Bore - Val Cenedola, il riscatto e la ribalta del podismo 'povero'
SERVIZIO FOTOGRAFICO - CLASSIFICA - Bore (PR), 24 luglio – Se cercate sulle carte geografiche questo paese (di 688 abitanti, col centro storico a 832 metri di altezza), non lo troverete in tutte; ignorato completamente dalla Guida Emilia-Romagna del Touring, è soltanto citato come luogo di passaggio nella Guida Rossa, che pure fa 1100 pagine. Noi podisti però, e specialmente i trailer, conosciamo bene la zona: a est c’è Pellegrino Parmense, teatro della 50 km di Salsomaggiore; a sud, sullo “stradone per Genova” inaugurato nel 1773, ci sono Bardi e Borgotaro, tappe ben note della Abbotts way; a ovest c’è Morfasso, che ha dato il nome alle regole disciplinanti il trail (per essere veramente un trail, il percorso deve avere almeno un guado di un fiume in piena, un burrone sotto una cengia larga non oltre mezzo metro, una ferrata, e possibilmente un ponte tibetano… o qualcosa del genere: le leggi emanate in Italia sono rispettate per i primi sei mesi, dopo chissenefrega: avete mai preso una multa per circolare a fari spenti in autostrada?).
Dunque, si va a Bore per un appuntamento non molto pubblicizzato (quando l’ho detto a Giangi, mi ha risposto per whatsapp con 4 punti interrogativi), sesta edizione quando la quinta si era svolta nel 2019, con distanze ufficiali di 22 km +980 metri D e 12 km +480, con l’aggiunta di due non competitive, di 11,2 e 5,3.
I parcheggi del minuscolo campo sportivo (davvero non sarebbe un modello di “campo largo”) incassato sotto lo stradone e quasi invisibile, e quelli della rampa di accesso, sono pieni, e tre quarti d’ora prima della partenza si deve risalire fino alla provinciale e lasciare l’auto verso il centro cittadino. Le preiscrizioni (a una quota massima di 20 euro, cui corrisponde una maglietta tecnica, un paio di occhiali da sole targati K42, dunque roba adatta a noi, ma anche la possibilità di massaggi pre e post-gara gestiti da due professionisti, un ottimo ristoro finale molto ricco e 4 ristori lungo il percorso) sono salite a 110, che già superano i 106 arrivati dell’edizione 2019; infatti i classificati quest’anno raggiungeranno la quota record di 137.
Fa caldo: in pianura, comincia il secondo giorno consecutivo a 40 gradi; qui alla partenza stiamo sui 23, e in previsione di aumenti l’organizzazione annuncia di aver ritoccato il percorso eliminando un km sassoso e assolato (applausi all’annuncio: forse per questo i Gps diranno che il giro lungo arriva sì e no a 21 km, salvando però il dislivello). E’ comunque raccomandato di idratarsi bene e portare con sé una borraccia piena, che sarà molto utile anche a me nonostante la presenza dei ristori e nonostante, dopo un paio d’ore, il cielo si annuvoli attenuando un po’ la cosiddetta morsa del caldo: che non supererà i 32°.
Dico subito dei Vip: sui 22 km del lungo vince il trentenne Stefano Visconti (As Vengo Lì) nel tempo di 1h53’16”, unico atleta che sta sotto le 2 ore (il vincitore 2019 aveva finito in 2.09). Alle sue spalle, secondo è il 41enne Mattia Frigeri (Atl. Cral Barilla) a 7’50”; terzo il 48enne Davide Bologna a 13’33”.
In campo femminile vittoria netta per Elena Caliò (47enne del Team Pasturo) che in 2h17’16” stacca Galina Teaca (Team Viadana, di soli 4 anni più giovane) di 10’39”, e Paola Adorni (49enne, +Kuota) di 15’38”. Grandioso il miglioramento rispetto al 2019, quando per vincere erano bastate 2h53.
68 gli arrivati, con due abbandoni (uno l’ho incrociato dopo pochi km, diceva che non ce la faceva proprio; siccome la parola “ritiro” mi è estranea, gli ho proposto di finire almeno i 12 km).
Nel percorso di 12 km, convincente prova di Fabio Ciati (28enne del Ballotta Camp) primo in 55’48” (era arrivato secondo nel 2019, battuto in volata dal primo, con 54:50), un vantaggio di 3’44” sul 34enne Gian Paolo Savani (Atm), e 3’56” su Davide Pau (Asd Synergy, e già 45 primavere nelle gambe).
La 35enne Giulia Giordani (Atl.Manara) fa sua la gara femminile in 1h14’57”, seguita da Dallendysche Lusha (+Kuota, più anziana di 11 anni) a 5’32” e Enrica Martinelli (+Kuota , addirittura 55enne) a 7’05”.
69 i classificati, con due ritiri.
Il tracciato prevedeva una prima discesa, di quasi 200 metri verticali, fino al km 2,5 (dove i due percorsi si separano e Morselli stabilisce il suo primo appostamento fotografico); poi noi del lungo siamo avviati alla fase più temibile, la salita al Monte Carameto del km 8,2, punto più alto del Comune coi suoi 1318 metri: in meno di 6 km si va su di 650 metri, su una stradetta o mulattiera sassosa dove il Gps indica angoli di salita fino a 29 gradi, che tradotto in misure automobilistiche significa pendenze del 70% (A Morfasso saranno contenti per il rispetto di almeno una delle loro regole…).
A 200 metri lineari dalla vetta, sento alle mie spalle una voce: “Ultimo!”. Mi chiedo se non sia la ‘scopa’, che mi ha raggiunto e annuncia la mia posizione… No, è un collega che vuole incoraggiarmi: “Questo è l’ultimo strappo duro!”. In cima, punto di rilevamento IGM e dichiarato uno dei 300 panorami più belli d’Italia (dicunt, aiunt, tradunt etc.: in realtà l’afa non lascia vedere granché oltre le vallate), è piazzata la fotografa di Morselli, che accondiscende a riprendermi col mio telefonino (depositando a terra il suo cannone almeno da 220): cerca l’inquadratura giusta, ma intanto perdo posizioni… la rassicuro che non voglio una foto d’arte e non la pubblicherò, purché faccia presto.
Voi credevate che le salite fossero finite? Dopo un tratto di crinale su fondo soffice – tra le parti più belle del tracciato – in 5 km ci si trova a quota 800, ma si ricomincia ad andare in alto, dopo un secondo check-in con Morselli: al 14,3 siamo a 930, Monte Costazza, monumento ai caduti della seconda guerra, ristoro e altre foto scattate dalla ristoratrice; discesina, poi al 15,5 di nuovo a 940 (Monte Mu), idem al 17,5 (Monte Lucchi), tutti in un reticolo di sentieri segnatissimi (come pure il nostro percorso, marcato in maniera da guidare anche il rag. Filini).
Discesona, in parte asfaltata (ma non credo che l’asfalto abbia superato i 2 o 3 km nel complesso), al km 20 siamo a quota 780, cioè più in basso di Bore. E’ giocoforza un’ultima risalita, 50 metri verticali lungo 600 orizzontali, e in leggera salita è pure l’arrivo. Ma ci siamo: ristoro grandioso con acqua frizzante e birra freschissima, panini, riso, dolci; ritiro dei bagagli tenuti in custodia, docce spaziose e calde finalmente a disposizione (non ditelo a Speranza e alla professoressa Viola, sennò il primo non si rade più e la seconda si rifà mora, da bionda che era diventata in servigio di Lilly Gruber), una gran quantità di addetti a tua disposizione (per forza, dopo di me non c’è più molta gente da accudire), che quasi ti costringono a bere e mangiare ancora (esiste anche una convenzione con un bar-ristorante di Bore, per un pranzo a prezzi da regalo).
Insomma, siamo contenti tutti: il Fabio formaggiaio da Rio Saliceto che andrà in Albania a maratoneggiare con Lolo, la Stefania milanese tesserata Pico con cui avevo condiviso qualche metro nel trail di Borzano, e gli altri che la doccia l’hanno già finita da quel pezzo. Ci si dà appuntamento per le prossime trasmissioni (come dicevano una volta a Carosello quando finiva la mesata); qui nel parmense toccherà a Scurano, per noi mediopadani ci sarà la notturna di Scandiano-Castellarano, poi altre corse collinari, finché duri il nostro amore per la fatica e il sudore.
“Ma l'amore, no - l'amore mio non può disperdersi nel vento, con le rose - Tanto è forte che non cederà - non sfiorirà”.
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