine, dove il formai è rappresentato da una gustosa fetta di parmigiano, e il pan da enormi grissini di produzione locale.

Il rispetto (che i comunicati ufficiali accompagnano obbligatoriamente con l’aggettivo “rigoroso”, perché, direbbe Nino Manfredi, se non è rigoroso, che rispetto è?) delle norme anticovid ha portato allo scaglionamento dei partenti in gruppetti da 20/25 atleti, chiamati e ‘spuntati’ nominalmente uno per uno, tenuti a distanza e con mascherina: per fortuna che le coeve cronache dalla riviera adriatica documentano “di mascherine, nemmeno l’ombra” e “movida incontrollata” (Tg3 Emilia-Romagna).
Fra le tante statistiche, utili, inutili o dannose che sono circolate in questi mesi e settimane (over 60? Under 18? 8, 12 o 16 settimane? “vaccinazione eterologa”, l’ultima invenzione di politici e giornalisti sprovveduti con la mente alle anziane signore che si fanno fecondare da non si sa chi??), mi piacerebbe che se ne facesse una sul “tasso di positività” dei podisti praticanti, e sono convinto che sarebbe nettamente inferiore a quello della popolazione in generale. Alla faccia dei droplet che ci saremmo sparati ansimando in corsa a due metri l’uno dall’altro, e che oggi si è ansiosi di farsi sparare nelle discoteche.
Comunque, in duecento siamo a Pellegrino Parmense, chi proveniente da Salsomaggiore, chi da Fornovo attraverso la Varano dei Melegari e dei Dallara (ma ci sono anche liguri e lombardi): misurazione della temperatura (il mio 36°1 diventa 36°9 dopo uno straccio di riscaldamento), autocertificazione, gel e, ripeto, appello nominale. Più di così!

I percorsi corto e lungo sono in comune per i primi 5 km, direi i più antipatici, perché dopo un primo km erboso e quasi in piano, cominciano salite dure e perlopiù su fondo sassoso (vedere foto 35, 61, 125 e seguenti, 172 ecc.): al km 4,500 siamo saliti di 300 metri verticali, cui i “lunghisti” ne aggiungeranno altri 100 nei 2 km successivi.

Tracciato abbondantemente segnalato, con frecce e bandelle (foto 30, 47, 336 ecc.), e perfino un paio di corde alpinistiche nei tratti più ripidi (foto 337). Rispetto all’edizione del 2016, cui avevo partecipato, i Gps mi danno un allungamento di quasi 2 km, ma un addolcimento delle salite che allora risultarono di 1100 metri contro i 1000 dichiarati: oggi siamo nettamente sotto, però la collocazione quasi esclusivamente nella prima metà fiacca i meno preparati, che dal punto più basso raggiunto al km 14 (350 m) devono salirne poco più di 100 in 4 km, trovandosi infine abbastanza spiazzati dalla salita finale, una cinquantina di metri verticali a 800 metri lineari dall’arrivo (vedi foto 337-339).

Parlo ovviamente per quelli del mio livello scarso: un collega, nel sorpassarmi su uno strappo, mi soffia “pensa che poteva andar peggio: poteva piovere!”; ma forse la pioggia ci avrebbe fatto sentire meno la fatica e la sete. Peccato, perché i sentieri/stradine dell’ultima parte sono deliziosi (come nelle foto 149, 184, 290 ecc.) e si potrebbero davvero correre tutti; ma (parlo per me) forse tirare un 5000 in pista giovedì sera e presentarsi a un trail lungo dopo 60 ore non è la preparazione ideale…

Salendo ai piani nobili della corsa, vediamo che la 10 km è vinta da Simone Pau (Italpose, società di Gossolengo, PC) in 48:10, con quasi due minuti su Enrico Fieni ed Elia Trauzzi; ma la prestazione più memorabile resta quella di Isabella Morlini, non nuova a successi in terra parmense, quarta assoluta in 51:14, con 9 minuti di vantaggio sulla seconda. La “prof”, partita un quarto d’ora dopo me, mi raggiunge appena prima del bivio tra i due percorsi, su un sentiero strettino proprio mentre io sto inciampando su una liana, diciamo un rametto orizzontale bloccato dalle due parti. Per fortuna non le frano addosso, e così sono salvi i buoni rapporti tra UniBo e UniMoRe: ma da come andava, credo che avrei potuto anche farla cadere, risollevare, fasciare e medicare, e vinceva lo stesso.

Senza storia anche la corsa dei 21, vinta in 1.45:07 dall’unico assoluto maschile (e uno dei pochissimi Runcard), Michele Tibaldi, con 7 minuti su Davide Pau (Synergy di Gropparello, PC; evidentemente consanguineo del vincitore dei 10), e un quarto d’ora su Mattia Frigeri terzo.

Più combattuta la competizione donne, affare interno fra tre ragazze parmensi, con prevalenza di Elisa Adorni (2.13:32), 47” davanti a Giulia Giordani e 4 minuti su Evgenya Kovaleva. Saggiamente, non era previsto un tempo massimo, e così le tre amiche/amici sassolesi ritratte da Teida nelle foto 22 e 23 arrivano insieme, passeggiando come avevano programmato, in 4h12. Ma il cronometraggio manuale c’è anche per loro, e risulta accurato nel conteggiare i diversi orari delle partenze.

Giusta la definizione di gara “per tutti” data dalla Uisp di Parma, che malgrado qualche annullamento calendarizza durante l’estate almeno altri quattro trail.

Un passo in avanti, e si potrà riaprire anche alle non competitive: i droplet di chi trotterella senza classifica non sono più contagiosi di chi corre col cronometro acceso e di chi, in questo momento, si sta facendo le coccole nelle zone più ‘protette’ dei parchi.

Informazioni aggiuntive

Fotografo/i: Teida Seghedoni
Fonte Classifica: Uisp Parma

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