Il Cacciorun per cacciare i pensieri cupi
Cacciola (RE), 20 luglio – 33 gradi, stasera alle 19,45 nelle campagne reggiane tra Scandiano/Arceto e la monumentale chiesa di Bagno (chissà perché, in un paese che non esiste in quanto tale, c’è un chiesone così grande). Mentre ci dirigiamo alla sagra di San Benedetto per il 5° Cacciorun, le radio trasmettono il surreale dibattito parlamentare, il cui succo sarà che il governo ottiene la fiducia ma non la accetta, e dunque al momento sarà bene non iscriversi alle maratone del 2 ottobre perché forse dovremo fare altro; anche se almeno il 50% di noi, quel 2 ottobre, andrebbe più volentieri a correre che a fare l’altra cosa cui vorrebbero obbligarci.
Ma ora et labora, ius solis come dice Draghi e ius lunae calantis, cacciamo la noia (secondo il logo della sagra e della corsa), e cacciamolo anche in illum locum (di più non si può dire, trovandoci davanti a una chiesa) ai signori che stanno parlamentando, per immergerci nell’atmosfera festosa di sport e allegria che ci riserva Cacciola, 360 abitanti di cui 70 over 70 (scusate il bisticcio). Parcheggio comodissimo e ben regolamentato in un prato a fianco del ritrovo, dotato persino di due toilette mobili profumate dal liquido che vi scorre schiacciando il pulsante. Iscrizione a 2 euro, che dà diritto a 1,5 euro di sconto sull’eventuale cibo da consumare o asportare, col risultato che alla fine pagherò 10 pezzi di morbido gnocco fritto un totale di 3 euro (e senza nemmeno fare la fila alla distribuzione); e si aggiunga il paio di calze come pacco-gara, circostanza che induce perfino Giangi a pagare il pettorale dopo aver parcheggiato il suo van dotato di wc e doccia interna. La scelta pagante di Giangi è motivata anche dalla pre-perlustrazione in zona ristoro finale: non usa pagare se c’è solo acqua, ma qui trovi anche tortine, succhi di frutta, macedonia di melone e uva (personalmente servita da Paolo Manelli e da due graziose addette che riscuotono i favori di Mastrolia).
Nei primi anni la gara era competitiva, ma con scarsa partecipazione, per cui oggi si ripiega sulla non competitiva unica per tutti (molto poche, direi, le partenze anticipate), un giro in senso orario per campi ben coltivati, allevamenti alquanto odorosi (ma è l’odore buono della nostra civiltà), ex case coloniche adattate a ritrovi per -ehm- cene eleganti, e passaggio finale tra campi di grano mietuto.
La supervisione di Manelli (del quale raccomandiamo volentieri la Scandiano-Castellarano fra 8 giorni), affiancato da altri grandi vecchi del podismo reggiano, garantisce serietà organizzativa, 7 km misurati quasi esattamente, strade protette, un ristoro intermedio di acqua – se Dio vuole – fresca, e addirittura mezzo km di stradello bagnato come se l’avessero annaffiato per noi. L'unica cosa che non va è il tizio che parte insieme al gruppo col suo cane lanciato, che rischia di far cadere qualcuno. Una volta c'era un regolamento che vietava queste cose, ma Draghi si è dimenticato di metterlo tra i sogni da realizzare nei prossimi 8 mesi.
Niente grandi campioni in scarpette, ma personalità locali come le signore della Corradini capitanate da Eugenia Ricchetti, i maratoneti coreani del Cavriago, i cugini Giaroli con Paolo che nella prima metà sembra addirittura andare più forte di Angelo (ma lo sappiamo che Angelo ha lo spunto finale e negli ultimi cento metri puntualmente si invola), Giancarlo Greco e Marco Belli, e tanti altri con magliette di corse gloriose cui hanno partecipato nei tempi d’oro.
Mentre si corre, si scherza sulle reciproche debolezze, si dibatte non sul 110% ma sulla reale consistenza tattile di certe appariscenti podiste, e le nostre mozioni di fiducia le spendiamo pro o contro le prossime gare: che domenica per noi locali offrono divaricazioni tra Suzzara e Cerreto Alpi, tra la val Cenedola e le sorgenti del Secchia. Una cosa è certa: governo o no, spread o spritz o onzer al sproch, la fiducia a noi stessi ce la votiamo, e le strade più o meno infuocate dell’amata Padania conosceranno ancora la nostra allegra, spensierata, incosciente voglia di sentirci vivi.
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