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Apr 10, 2022 2265volte

Fossoli 40: erba e ‘trucioli’ di casa mia…

Ilva e il resto del mondo Ilva e il resto del mondo R. Mandelli da Teida Seghedoni

Fossoli (Carpi, MO) 10 aprile – A Modena città si arranca (è annunciata per Pasquetta un’edizione della Corrida che fa ridere i polli e piangere i podisti con mezzo secolo di attività come il sottoscritto), invece Carpi e la Bassa riprendono il loro antico ruolo di traino del podismo amatoriale, in un desiderio di continuità dimostrato anche dal sacchetto del ristoro-pacco gara finale, che recupera l’antico centenario della maratona di Dorando Pietri.

Niente di che, beninteso: la quarantesima edizione del “Giro delle Risaie” è una non competitiva, in cui la presenza di molti supermaratoneti che girano l’Europa (dall’Assunta alla famiglia Paolino-Maurito, dalla Cecilia ai podisti del Pico, tra cui Claudio Morselli e il vincitore platonico della gara sui 13 km, che rimane Milite Ignoto da quando non c’è più Rispoli sul traguardo a prendere giù i nomi per la Gazzetta) dimostra solo che questa domenica era considerata giorno di ‘scarico’ prima dei cimenti da affrontare entro il mese; e che una tantum si può fare a meno del cronometro godendosi un tuffo nelle corse dai frutti dimenticati, in una giornata limpida e fredda (speriamo di non essere smentiti sulle temperature dall’Atletica Reggio…), dove la vista spaziava dalle Prealpi veronesi a Cusna e Cimone innevati, e da calpestare avevamo strade piene di storia (anche luttuosa, come la Remesina del campo di concentramento, poi riscattato in direzione della Vita da don Zeno e infine dai profughi giuliani), di lavoro (le risaie che come sottoprodotto davano rane e pescegatto, i campi di frumento quando era più conveniente produrlo che importarlo) e assolutamente vuote di traffico, grazie a una chiusura ermetica e una sorveglianza puntuale (mi sono vergognato trovando una rotonda intera chiusa da un volontario e una graziosa vigilessa solo perché a 20 metri stavo arrivando io ai 6/km).

Su tutto vigila l’Ilva Guidetti (pronunciare Guidètti alla carpsana), patrona di qualunque scarpetta si muova in un raggio di 10 km, da San Martino Secchia a Rovereto, dalla corsa di don Camillo cun i macaròun a quella di Peppone per il giornale che non esiste più: lei c’è sempre, e grazie al suo potere diplomatico riesce ad avere al suo servizio i vigili carpigiani (compreso Ermanno Pavesi, decano dei vigili: e dove sarà finita l’ex campionessa Bellelli Manuela?), le fondazioni bancarie che estinguono le loro pubblicazioni storiche, le figurine e statuette della Panini, un nugolo di sbandieratori e ristoratori a cominciare da Azio&Lella, e il meglio della fotografia modenese e reggiana: ad esclusione di una premiata fotografa sassolese, che sa il greco ma negli scatti non è platonica né tantomeno evangelica (“Date e vi sarà dato; vi sarà versata in seno una buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi”). Nel mio mezzo secolo di podismo, ne ho viste di ditte fotopodistiche a cui è stato rimisurato il tariffario… e come diceva la Gialappas band, quando ci sono Teida, Nerino e Italo, se mancano altri, dove dobbiamo scrivere col pennarello “chissenefrega”?

Mi sono meravigliato che all’orario ultimo di partenza (ore 9; in teoria si poteva già dalle 8,30) sulla linea del via aspettassero con pazienza almeno 3/400 persone: di solito, appena spillato il pettorale (talvolta anche senza spillarlo, anzi senza comprarlo per l’esosa cifra di 2 euro), si avviavano alla chetichella, in due o tre, per ripresentarsi al ristoro finale magari prima della partenza ufficiale. Ce ne saranno stati anche oggi, ma la maggioranza era lì, forse a recuperare le tante chiacchiere perdute in questo biennio di terrore reale e di terrorismo gonfiato: una cui traccia residua vedo negli sbandieratori che, in aperta campagna, presidiano solitari gli incroci indossando la mascherina…
Certamente sarà un ordine dell’Ilva, come la Rai ordinava fino a poco fa ai suoi cronisti di esibire la mascherina anche se trasmettevano da Piazza Grande deserta… e vedremo quando le pseudoregole vigenti o evanescenti permetteranno di avere ai ristori il tè caldo, che farebbe ancora comodo con questo clima pre-primaverile. Oggi intanto è spuntata qualche tenda sociale: qualcuno dice che è vietata (da quale ordinanza “contingibile ed urgente”?), ma se l’ha messa su anche la squadra delle Forze dell’ordine, vuol dire che si può.

Percorsi ufficiali di 9 e 13 km (bè, facciamo 11,8), essendo saltato per ragioni viabili  il giro classico di 17 km che sconfinava fino alla torre di Gruppo; passaggio iniziale dal campo di concentramento, all’incrocio con una erigenda via di Nomadelfia in degno ricordo della storia carpigiana (storia cui appartiene anche l’attigua casa Verrini, ormai diroccata, ma da cui sono partiti i mugnai più famosi della Padania, incrociatisi poi coi Papotti, che i mulini li costruivano).

Poi si gira a destra per uno stradone bianco, che porta in prossimità di San Marino con la prospettiva della cantina vinicola da cui partì una tappa delle mitiche “Tre sere”, quando a Ivano Barbolini nessuno diceva no. A San Marino, tra le ville di Nereo Lugli e del Podestà Zuccolini, si svolta a destra (sotto la sorveglianza di Danilo Gamba ed Legn) verso Fossoli, che i podisti dei 9 km raggiungeranno direttamente, mentre quelli del lungo saranno istradati sul canale di Cibeno, dove borghesi raccolgono l’erba per i conigli o le pote per sé stessi, mentre Teida ci riprende quando incrociamo Helga e Claudio (Neujahrslauf e UTMB 2007) in sgambata libera.

Si fiancheggia il Club Giardino che seppe organizzare una gara, addirittura para-competitiva, in tempi di semilockdown; e quando si è in prossimità della storica sede da dove partivano le primissime edizioni della maratona di Carpi, si piega di nuovo a destra per raggiungere la Remesina e ricongiungersi col percorso dei 9 e della nostra partenza di un’ora prima.

Ristoro e paccogara nel sacchetto-cimelio che si diceva; a richiesta e senza sovrapprezzo, una scatola di figurine e giochini per i più piccoli, e per le società libri di storia carpigiana: mi tocca una suggestiva storia del cappello di paglia, ovvero del “truciolo”, i tronchi di salice o di pioppo intrecciati, per i quali Carpi fu grande fino all’ultima guerra. Poi, il cambio delle mode e la crisi: se ci fossero stati i governi e i sindacati di oggi, sicuramente avrebbero finanziato a fondo perduto la costruzione di “pagliette” che nessuno comprava più, o avrebbero pagato ditte estere per rilevare le aziende decotte, scoprendo poi in breve che le aziende comunque chiudevano. Invece non si fece niente del genere, e i carpigiani genialmente si convertirono alla maglieria e alla moda, creando il benessere tuttora palpabile da queste parti.

Un cui sottoprodotto, alla faccia delle crisi, dei ministri menagramo che non si fanno la barba, dei Dpcm cassati da tutti i tribunali, delle multe da 100 euro per mancata vaccinazione a una signora morta nel 1999 (dal Corriere di oggi), si è fatto realtà questa domenica a Fossoli, nell’allegria serena di una mattinata distesa e distensiva che, come le estati di Nereo Lugli, si voleva non finisse mai.

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