La 3^ maratona del Circeo senza sorprese per Calcaterra
Sabaudia (LT), 5 febbraio – “Si è svolta con acclarato successo la terza edizione della Maratona Maga Circe, che ha visto 1800 atleti alla conquista di Sabaudia e San Felice Circeo. … Commenta Davide Fioriello presidente della asd In Corsa Libera: Anche quest’anno tantissimi runners ci hanno scelto, giungendo da ogni parte di Italia e dall’estero e abbiamo raggiunto un risultato incredibile in un periodo ancora non propizio in termini di numeri... A dare lustro all’evento, lo spettacolo degli Sbandieratori Ducato Caetani Sermoneta che ha accompagnato gli atleti allo start ed anche all’arrivo della corsa”.
Così scrive una testata concorrente; o meglio, così si fa scrivere dagli organizzatori, per pigrizia, per campanilismo, per buon vicinato, per qualche sponsorizzazione in più. Dopo 43 anni di iscrizione all’albo dei giornalisti, e siccome c’ero (dopo una partecipazione nel dicembre 2008 alla fu-maratona di Sabaudia) preferisco separare i fatti dagli accordi di violino.
I “1800 atleti”, guardando alle classifiche, risultano 1316: 354 in maratona, che migliora il gramo risultato covidico del 2022 (quando furono 288) ma è lontano dai 436 arrivati della prima edizione (della nuova serie, s’intende) del 2020 (il 2021 saltò all’ultimo momento per imposizione delle autorità sanitarie). Nella 28 km sono arrivati in 460, anche in questo caso più dei 295 dell’anno scorso, ma meno dei 524 del primo anno. La 13 km infine è stazionaria (502 classificati, 3 in più dell’anno scorso, ma 26 in meno rispetto al 2020.
Che siano arrivati da tutta Italia e perfino dall’estero, è vero per pochi atleti d’elite, ma per il resto si è trattato di una specie di campionato laziale, ovviamente vinto da Giorgio Calcaterra con 2:46:02, il tempo peggiore delle sue tre partecipazioni qui (aveva vinto nel 2020 stando sulle 2:43, era arrivato secondo l’anno scorso col suo tempo migliore, 2:36: segno che il livello tecnico quest’anno era decisamente inferiore); laziale anche il secondo, Dante D’Elia (Velletri) in 2:50:09, leccese il terzo, Mauro Ciccarese (Villa Baldassarri) in 2:54:56.
Due bolognesi e una laziale sul podio femminile: Maria Rosa Costa, F 40 della G.S. Gabbi col tempo amatoriale di 3:13:12 (di poco superiore a quello della vincitrice 2022); seconda Alessandra Scaccia (Frosinone Sport, F 50) a 28 secondi (pensate che io sono arrivato tra l’una e l’altra, beninteso passando al transito dei 28 km mentre loro finivano i 42!); a tre minuti (3:16:12) la terza e più giovane delle tre, la F 35 Manuela Serra della Persicetana Podistica.
Di cognomi stranieri se ne incontrano ben pochi, in maggioranza tesserati per il Centro Fitness Montello di Latina. Pochini anche i supermaratoneti che una settimana fa si erano accodati a Calcaterra sulla pista di Misano: non potevano mancare l’avvocato Paolo Reali, con cui ho corso fino al km 7 lasciandolo poi giustamente andare per il suo 4:30 finale, e il romano G. B. Torelli terzo M 65 in 4:42. Altre conoscenze di queste pagine sono l’extreme runner Daniele Alimonti (3:55), Stefano Severoni e Matteo Simone, appaiati sulle 4:30. Tra i “foresti”, l’inossidabile coppia Rizzitelli-Gargano, Paola Noris, Carolina Agabiti, Edith Ventosilla (sarà questa la “estera”, peraltro residente in Italia?); quanto a meriti sportivi, spicca la friulana Marilena Dall’Anese, prima F 55 con l’egregio 3.51:41.
Tra l’altro, questi numeri sono abbastanza gonfiati dai pacer, davvero in quantità spropositata: ho visto palloncini con segnati tempi dalle 3 alle 6 ore, anche con intervalli di 15 minuti, due o tre atleti per ogni palloncino (per le 4 ore erano due gruppetti di 3 ciascuno). Dopo la metà gara, era più alto il numero dei “pallonari” di quello dei podisti al loro seguito: sono stato alcuni km con quelli delle 4.45, due senesi senza nessuno al seguito (poi è arrivato un terzo e si è accodato qualcuno, ma a breve termine, dato che all’arrivo nel tempo prefissato non risulta nessun altro); al km 30 mi hanno passato i 3 delle cinque ore, solissimi: un “forza!” e sono filati via nella loro solitudine, e la classifica attesta che NESSUNO (nemmeno loro) è arrivato in 5 ore esatte. Continuo a dubitare dell’utilità di questi colleghi che corrono, alla fine, solo per sé: se il dogma resta quello di arrivare nel tempo esatto (che poi non lo è quasi mai), e l’eresia è quella che se rallenti due secondi a km forse puoi accompagnare qualcuno, continuerò a pensare che l’unico beneficio sia quello del pettorale a scrocco (magari con qualche altro benefit) per i pacer, e niente per gli altri salva la propaganda per la generosità degli organizzatori.
2. I quali organizzatori, generosi lo sono davvero: il massimo della comprensione per gli iscritti negli anni-Covid, la proroga del loro pettorale anche di due anni senza sovrapprezzi, l’informazione continua tramite email personalizzati, la convenzione con numerosi alberghi sia di Sabaudia sia della zona del Circeo, un paio di bus-navetta verso la stazione ferroviaria più vicina (purtroppo, non quella di Latina, dove fermano i treni a lunga percorrenza, ma quella di Priverno, solo per treni locali; e nell’inesistenza dei servizi domenicali del trasporti regionali del Lazio, i pochi foresti non automuniti hanno dovuto foraggiare i taxi).
I trasporti sono la grande pecca di questa zona redenta del Lazio: scendendo alla stazione di Latina (che dista 7 km dal capoluogo) per il centro si possono prendere solo bus targati FS, uno ogni mezz’ora o anche peggio. Peccato che a bordo non si possano fare biglietti a meno di possedere una misteriosa App, e le rivendite autorizzate in stazione siano: edicola (chiusa), proloco (chiusa), bigliettatrice automatica (fuori servizio), bar (“me spièèsce ma ho ffinito i bijjetti”). Si sale sul bus, e dopo due fermate sale il controllore: gente scende in fretta, altri si giustificano in vario modo, fioccano le multe e le maledizioni. Il controllore però ha il volto umano e spiega ai possessori di telefonino a ricarica che possono mandare un sms a un certo numero e pagando solo 1,40 sono assolti.
Il bus fa il giro del perdono: ci mette quasi mezz’ora prima di arrivare alla grande autostazione da dove partono i bus regionali extraurbani. Un’autostazione monumentale, più grossa di quella di Bologna, ma chiusa, fatiscente (guardate le foto 2-6 del servizio assemblato da Roberto Mandelli), con le pensiline che grondano acqua anche se non piove, nessun ufficio informazioni, baracchino della biglietteria chiuso da secoli; i writers trovano il loro Louvre, si piscia nei cespugli, nessun quadro orario, alla Cotral non rispondono al sabato; bisogna affidarsi a qualche autista a spasso per sapere che il primo bus per Sabaudia arriverà tra un’ora, ma è in ritardo di 7 minuti (che poi saranno 20), e per i biglietti si va al bar attraversando lo stradone.
Mi domando se il sindaco locale non si vergogna di una situazione da quarto mondo: la risposta è che a Latina dal 2011 l’amministrazione è stata sciolta tre volte, l’ultimo sindaco (un medico, ex calciatore di serie B, e che contribuì alla rinascita del Latina calcio) ha avuto l’elezione invalidata nel 2021 per irregolarità elettorali, è stato rieletto ai ballottaggi ma quasi subito sfiduciato (appena dopo aver rilanciato il “progetto bluff” plurinaufragato di una metropolitana dalla stazione alla città), e da quattro mesi c’è l’ennesimo commissario. Dunque non sai proprio con chi prendertela, e grazie tante che il bus ti sbarca a Sabaudia 3 ore e mezzo dopo che eri sceso dal treno a Latina: e attenzione, la domenica i buf interurbani non ci fono, come direbbe lo ftorico prefidente della reggione (non puoi prendertela più neanche con lui).
Di questa situazione di degrado nei trasporti bisogna tener conto anche nel commentare la più grave criticità di questa gara (ovviamente taciuta dalla auto-cronaca del citato sito “di informazione”): l’inadeguato servizio di trasporto da Sabaudia a San Felice Circeo (12 km) dei podisti che domenica mattina a centinaia si assiepano nel piazzale destinato alle partenze (vedi foto 24-25), e danno l’assalto ai non troppi pullman che hanno l’ordine di non partire con gente in piedi. Io, arrivato alle 8, riesco a salire su un bus alle 8,40: alle 9 sono a San Felice, alle 9,20 scendo alla partenza fissata per le 9,30, per sentire annunciare verso le 9,28 che ci sarà un ritardo di “8, massimo 10 minuti, per aspettare l’arrivo dell’ultimo pullman”. Ecco allora gli Sbandieratori di Sermoneta che continuano nelle loro stucchevoli e mistificanti esibizioni in piazza, accompagnate dai crescenti mugugni e urla dei podisti che stanno lì, al freddo, da mezz’ora o più (chissà come godeva quello a piedi nudi, foto 42-43): perché la partenza avviene solo alle 10.
Ovvio che si debba aspettare l’arrivo di tutti (ricordo una Avigliana-Torino del 1992 dove fummo scaricati dai bus cinque minuti prima del via, costretti a concimare in fretta i prati di fianco all’autostrada; ma anche una Camignada dove, all’annuncio del rinvio, la Siora Nadaìna pretese il rispetto dell’ora giusta e partì - da sola); ma mi chiedo perché non si sia ricorso al sistema-chip, già sperimentato nel 2022 quando da San Felice si partì a scaglioni di 100. Se i rilevatori posti in partenza non erano per finta, che si facesse pure partire all’ora giusta, poi si procedesse con le waves, di prassi oltreoceano. Macché, in 1300 e passa aspettiamo lo sparo, e chi aveva il treno in partenza a una certa ora, che andasse più forte.
3. Finalmente in corsa, ci godiamo panorami che taluni immancabilmente definirà mozzafiato, specie nella discesa di circa 100 metri verticali dal borgo alto fino al lungomare, il giro attorno al promontorio del Circeo, il ritorno a S. Felice bassa verso il km 15, e dopo il passaggio ai 21,097, il lungo e suggestivo rettilineo a picco sulla costa, con vista sulle isole pontine (direi, almeno Ventotene) e la punta di Anzio. Cielo terso, temperatura che via via si addolcisce fin verso i 15 gradi, ingresso in Sabaudia sul lungo ponte (foto 44-46) dopo del quale appare un km 41 che capiremo solo al secondo giro: intanto, tutti andiamo al traguardo nella bella piazza del municipio dove si ricorda che Sabaudia fu edificata in 253 giorni nel 1935 (ma è vietato arguire che l’esecrato regime abbia fatto anche delle cose buone, guai!). Qui quelli dei 28 km (e anche dei 13) chiudono la loro relativa fatica (anche qualcuno iscritto alla 42 ammaina bandiera, la tentazione del traguardo è più forte della maga Circe per Ulisse).
I 28 km sono dominati da Fredom Amaniel (italiano!) in 1:27:50, dieci minuti davanti a due “cispadani” (come erano chiamati i nordisti negli anni Trenta), Francesco Mascherpa (Legnano, 1:37:03) e Andrea Sgaravatto (Casone Noceto). Tra le donne, Patrizia Capasso (che per gareggiare ha avuto bisogno della Runcard) fa 1:57:11, cento secondi meno di Angelina Cavaleri, poco di più per Pamela Gabrielli (1:59:20).
Nei 13 km vince Diego Papoccia in 43:23, appena 12” meno di Marco Lagona. Nettissimo invece il successo femminile di Lucia Mitidieri in 47:01, oltre cinque minuti meglio di Francesca Sabatini.
Noialtri ingloriosi peones proseguiamo verso una strada che presto diventerà in salita, poi al 35 scenderà al livello del mare, per risalire fino al km 40 sulla cosiddetta Duna di Sabaudia. Facendo la media dei due gps, il dislivello totale in salita risulterebbe di 190 metri in salita e 270 in discesa (a determinare lo sbilancio è il primo km, peraltro corso su una stradina stretta e nel gruppone, dunque con poco vantaggio cronometrico). La distanza sembra invece abbastanza giusta: un po’ più lunga nella prima metà, poi pareggiata dagli ultimi km un po’ più corti.
La strada rimane rigorosamente chiusa al traffico, e i pochi automobilisti che sgarrano sono bloccati; ottimo il servizio di controllo agli incroci (“sì, ma la protezzione civile num me risurta che se possa occupà di diriggere er trafico”, sento dire da una vigilessa piuttosto alterata), ristori regolari e, da metà in poi, forniti anche di cibi solidi. Perfette le segnalazioni, tranne nel mio caso proprio dopo il km 40, quando si rientra nel percorso incrociato tra chi viene ancora da Sabaudia e chi ci sta arrivando, separati da una transenna di una cinquantina di metri. In teoria, a fare la guardia lì ci sarebbe una coppia di segnalatori: quando passo io, li vedo seduti fuori strada, che stanno cazzeggiando al telefonino con esortazioni a dajje na menata a sta fijja. Tiro dritto, stupendomi di non vedere davanti a me quel paio di colleghi con cui avevo condiviso gli ultimi km, finché un urlaccio della coppietta di cui sopra mi richiama: alla fine della transenna, segnalato da un mezzo circolo sull’asfalto non più largo di 30 cm, ma senza nessuno a segnalarlo (a Madeira erano due!), c’era da invertire la marcia. Vabbè, me la cavo con 200/300 metri in più, l’adrenalina mi aiuterà a raggiungere due che mi avevano sorpassato, salvo che perderò per sempre la magrissima Katia padovana (più alta di me ma che denuncia alla bilancia 30 chili di meno) con cui avevo ciacolato prima; e mi raggiungerà il dottor Rizzitelli con cui taglieremo insieme il traguardo.
4. Medaglia rettangolare, ben incisa con una tipica torre di avvistamento (forse quella cui passiamo di fianco, con le scritte “zona militare – divieto assoluto di fotografie”); ristoro finale senza niente di caldo, chiuso in un sacchetto, salvo la birra alla spina offerta all’uscita; poi 200 metri inutili e penosi per raggiungere le sacche del ricambio (potrei capirlo se fossero state al coperto, ma per posarle sul selciato, si poteva anche metterle nella piazza d’arrivo).
In teoria, dopo altri 300 metri ci sono le docce, ma resta solo il tempo per una affannosa caccia al taxi, che ti scarica in stazione quando il tuo treno è già lì (e grazie al tassinaro che quando c’è il limite dei 50 va ai 60, e quando ci sono i 60 va agli 80). Il pacioso viaggio in intercity (costa poco, ma 9 ore per un Napoli-Milano vi sembra una tempistica decente nel 2023?) mi lascia il tempo di degustare la cultura del giornalone d’Italia: un titolo a p. 14 racconta di Yana “uccisa a sprangate e poi soffocata” (vile, tu uccidi una donna morta?!); tutta la pagina 17 è dedicata alle avventure erotiche di Totti e Zaniolo, mentre nel supplemento culturale una insigne studiosa dà credito a tutte le più inverosimili etimologie della parola “carnevale”, e un altro dottissimo a p. 11 si occupa di distinguere “il grano dall’oglio” (oglio di semi di zucca?). Sul supplemento del venerdì, una insigne virologa tenta di accrescere la sua audience (in netto calo rispetto al suo biennio d’oro) sostenendo che le balene, come il dodo, sono estinte (“tesoretti perduti per distrazione”, p. 33).
E’ la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente!, diceva Humprey Bogart.
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