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Nov 21, 2022 2436volte

Un Beaujolais ad alta gradazione

La partenza La partenza Roberto Mandelli

Villefranche-sur-Saȏne (F), 19 novembre - La 18^ edizione di una delle maratone enologiche più celebri di Francia ha classificato più di 15mila podisti nelle tre distanze competitive, dei 42 (con circa 350 metri di dislivello), 21 e 13 km, cui si aggiungono i circa 2500 partecipanti alla “Randonnée pour elles”, 7.5 km in favore della cura al tumore femminile. 
1862 (433 donne) sono gli arrivati individuali alla maratona (su 2041 partiti) nel tempo massimo di 7 ore (gestito però in modo ‘elastico’: senza raggiungere tuttavia i livelli raccontati a proposito di una celebre e recentissima maratona italica, dove chi va oltre il tempo massimo viene raccolto da bus e scaricato al km 36 con l'invito a passare sul traguardo); qui si aggiungono i 646 che hanno corso la maratona in staffette di 3 o 4 frazionisti; sono poi 5657 i classificati nella mezza (che si è inserita sul percorso della 42 verso il km 35), 6843 nella 13 km (unitasi alle altre due gare negli ultimi 4 km del rientro comune a Villefranche). Da considerare che la cittadina francese (poco a nord di Lione) sta sui 36 mila abitanti, e i pochi dei residenti che non hanno corso, o hanno fatto servizio o erano assiepati lungo le strade non solo a darci il 5 ma spesso a offrirci il loro vino!

La gara si svolge in concomitanza con la settimana della presentazione del Beaujolais novello, appena imbottigliato (ma che, per risparmiarci la fatica del tirebouchon, viene spesso ammannito in bicchieri o in caraffe); prevale dunque l’allegria alla Noè (notata la scritta su varie magliette di corridori: boire ou courir, purquoi choisir?), che si somma alla ricerca di costumi bizzarri e divertenti, dal mettersi una parrucca colorata all’addobbarsi come una vite carica di grappoli, dal vestirsi da centurione o frate o – diciamo – escort/trans, fino al 68enne Gilbert Dantzer detto Jésus che ha corso la sua 300esima maratona vestito come Cristo sul calvario, portando una croce con su scritto “Marathon”. Spiritoso sì, ma vorremmo vedere se la simbologia si rivolgesse a un’altra religione, che non succedesse qualche altro Bataclan o Charlie Hebdo…

Ciò premesso, la maratona e la mezza sono state gare vere, almeno per la prima metà degli arrivati (e anche più giù, se vogliamo comprendere il sottoscritto che si è classificato 1297°): specialmente la mezza è stata tiratissima, con l’arrivo a spalla di Esteban Bernigaud (01:15:05) e Alexis Garod (01:15:06), col terzo Sébastien Gallée a un minuto e mezzo.

Più staccate le donne, regolate da Diane Rassineux (01:27:10), con oltre 3 minuti su Melody Lemoigne e 4 su Céline Aujogues.

Nella maratona, la vittoria assoluta è andata all’etiope Dadi Legese in 02:31:21, che nella seconda parte ha avuto ragione del campione locale Pierre Barbet giunto a quasi 4 minuti, mentre il terzo Julien Magnin ha beccato ben 11 minuti dal vincitore.

Villefranche si è rifatta in campo femminile, dove il livello tecnico non eccezionale ha permesso la vittoria  di una “enfant du cru” (la stessa parola che si usa per il vigneto e il luogo di produzione del vino!), Vanessa Corgier, che ha prevalso in 03:14:26, due minuti abbondanti prima di Roxanne Galarneau e 7 su Elena Hodieux.

Nella 13 km, di buon livello i tempi del vincitore Flavien Coindard (43:33), e della prima donna, Charlyne Buquet (51:22).
Faccio notare che una parte del percorso (per noi maratoneti stimerei intorno ai 12/14 km) era su fondo naturale, reso in parte scivoloso dalla pioggia caduta per tutta la notte: per chi volesse un termine di paragone italico, indicherei le ecomaratone in zona Chianti (Castelnuovo della Berardenga o Gaiole); per chi ha girato l’Europa, suggerirei Monschau presso Aachen (D), che piaceva tanto al leggendario Beppe Togni da Lumezzane: castelli o villaggetti in cima alle colline, da ridiscendere lungo i filari delle vigne (che qui sono tenute bassissime, a mezzo metro da terra: e qualche buona ragione ci sarà, vista l’eccellenza del prodotto).

Gara in linea, la 42 (a differenza delle altre, ad anello), e questo ha comportato una logistica complicata quanto ferrea: il centro maratona, con parcheggio e un’ampia Expo che ha messo a tavola duemila persone, è situato all’estremo opposto della città (circa 4 km) rispetto al luogo di arrivo, ristoro e recupero borse: il che ha richiesto un servizio di navette continuato, dalla stazione ferroviaria (a sua volta distante circa un km dagli arrivi) al quartiere fieristico-industriale. Ma prima è stata necessaria una lunga teoria di pullman, dalle 6,30 in poi (faceva un buio tanto profondo che mi sono chiesto se il sole sarebbe davvero sorto!) per trasportare noi della lunga fino al villaggio di partenza di Fleurie, grosso modo a 30 km, o per l’esattezza alla grande palestra scolastica in periferia, dove abbiamo atteso (confortati dall’offerta di vino e altri generi) quasi un paio d’ore prima di uscire per il centro del paesone, sotto la chiesa, dove il parroco ci fotografava.

E devo assegnare a Fleurie il record mondiale quanto a disponibilità di toilettes in zona partenza: non tanto le “toi toi” mobili, spesso maleodoranti e senz’acqua, cui dobbiamo adattarci salvo ricorrere per urgenze ai cespugli, ma dei veri gabinetti in muratura, con acqua corrente, wc in piena regola e fornitissimi di carta igienica, all’interno di scuole o altre strutture. Non esagero se dico di averne incontrate una decina nel tragitto dalla palestra allo striscione di partenza. Honni soit qui pisse à la belle étoile.

Il percorso è, come avrete capito dai paragoni, bellissimo: una piacevole discesa dalla collina di Fleurie consente di scaldare i muscoli (c’erano 6 gradi alla partenza, un tiepido sole è apparso a tratti dopo un’oretta), prima di affrontare le salitine sterrate che ci portano ai vari castelli, generalmente da attraversare percorrendo i parchi poi salendo o scendendo nelle cantine dove in genere sono allestiti ristori: onnipresente il vino, ma non mancano acqua, frutta fresca e secca, crackers, formaggi, salame, torte ecc.

Dato il clima, avrei gradito anche qualcosa di caldo, ma l’ho visto solo al traguardo (non escludo che ce ne fosse prima, ma i ristori erano talmente affollati, a volte con muraglie umane davanti, e cercavo programmaticamente di attingere solo dove potessi mettere le mani alla svelta). A proposito di mani, qui le ridicole misure anti-covid di non venerata memoria sono ignote: sulle navette, zero mascherine, e ai ristori, ognuno pescava self tra i pezzetti di banana o di prugne secche ecc. Ci ammaleremo tutti? Qualcuno ce lo augurerà, sperando in Speranza e appoggiandosi al pensiero unico Gruber-Fazioso.

A proposito: a 500 metri dal traguardo per noi c’era perfino un complesso sportivo con docce e due piscine, a libera disposizione. Se le docce per la Francia maratonica sono una rarità, quanto alle piscine, non avendo io la cuffia, il custode mi ha detto di prenderne una, già bagnata, che stava in un cestone: chi l’ha usata prima di me, avrà avuto il Covid? E chissenefrega, mi permetto di dire.

I ristori ufficiali sono 9, ma la mia impressione è che fossero di più, anche senza contare quelli privati idro-enoici. Volendo fare una corsa seria, mi ero ripromesso di bere vino solo dopo il km 35, quando ormai les jeux sont faits; ma al ristoro del 7, scegliendo in fretta tra tanti bicchieri con liquidi dalle colorazioni diverse, ne ho preso uno color rosa pallido, immaginando qualcosa di simile al gatorade. Mannaggia, era vin rosé; ma ormai stavo pedalando fuori, e la scelta era tra dissetarsi o patire la sete. Ho bevuto, pudicamente gettando a terra l’ultimo dito di vino.

Ho mantenuto l’astinenza alcolica fino al km 15, quando per mandare giù il formaggio ho piluccato un minibicchiere di rosso. Poco dopo mi hanno raggiunto due giovani francesi, e tra una chiacchiera e l’altra sui 6:30 a km (combien de marathons? Incroyable! nous esperons d’arriver à ton age en courant comme toi…) gli ho svelato la mia cadenza di un goccetto ogni 7 km. E siamo arrivati al 22 con un ristoro: Alors c’est ton moment! Ma questa volta ho declinato: poco dopo, accettando acqua fresca da un bambino piccolo, cui mi sono presentato come ton grand-père adjoint.

Il vino successivo solo al 35, castello Talancé dove mi sento di muovere l’unica critica al tracciatore del percorso: nel cortile, un bivio, coi cartelli “marathon” che danno sia a sinistra (verso l’entrata del castello) sia a destra, dove in effetti c’è un flusso di corridori piuttosto veloce. Secondo la prassi, scelgo la direzione del castello, dove però mi trovo in un androne di una trentina di metri al cui termine c’è una scaletta con grande ammassamento davanti a una porticina. Alcuni colleghi podisti fanno dietrofront tornando in cortile e da lì verso il flusso che continua; io decido di non rovinare una corsa tutta nel rispetto delle regole con una deviazione che magari mi fa guadagnare tre minuti (mi viene in mente Nashville, col suo avant-indree di un km che da noi sarebbe una goduria per i cacciatori di tacche), e finisco, dopo una scala fatta in fila indiana, nel ristoro tra le botti di vino. Qui mi rifaccio, col terzo bicchiere (che sarà l’ultimo fino al traguardo), poi seguendo la coda e la prassi mi ritrovo fuori, nel flusso ‘regolare’. Nonostante tutto, i cronometraggi ufficiali attestano che negli ultimi 12 km ho recuperato 9 posizioni ☹

I mezzimaratoneti, che corrono al doppio di noi, riconoscendo il nostro pettorale ci fanno i complimenti (che non meritiamo, salvo la fatica ormai accumulata in più di 4 ore), e si Dieu le veut ci si butta sull’ultima discesa: altri saliscendi che ci illudiamo si concludano davanti alla chiesa di Villefranche, invece c’è una curva a destra e un altro mezzo km (ma la distanza è giusta, i gps stanno intorno ai 42,5 dunque va bene). Attenzione al traguardo: ti mettono addosso un telo, ma la medaglia (in realtà, una tazza da tastevin munita di collare) te la devi cercare sul tavolo di una anonima madame a sinistra. Altra curva ad angolo retto, e arrivi nel seminterrato del mercato coperto, dove da deliziosi bambini ricevi la sacca consegnata ai camion di Fleurie, e subito dopo trovi il ristoro finale con tante caraffe dai vari colori… Comincio con le due gialle, una di tè l’altra di brodo caldo; ma poi punto decisamente sull’erogazione di vin chaud, rosso e speziato, mangiandoci su un po’ di tutto.
Ampia disponibilità di sedie per cambiarsi, poi per chi lo desidera comincia la ricerca della doccia con piscina, a fianco della partenza e della riconsegna borse per quelli della 21 e della 13 (dove a mezzogiorno si era svolta anche una preghiera del podista officiata da un prete vestito da corsa all’insegna del prier chanter courir).

Tutto ok, salvo che i 26 gradi della piscina mi sembrano pochi… Lì ritrovo i due più bravi tra i coscritti del Club Supermarathon con cui ho viaggiato e alloggiato: il grande Gian Battista Torelli, M 65 dal palmarès di ultramaratone, ultratrail, triatlon in tutto il globo da paura (quest’anno 3h42 alla maratona di Rimini, 3h46 a Milano, ma si stava riposando), qui terzo di categoria in 4h09; e Gianni Baldini, viterbese giramondo mistico, più volte su queste pagine, che con me condivide la passione sterminata per la Jungfrau Marathon, ma sta progettando ultramaratone siberiane, himalayane ecc.: qui ha chiuso in 4.26, correndo col cappello a cilindro.

Dopo pausa adeguata, non resta che cercare le navette per l’Expo, risalendo l’onda incessante degli arrivi (la 13 km è partita alle 14, la chiusura per tutti è fissata alle 16 ma con ampia tolleranza) e sottoponendosi alle inevitabili code sebbene i bus siano letteralmente uno dietro l’altro.

Ci aspetta il secondo dei due pasta-party all’Expo: tutto sommato, era stato modesto quello della vigilia, con “soli” 600 coperti; grandioso quello del dopogara, dove a mangiare, bere, ballare e fare casino (con ovvie ricadute nel kitsch) sono in duemila, e le cameriere hanno un bel daffare per servire antipasti, primi, secondi, dolce, vino a fiumi, sotto la musica a palla (il kitsch canoro oscilla tra Obballacciao e Po-poporoppopoppo-po) e i caroselli dei ballerini ad alto tasso alcolico (ma alcune ballerine sono decisamente agréables). Pazienza, è compreso nel prezzo, di un evento comunque memorabile.

Come accennato, la mia trasferta si è svolta sotto la bandiera del Club Supermarathon Italia, che in un pullman da Milano è riuscito a raccogliere 24 maratoneti (su 27 italiani presenti in totale alla 42 km) e 3 cimentatisi sui 13 km: le doti organizzative di Paolo Gino (qui la sua cronaca, comprensiva di link alle classifiche: https://www.clubsupermarathon.it/2022/11/beaujolais-cest-magnifique/ ) si sono sommate a quelle di Enzo Caporaso (oggi chaperon delle due gemelle genovesi Carlini, F 55, che hanno esordito in maratona), e sposate ai droni di Filippo Carugati, ai conteggi ragionieristici di Massimo Faleo e al chiassoso entusiasmo di Sergio Tempera (l’arrotino che non sempre arriva alle sue doònneee) hanno prodotto una logistica perfetta e financo generosa, oltre a un diluvio videofotografico inaudito. Ci hanno promesso altri contributi, prossimamente su questa rete.

Informazioni aggiuntive

Fotografo/i: F. Marri - R. Mandelli

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