Santhià, abbronzatura garantita alla maratona del Sindaco
Santhià (VC), 1° maggio – In un weekend che, confermando il grande attivismo della settimana precedente, ha riportato il podismo in Italia ai livelli di offerta pre-covid, è tornata dopo due anni di serrata la Maratona del riso (anzi, “del riso… la maratona”, con tanto di orecchiabile motivetto diffuso dagli altoparlanti), alla sua quinta edizione della seconda serie (la prima serie era cominciata nel 2004 con partenza e arrivo a Vercelli, e la benedizione di Livio Berruti).
Le nude cifre testimoniano di un calo degli arrivati nelle tre gare competitive: 241 classificati nella maratona (contro i 336 del 2019), 258 nella mezza (erano stati 296) e 166 nella 10 km competitiva, cui se ne aggiungono 106 nella non competitiva (ma dotata di chip pure essa, e di classifica finale con grave scandalo delle vestali dell’idoneità di tipo B); e altri su percorsi più brevi. https://www.endu.net/it/events/del-riso...-la-maratona-3/results
Partecipazione prettamente amatoriale e in grande maggioranza da Piemonte e Lombardia: d’altronde, i premi ai vincitori nell’ordine dei 100 euro o giù di lì non erano tali da stimolare trasferte di mercenari, se Dio vuole. E’ stato un ritrovo tra amici con la voglia di ricominciare, virtualmente agli ordini dell’ex sindaco (avendo completato i due mandati) Angelo Cappuccio, uno di quei sindaci che non si limita a dare il via con la bandoliera tricolore, ma si presenta invece sulla linea di partenza con la divisa rossa della sua società e il pettorale 250, perché oggi per lui è la maratona n. 250 in carriera, e semmai il via glielo telecomanda il suo presidente dei supermaratoneti Paolo Gino; con l’associazione ben rappresentata dalla segretaria amministrativa Carla Ciscato, una veneta tesserata Novara che quasi affiancherà il Sindaco durante i 42 km arrivandogli 7 minuti dietro (è l’ultimo terzo di gara a generare distacchi consistenti).
Vince Giampiero Chiocchi, torinese M 40, in 2.38:18, tre minuti meglio di Alessio Farina (M 45) e 8 sull’altro M 45, il lecchese Cristiano Magni. Tra le 33 donne, vince in 2.57:58 arrivando ottava assoluta Ilaria Bergaglio (Novese, F 40), una discreta lista di successi in lunghi e lunghissimi, e 18 minuti di vantaggio sulla seconda, Simona Cassissa; più di mezz’ora sulla terza, Anna Giulia Cazzaniga. Ma c’è gloria per tutte, fino alle due supermaratonete F 65 Rosa Lettieri e Carlotta Gavazzeni che chiudono gli arrivi (tra loro si inserisce Rinaldo Furlan, mio sfortunato compagno di un errore di percorso all’ultima maratona della val d’Aosta, con un direttore di gara piemontese tutto d’un pezzo che non volle ascoltare ragioni; ma oggi per fortuna le classifiche erano orchestrate a distanza da Christian Memè, coi vetusti ma perfettamente funzionanti chip a disco volante).
Sulla mezza, partita qualche minuto dopo noi, con superamento da parte dei più bravi in vista di Bianzè, km 10 dove loro tornavano indietro, ha vinto Matteo Lometti di Asti, in 1.12:24, con due minuti sul secondo. Tra le donne, ho ammirato (quando mi hanno sorpassato) il fisico perfetto e l’andatura elegante di due nuove italiane, davvero belle nel loro incedere: Banchialem Amodio (Bergamo-Orio: Naomi Campbell non le allaccia nemmeno le scarpe), prima in 1.22:34, quattro minuti abbondanti su Mina El Kannoussi (Saluzzo).
Sui 10 km, partiti dopo mezz’ora dalla maratona, tempi pazzeschi dei primi due, separati da 4 secondi: Paolo Orsetto (Vercelli) 31:58, Roberto Di Pasquali 32:02; terzo assoluto sarebbe Vinicius Scartazzini (32:56), che però era iscritto alla non competitiva. Non male tra le donne il 36:21 di Valeria Roffino, 3 minuti su un’altra neo-italiana di Saluzzo, Mastewal Ghisio.
Ed eccoci a noi malati di maratona. Il percorso era una sorta di trifoglio, che dopo 5 km all’interno del centro storico di Santhià (molto ben sistemato: bravo sindaco!), usciva in direzione sud-ovest fino a Bianzè: stupendo il passaggio da un immenso campo fiorito di trifoglio rosso-viola, che ci dicono sia un ottimo fertilizzante naturale. Nel paesone, i mezzimaratoneti praticamente invertivano la marcia tornando all’arrivo, mentre noi andavamo verso est, rasentando il territorio di Trino (al km 15 si vedevano sulla destra le torri della centrale nucleare, di cui adesso qualcuno si accorge che farebbe comodo), poi di nuovo a nord fino a Tronzano, percorrendo anche un tratto della ex statale 11 Torino-Milano, perfettamente chiusa al traffico (ri-bravi sindaci!); per poi piegare di nuovo a est, in leggera discesa fino al punto più basso del percorso (che alla fine darà 90 metri di dislivello), in uno stradello di 8 km da fare fino al giro di boa (oltre Salasco, quasi alle porte di Vercelli), tra le risaie e il frumentone che sta nascendo, un grande lago da pesca, gazze e trampolieri, e animazione nel centro di Salasco (il cui nome è legato all’Armistizio 1848, oggi nome di un ristorante, ma che allora segnò la fine della prima guerra d’indipendenza e delle speranze sorte con le 5 giornate di Milano – peraltro, la firma dell’armistizio avvenne a Vigevano).
Altro genere di armistizio tocca stipulare a noi maratoneti di terz’ordine: già alcuni ristori (km 15, 20) non hanno più acqua: attraversando Crova, grosso modo alla mezza maratona e all’attraversamento dello storico Canale Cavour, assisto a male parole (la migliore era cogl**) tra un podista assetato e colui che avrebbe dovuto dargli da bere ma non ne aveva, e se la prendeva a sua volta con la risparmiosità degli organizzatori. Davvero inutile prendersela con dei volontari sotto il sole che picchia, e che nel frattempo stanno cercando di farsi arrivare bottigliette; io me la cavo con le banane, sempre presenti in abbondanza, e al km 31 trovo su un tavolino (lo stesso del km 25, ma in un primo tempo vuoto) 4-5 bottigliette residue. Sta arrivando, ancora nel tratto ascendente, la Carlotta, le dico di far presto a prendere quello che sarà rimasto. Proseguendo la strada, trovo un privato che offre coca e tè verde, ma da bere solo “a canna”, poi due volontari che raccolgono da terra le bottigliette e ce le offrono: il sole picchia, di ombra tra le risaie… nemmeno l’ombra, la sete implora, faccio l’armistizio con le ansie da Covid, ne prendo una: salvo che sarà a 40 gradi, utile solo per farsi la doccia in testa. Ripassando da Crova, una pia donna ci addita una fontanella pubblica a sinistra, e puoi giurarci che tutti ce ne serviamo.
Agli ultimi ristori andrà meglio, mentre noi delle retrovie, ormai a 8/km, ci sorpassiamo quando uno si mette a camminare: c’è chi lo fa di programma, come un ex portiere della Sampdoria che mi perderò a due terzi di gara (quando lo vedo in prossimità del giro di boa del km 28, dove lui è già passato, tenta di velocizzarmi dicendomi che là mi aspetta la Betty); e chi è costretto a farlo in uno dei 4 cavalcavia che ci toccano (sofferti gli ultimi due, al 32 e 37). Il pubblico fa un gran tifo per Timmy, che altrimenti si fermerebbe, ma solo i precetti di Juri del Naviglio, secondo cui la maratona finisce al km 30, e dopo si arriva comunque, aiuteranno a portarlo fino all’arco conclusivo.
Riecco Tronzano, la statale sempre deserta e con quantità di vigili che inflessibili bloccano le auto agli incroci anche se io incedo lemme a 50 metri; e poi il cartello di Santhià punto nodale della via Francigena e del pellegrinaggio verso Oropa. Parecchi incroci senza frecce ma quasi sempre con gli addetti che ti indicano dove andare (proprio all’ultimo bivio sto per fare l’errore di Dorando, che a Londra 1908 imboccò la pista dal lato sbagliato; per fortuna due urlacci mi richiamano e la bella Paola Noris, con cui alla partenza c’eravamo scambiati il pugnetto di saluto ma per fortuna senza più l’ingombro delle mascherine, mi rimarrà appena dietro – giuro che non avevo percepito il suo arrivo).
Traguardo, medaglia datata venerdì 1° maggio 2020, niente la promessa paniscia, ma gli alpini che gestiscono il ristoro a richiesta danno il loro vino in bottiglioni; e poi c’è il Sindaco che festeggia le 250 con torte, patatine, birra e prosecco. Spogliatoi agibili e doccia caldissima (come un anno abbondante fa alla mezza di Trino, salvo che la doccia era ufficialmente vietata…). Per chi ne ha, la bella giornata sui 22 gradi consente le visite turistiche offerte anche dal sito degli organizzatori: non solo Santhià, con la sua straordinaria torre di Teodolinda e il quartiere centrale attorno alla cattedrale di S. Agata (da cui lo strano nome della città), ma anche le chiese monumentali di Vercelli e Novara meritano un paio d’ore: alla fine, la nostra pelle dà la stessa sensazione che abbiamo dopo il primo giorno di spiaggia, ma ne valeva la pena.
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