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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

1° marzo – Podismo ufficialmente vietato nelle regioni ‘gialle’ e in altre zone variamente colorate (dalle Marche alla Sicilia). Particolarmente dolorosa la soppressione di Bologna, che in un certo senso sconta il fatto che la Costituzione l’ha creata capoluogo di una regione comprendente Piacenza. E dire che il primo progetto di Costituzione invece separava le due province, come fanno ancora oggi le Poste (il Cap di Piacenza è lombardo, non emiliano); e in effetti, oggi alcune zone della provincia di Piacenza si sono ‘ammalate’ in quanto gravitanti sulla Lombardia. Pensate come sarebbe stato diverso se passava l’altro progetto: invece è andata nel modo che sappiamo, cosicché nel marzo 2020 da Piacenza a Rimini non si corre (magari si va in palestra, perché i vàirus sopra i 25 gradi muoiono e di solito in palestra fa un caldo boia…).
Questo preambolo per dire che qualche maratoneta emiliano-romagnolo, domenica 1° marzo, vista la soppressione delle 42 km di Bologna, appunto, e di S. Benedetto del Tronto, ha ripiegato sconfinando di 30 km dalla sua regione, giusto appena più a sud di Castiglion de’ Pepoli dove si erano perfino svolte, non moltissimo fa,  due ecomaratone: ed è arrivato alla Briglia di Vaiano, in provincia di Prato (altro paradosso, la provincia più ‘cinese’ d’Italia, che però non soffre della imperversante ‘sindrome cinese’).
Ovviamente, questa Ecomaratona è nata come trail, per allungamento di quello che era il Trail del Monte Maggiore di 22 km (oggi rimasto come nobilissima gara di contorno), e dunque i suoi clienti primari sono i trailer, categoria peraltro che ingrossa attirando vari stradisti: ma non è un vero e proprio trail, nel senso che non propone difficoltà para-alpinistiche come spesso si incontrano nei trail che si adeguano alle cosiddette “regole di Morfasso”. Insomma, è in buona parte corribile grazie a una decina o poco meno di km d’asfalto, una prevalenza di stradine carrabili, e infine qualche sentiero ma con pendenze abbastanza moderate (non ci sono corde né bisogno di abbrancarsi agli alberi per salire o scendere; c’è un paio di guadi, più quello che è successo verso la fine ma ha riguardato solo noi delle retrovie).
La misurazione del percorso lungo è data in 43 km, con 1600 metri di dislivello: dati sostanzialmente confermati dai Gps. Il clou è ovviamente costituito dalla salita al Monte Maggiore, cima di 916 metri, la più alta dei Monti della Calvana che separano le province di Prato e di Firenze, ovvero il tracciato della ferrovia “Direttissima” da quello dell’autostrada. Entrambi i percorsi raggiungono la vetta, i maratoneti dopo 32,5 km, gli altri dopo 12; ma i maratoneti prima avevano dovuto salire due altre cime, partendo dai 100 metri del via fino ai 470 metri dove si arriva ai km 7,5 e 10,7. Segue un discesone che porta addirittura più in basso della partenza, ai 70 metri di Travalle, da dove cominciano 16 km di salita quasi continua (con una breve discesa dopo il ‘cancello’ dei 25 km) fino al Monte Maggiore. Da lì si va quasi soltanto in giù, teoricamente in modo facile (“in discesa tutti i santi aiutano”, dicevano i vecchi), ma soprattutto per gli stambecchi-trailer capaci di correre in qualsiasi condizione.
A questa categoria appartengono i due emiliani arrivati primi della 43 km, il fananese Giulio Piana e il bolognese di Val Samoggia Roberto Gheduzzi, tesserati entrambi Mud&Snow, che hanno dominato la gara. Piana, classe 1981 e quarto qui l’anno scorso con 3.54, quest’anno ha portato il suo tempo a 3.38:06; Gheduzzi (venticinquenne, che nel 2018 aveva vinto il Tuscany Crossing di 50 km e quest’anno si è piazzato nei 57 km della Bora e nei 45 del Brunello Crossing), l’ha seguito a poco meno di 5 minuti. Il terzo, Angelo Simone (lucchese di Stiava) è arrivato a 37 minuti da Piana.
Tesserata in Emilia anche la prima donna, Giulia Magnesa del Casone Noceto, del ’72, giunta 15^ assoluta in 4h50'35'', tre quarti d’ora prima della seconda, Chiara Barassi. Insomma, questi emiliani un vàirus ce l’hanno di sicuro, quello della vittoria. I toscani si sono consolati con l’intero podio maschile dei 22 km: primo Filippo Bianchi (Il Ponte Scandicci) in 1h46'33'', davanti a Mileno Frediani (Montecatini Marathon) a 6 minuti e ad Alessandro Melani (Il Ponte Scandicci) a 10.
Quasi incollate le prime due donne, Camelia Barboi (del ’66, Isolotto di Firenze), in 2h14'30'', 47” davanti a Stella Pacini (del 1981).
Poi ci sono gli altri, e nessuno mi sgridi se ne cito solo pochi del percorso lungo: la coppia reggiana Federica Zini & Giuseppe Pellacani (5h10); il supermaratoneta Timothy Chaplin (5h16); l’altro supermaratoneta pratese Leandro Giorgio Pelagalli, vincitore della categoria “Oro” (over 70) con un egregio 5h51, appena davanti all’altro socio del Club, il fananese Mauro Gambaiani; e l’avvocato di Latina Paolo Reali, che dopo avermi ripreso nel mio incerto guado del km 10, si è involato dandomi quasi un’ora.
I classificati sono in tutto 93, 17 in meno dell’anno scorso (e 96 nei 22 km, anche qui con un certo calo; poi un numero non precisato nella non competitiva di 12 chilometri, la Monte Maggiore Free Run).
Ma vanno messe in conto le proibitive condizioni atmosferiche (ampiamente previste, tanto da dissuadere molti dal venire in loco), che dopo le prime ore di pioggerella lieve, che deliziosamente bagnava e rinfrescava i simpatici maiali, le paciose mucche e i cavalli dei pascoli più alti cui si ispira la medaglia, sono nettamente peggiorate alla quinta ora, quando un nubifragio con vento fortissimo si è abbattuto sui tanti che stavano salendo sul Maggiore (o, i meno lenti, ne stavano scendendo): qualcuno non ce l’ha fatta e si è ritirato, prontamente soccorso dalle ambulanze della Misericordia salite fin quasi in cima o comunque al ristoro posto a 850 metri. Altri si sono scaldati e cambiati d’abiti nel delizioso piccolo rifugio Gensini, un centinaio di metri prima della vetta, allietato da un focolare acceso.
Per i restanti, è rimasta la larga cima del monte, immersa nelle nubi e dal fondo pantanoso (provvidenziali le bandierine arancioni piantate a vista l’una dell’altra), poi la discesa prima sassosa e largamente cosparsa di enormi pozzanghere, indi sentieri divenuti veri e propri torrenti (a un certo punto, se non avessi visto le bandelle, avrei creduto di aver sbagliato strada); e solo l’ultimo km di asfalto fino al traguardo.
Gli organizzatori hanno fatto tutto il desiderabile, e anzi di più: per un prezzo d’iscrizione che partiva da 25/30  euro, un pacco gara davvero pesante (inclusa una birra dedicata espressamente all’evento); sette ristori, sempre forniti di tè caldo e frutta, oltre che dei tipici cibi toscani, dalla fettunta agli affettati di cinghiale alle crostate; segnalazioni precisissime (e collegate a un foglio illustrativo di una chiarezza e ricchezza estreme), sbandieratori frequenti e ‘tifosi’ (specie nell’ultimo tratto); docce calde, pasta party nella tradizione toscana, incluso il vino a volontà, e una amichevole tolleranza nei confronti di quanti stavano superando il tempo limite ma ormai erano in zona arrivo. D’altronde, da un supermaratoneta come Daniele Mulinacci, organizzatore con centinaia di lunghe all’attivo, non ci si poteva aspettare di meno.

Venerdì, 28 Febbraio 2020 23:39

Malta lascia col fiato sospeso fino all'ultimo

Aggiornamento 29 febbraio ore 23,20.

Qualcosa si è mosso, anche se non riusciamo ad avere notizie dal grosso della comitiva. Ma se non altro Franco Scarpa, del consiglio direttivo del Club Supermarathon, subito dopo aver aggiornato le classifiche mondiali dei maratoneti

http://www.clubsupermarathon.it/miscellanea/4805-classifiche-internazionali-del-world-megamarathon-ranking-300.html

è arrivato a Malta a metà giornata del venerdì con un volo da Pisa: previo controllo della temperatura in aeroporto è stato ammesso sul suolo maltese e lì è riuscito a ritirare il suo pettorale per la maratona di domattina. Scarpa era uno dei danneggiati dalla maratona 2019: era già a Malta quando fu annunciato l'annullamento della gara; è dunque lì per celebrare la sua rivincita (mentre all'ultimo ha rinunciato l'altra supermaratoneta Carla Gavazzeni, che durante la bufera del febbraio 2019 si era vista piombare una tegola su un piede con conseguente frattura e lungo periodo di riabilitazione). Mentre scriviamo sembra ancora in sospeso, ma confidiamo per il meglio, la situazione del gruppo di Travel Marathon. Saremo lieti, domani, di annunciare la partecipazione di tutti gli italiani, ma purtroppo al momento possiamo solo riproporre il testo di ieri.

28 febbraio - Avevamo annunciato ieri delle difficoltà, o per dir meglio della minaccia di negare il pettorale ai maratoneti italiani delle zone ‘infette’ http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5829-gare-internazionali-many-italians-not-welcome.html

In particolare, una circolare specificava “che il pettorale sarà consegnato solo a partecipanti che presenteranno una carta di imbarco o comunque un documento che dimostri la provenienza da paesi oppure zone non ad alto rischio”. Come tutti gli anni, l’agenzia toscana Travel Marathon ha portato o sta portando centinaia di maratoneti italiani a Malta: i voli d’arrivo sono previsti anche nella mattinata di domani. Ebbene, il cortesissimo Alberto aveva programmato di andare questa mattina a ritirare il pettorale per il suo gruppo: in un primo tempo gli organizzatori gli hanno chiesto di andare nel pomeriggio, causa affollamento eccessivo, rinviando di ora in ora l’appuntamento fino alle 21.

L’ora è venuta; controlli di passaporti e carte d’imbarco per tutti, fuori senza pietà cinesi, giapponesi, iraniani e dintorni; invece gli italiani sono stati dirottati in una stanzetta della cosiddetta Expo (in realtà inesistente: anche il pacco-gara sembra sia decurtato rispetto alle promesse); qui, accanto alla bandiera italiana spiccava l’elenco degli aeroporti, o meglio, di quegli aeroporti off limits. Chi aveva la carta d’imbarco da questi (i tre di Milano, poi Verona e Treviso, Torino, Bologna e Pisa) era escluso senza remissione. In fondo alla lista vedete un “Fi” cancellato: Firenze non è nella lista nera? Bene, perché vorrebbe dire che la fiorentina Travel è a posto. Sì? Peccato che, a detta degli addetti alla distribuzione dei pettorali, i suddetti pettorali di spettanza della Travel siano al momento “smarriti”. Il buon Alberto è stato invitato a recuperarli domani sera, vigilia della maratona, alle 21.

La nostra costituzione (quella maltese non sappiamo) ci obbliga a ritenere tutti innocenti sino a prova contraria: dunque vogliamo credere che i pettorali siano stati “smarriti” e domani salteranno fuori. Ma non vorremmo che i maltesi stiano rispolverando quella furberia che, non a caso, in Italia è stata chiamata “levantina”.
Boccaccia mia statte zitta, concludeva Provolino: speriamo, tra 24 ore, che questi sospetti siano smentiti dai fatti. Altrimenti (se avessimo un ministro degli esteri che sapesse spiaccicare qualche altra parola, oltre a vàirus) ci sarebbe da farne un caso diplomatico.

28 febbraio – Oggi venerdì (il giorno consueto in terra israeliana), si è svolta la maratona (e mezza maratona) di Tel Aviv. I dati della vigilia parlano di quarantamila partecipanti, evidentemente  sommando tutte le manifestazioni. Ha vinto Tobias Singer  in 2:31:01, quattro minuti davanti a Yotam Pessen (2:35:07), che a sua volta ha preceduto di tre minuti il terzo, Muket Derebe (2:38:00). Prima donna, la russa Elena Tolstyk  (2:44:17), molto davanti all’israeliana Irene Konovalov (2:51:23).

Ma il fatto grave è che è stato impedito di partecipare, con la motivazione del Coronavirus, al centinaio circa di atleti italiani iscritti, che erano giunti in Israele tra lunedì 24 e mercoledì 26. Le procedure per lo sbarco erano state gradualmente irrigidite: fino al 25 erano necessari controlli medici per chi giungeva dall’Italia, il 26 era stata introdotta la quarantena obbligatoria  di 14 giorni, e dal pomeriggio del 27 i voli provenienti dall’Italia sono stati rimandati all’aeroporto d’origine, dopo averne fatti scendere solo i residenti in Israele. Nello stesso giorno la compagnia di bandiera israeliana ha cancellato i voli per l’Italia; ed è scattata anche l’esclusione dalla maratona di Tel Aviv, in programma per l’indomani (cioè oggi 28 febbraio) di tutti gli iscritti stranieri.

Il podista torinese Gianluca Logozzo  (Torino Road Runners, M40; in precedenza CUS Torino, nella mezza maratona 1h31'42", in maratona 3h25'01") ha raccontato di essere arrivato a Tel Aviv lunedì  con la moglie: tutto è filato liscio fino all’arrivo della circolare del Ministero della Salute in cui si vietava la partecipazione alla Maratona e Mezza Maratona non solo per i cittadini dei paesi con epidemia conclamata (cinesi, coreani, taiwanesi), ma anche per austrialiani e italiani. I quali però non sono stati ‘espulsi’ da Israele, né sottoposti a limiti nella circolazione: l’unica cosa loro vietata è stata la corsa, cioè quello per cui erano venuti da quelle parti.

Da notare che fino al 27 i contagiati totali in Israele erano cinque (come segnala il sito Terrasanta.net), quasi tutti israeliani provenienti dalla sciagurata nave da crociera Diamond Princess ormeggiata al largo da Yokohama dal 3 febbraio. Solo una coppia sarebbe reduce da un viaggio in Italia il 23 febbraio. Cerca di gettare acqua sul fuoco l’Ambasciata di Israele in Italia, secondo cui (lo apprendiamo dal sito mosaico-cem.it) ”le misure restrittive circa l’ingresso di cittadini stranieri in Israele, legate all’emergenza Coronavirus, non riguardano i soli cittadini italiani, ma indistintamente qualsiasi cittadino straniero, senza distinzione di nazionalità (esclusi cittadini e residenti israeliani), che provenga o abbia soggiornato negli ultimi 14 giorni in Italia, così come in altri Paesi già precedentemente coinvolti da simile provvedimento (Cina, Macao, Singapore, Hong Kong, Tailandia, Giappone e Corea del Sud)”. Il ministro degli Interni israeliano Aryeh Deri ha così giustificato il suo provvedimento. “Non posso farci niente se il virus si è diffuso in Italia”. Magra consolazione, la promessa che “gli iscritti stranieri alla maratona saranno rimborsati” (chissà se anche di viaggio e soggiorno…).

La rigidità israeliana, in questo come in tanti altri campi, non è un mistero: ma dobbiamo segnalare, dall’altra parte (cioè la nostra) le poderose zappate sui piedi che l’allarmismo governativo e i provvedimenti restrittivi di tanti capetti locali hanno prodotto: un politico straniero avrebbe buon gioco a replicare che, siccome noi italiani abbiamo chiuso perfino le chiese,  un cosiddetto governatore ha soppresso una maratona, e un suo collega indossa la mascherina anche quando parla al microfono, significa che stiamo covando qualcosa di grosso ed è bene tenerci alla larga.

Il nostro calendario, come tanti altri, per l’ultima domenica di marzo registra la “Stramarzolina” di Capanne indicandone la distanza in “Km 20 – 9”. Sarebbe vano cercarla tra le mezze maratone, appunto perché la distanza è inferiore a quella canonica; in altri calendari leggiamo invece “Maratonina km 20”, che non è una definizione proprio ortodossa; e il sito Atleticainumbria scrive decisamente “km 4/10/21,097”.
Ma il volantino della nostra gara recita “Corsa podistica di km 20,00”. Mentre quello del 2019, per la stessa manifestazione, aveva un’altra distanza: “Corsa podistica di km 21,00”, cioè (se trascuriamo i decimali), quasi una canonica “mezza”.
Esce ora un documento di Sauro Mencaroni, presidente dell'Atletica Capanne organizzatrice della gara (http://www.atleticacapanne.it/eventi), sul motivo di questa dicitura modificata.
Faccio seguito a tanti (podisti, presidenti di società etc.) che mi hanno chiesto delucidazioni sul fatto che il volantino della 34a Stramarzolina riporta ‘percorso KM 20’. Preciso che ho scritto percorso 20km, su richiesta del responsabile del Comitato FIDAL Umbria delle corse su strada, Patrizio Lucchetti, ma in effetti il percorso della Stramarzolina 2020 - Corsa Podistica di Capanne è lo stesso delle precedenti 33 edizioni cioè 21 e rotti, da misurazione ed omologazione effettuata 4/5 anni or sono. Ora la Federazione Italiana di Atletica Leggera per fare cassa ha stabilito che una mezza che non sia messa sul calendario Nazionale, addirittura non si può chiamare né mezza-maratona né maratonina se non si paga la relativa quota di euro 1.700 circa, più un euro a concorrente. Ora ditemi voi: come può fare a sopravvivere una gara di circa 300 concorrenti se non facendo pagare 25/30 € a concorrente? Per me non è giusto "tassare" così i podisti, pertanto la mia gara non sarà omologata dalla Fidal come mezza (anche se farà parte del Grand Prix Fidal) ma di questo a me non importa, visto che il tracciato storico non consente di fare grossi tempi. Ma dove sta scritto che io non posso chiamarla mezza-maratona? Secondo me è ora che tanti organizzatori che sono nella mia stessa condizione si ribellino e dicano la loro su tale argomento!
P.S. la quota per la Stramarzolina di quest'anno è di € 15,00 con premi per TUTTE le categorie della Fidal, cioè 5 anni x 5 anni, e anche su questo sarebbe ora di fare chiarezza: non va bene che alcune gare, anche con tanti concorrenti, prevedano 2 cat. o al massimo 3 per le donne, e [una sola] da 60 in poi per gli uomini. Scusatemi per lo sfogo, ma credo che sia ora di farci sentire (noi organizzatori)
.

Abbiamo già dibattuto varie volte, l’anno scorso e fino al 4 gennaio di quest’anno (https://www.podisti.net/index.php/commenti/item/5530-maratone-e-mezze-2019-running-o-falling-project.htmlla questione della pretesa della Fidal di arrogarsi l’esclusiva delle gare sulle distanze più prestigiose. Senza voler tornare su questioni di diritto, basta quantificare i risultati monetari di queste operazioni, e pure l’effetto dell’uscita dalla federazione di tante organizzazioni, oppure i vari escamotages adottati per allestire delle maratonine de facto e non de iure. La Stramarzolina è solo l’ultimo caso. Chissà se tra i tanti (??) aspiranti alle cariche della prossima Fidal ci sarà anche chi si porrà realisticamente il problema se conviene emanare norme che non si riesce a far rispettare, o scendere dal pero, o meglio dalla alta turris eburnea del Palazzo, per guardare alla realtà del podismo amatoriale stando a livello stradale.

23 febbraio - Alle ore 21,44 sul sito Fb, alle 22:05 sul sito ufficiale della Maratona di Bologna, è apparso il seguente comunicato:

Siamo terribilmente dispiaciuti di dovervi informare che l’ordinanza firmata dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, e dal ministro della Salute, Roberto Speranza, prevede la “Sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato, anche di natura culturale, ludico, sportiva ecc, svolti sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico”.
La sospensione è attiva fino al 1 Marzo e questo, purtroppo, impedisce lo svolgimento della Bologna Marathon 2020.

Seguiranno nei prossimi giorni comunicazioni sui canali ufficiali.

L’ordinanza, del tardo pomeriggio (abbiamo un report delle 19,19), è introdotta da queste melliflue parole del presidente Bonaccini neoletto (dunque al sicuro per almeno altri 5 anni salvo proroghe):

 “Abbiamo deciso di mettere in campo una serie di provvedimenti per far sì che si possa fronteggiare la diffusione del virus offrendo le migliori condizioni possibili di sicurezza e tutela ai cittadini. E voglio davvero ringraziare tutti i professionisti della sanità, e parlo di medici, biologi, tecnici, infermieri e quanti sono al lavoro da giorni, per quanto stanno facendo, che è davvero straordinario. Si stanno valutando misure ulteriori per Piacenza e il territorio piacentino, d’intesa con le istituzioni locali.

Ed ecco, dopo la carota, il bastone: “Sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato, anche di natura culturale, ludico, sportiva ecc., svolti sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico”.
Prevista poi la “chiusura dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani ad esclusione dei medici in formazione specialistica e tirocinanti delle professioni sanitarie, salvo le attività formative svolte a distanza.
Sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura. Fanno eccezione le biblioteche”.

La cosa curiosa è che, in una sua nota aggiuntiva (ricevuta alle 19,32) Bonaccini dichiara:

Al momento non esiste nessun focolaio del virus nel territorio emiliano-romagnolo, ma da subito intensificheremo i controlli nell’ambito del monitoraggio continuo della situazione.

E qualche riga sotto, dopo aver elencato i compartecipi della decisione - curioso che ci fosse il futuro assessore alla sanità, Raffaele Donini (l’attuale, Sergio Venturi, è alle prese con una piccola indisposizione) -, ripete: al momento, in assenza di un focolaio in Emilia-Romagna, bisogna attenersi rigorosamente all’ultima ordinanza del ministro della Salute”.

Allora, nessuno è malato ma ci mettiamo in quarantena tutti: versione tecnologico-politica dell’antico motto “fasciarsi la testa prima di essersela rotta”. Peccato che nelle stesse ore le agenzie diffondano un
Aggiornamento Coronavirus, nove casi positivi all’ospedale di Piacenza. Piacenza non è in Emilia-Romagna, oppure, siccome i malati pare siano lombardi, il “focolaio” non ci tocca?

Nel dubbio, tocca allo sport pagare pegno: già nella mattinata di domenica si era dovuta scontare l’assurda delimitazione regionale (dunque politica) del divieto di fare sport in Lombardia ma non in Emilia (dunque sport vietato a Gonzaga che è “lombarda”, ma non a Reggiolo, distante 4 km ma “emiliana”). Vedremo se domenica prossima sarà vietato fare sport a Riccione (Emilia-Romagna) ma non a Gabicce (Marche). Si sa che i virus rispettano i confini decisi dai politici.

Intanto la maratona di Bologna, così voluta, e accolta con tanto entusiasmo, non si fa.

Lunedì, 17 Febbraio 2020 23:40

Rubiera (RE), 40^ Eco Caretera ed Rubera

16 febbraio – Una gara che arriva alla quarantesima edizione, sebbene non si possa parlare di gara vera e propria dato che la sezione competitiva è stata abolita da un pezzo, merita tutto il rispetto: d’altronde, qui siamo nella patria adottiva di Stefano Baldini, della società Corradini e… di Roberto Brighenti, quindi il podismo è componente essenziale del territorio, al pari dei mangimifici e della Tetrapak. Ogni anno si parcheggia sempre più lontano dal centro, e la grossa area messa a disposizione da qualche anno, mezz’ora prima del via è già esaurita.
E’ vero che, mezz’ora – o forse un’ora - prima del via, ci sono già parecchi podisti per le strade, a impegnarsi nella loro simulazione di quella che un tempo era una corsa agonistica di gruppo: guardate le foto di Nerino Carri tra la 500 e la 600, o quelle di Domenico Petti tra la 365 fin quasi alla 1000, e avrete un’idea di quanti sono partiti e arrivano alla spicciolata: chissà se i primi arrivati tra i partenti regolari sono quelli delle foto 598 e 600 di Nerino, o il 1171-2 di Petti; e la prima donna è quella della foto 801-802 di Petti.
Ma l’agonismo qui oggi è la cosa che conta meno, per i circa 5500 iscritti ufficiali (senza contare gli scolari, in elenco a parte): forse, quello che importa di più è il premio di una borraccia in alluminio per i primi 5000 (a fronte del pagamento dei soliti 2 euro), tant’è vero che quasi tutti ci precipitiamo, prima della partenza, a ritirare l’ambito premio (ritratto nelle foto 20-22, 31-32 di Teida Seghedoni), col risultato che nessuno correrà col pettorale, necessariamente consegnato agli organizzatori!
Il numero esorbitante (a mia memoria, toccato, fuori dai capoluoghi di provincia, in una sola altra gara della regione, la Quattro Porte di Pieve di Cento) è dovuto alla ‘desistenza’, ovvero compartecipazione, del Coordinamento di Modena, che ha sempre incluso Rubiera (e quasi sempre la vicina Scandiano, mai invece la confinante Arceto) tra le ‘sue’ gare; tant’è vero che, delle prime dieci società classificate come numero di iscritti, otto sono modenesi, e le loro tende spiccano nella piazzetta davanti al teatro (foto di Petti 14-40, di Teida 51-58). La prima società reggiana, il Correggio di Pederzoli (foto 700 di Nerino), è appena settima, con meno di un terzo degli iscritti del gruppo più numeroso, la solita Cittanova di Modena, località che dista da qui 5-6 km (ah, quel 1997 quando passammo di qui per la maratona Reggio-Carpi in edizione unica! Allora c’era la rinomata e costosa trattoria Nunziadeina, oggi abbandonata e nascosta dai rampicanti che le arrivano fino al tetto).

La partenza dei ‘regolari’ intasa la via Emilia centro per lunghi minuti, e per centinaia di foto (Petti 143-316, Nerino 80-500); e la cosa più pittoresca sono le famiglie, specialmente le mamme coi bimbi: guardate nelle immagini di Nerino la bella mamma della 657, con due bimbi di cui il più piccolo è voluto scendere dal passeggino e camminare pure lui; oppure l’altra mamma della 693, coi due che sembrano gemelli; e poi, verso il traguardo, i piccoli delle foto 945-956, poi 1133-34 ecc., che si impegnano nello sprint.

Poi, naturalmente, ci siamo noi vecchiardi che abbiamo fatto la storia, anzi la preistoria del podismo: Gamba ed legn Sala, fermo nella foto 27 di Teida, in azione nella 1024 di Nerino; Tiziano Franchini, già motore della fu-Casa Modena, ora col suo cane (Nerino 1108); nonno Bandieri che, forse lanciando la prospettiva di tazze fumanti del suo cioccolato, corre in compagnia di due bellezze femminili (Nerino 1895), fino a che il figlio non lo ricondurrà alla dura realtà quotidiana (Teida 927-8).

Impegnatissimo (tra i pochi) Micio Cenci (Teida 392), mentre chi scrive passa un’ora e mezzo in compagnia di Paolo Giaroli (cugino del celebre Gelo: foto di Nerino 397, di Teida 674-5): uno che a 19 anni corse la sua prima maratona nella bassa reggiana (dove organizzavano delle 42 con partenze ogni anno da un luogo diverso, Rolo, Novellara ecc.); fu ingaggiato seduta stante dal sottoscritto come staffettista in una 4 per mezz’ora di Barco, vent’anni fa, dove era venuto a mancare uno dei 4; e ora spesso classifica, come giudice di gara, i maratoneti, raccomandando spesso indulgenza per chi sfora di poco il tmax. Mentre ce lo stiamo raccontando, raggiungiamo Cecilia Gandolfi (moglie del fotografo renitente Italo), che racconta appunto di essere nota agli addetti della maratona del Ventasso come colei che devono aspettare prima di chiudere la gara.

Si entra nel tratto più suggestivo, la Villa Spalletti (niente a che fare con lo scarso allenatore calcistico), nel cui parco ci attende Teida per la maggior parte dei suoi scatti (tra il 200 e il 500 circa, con proseguimento lungo i viali e le campagne illuminate da un sole convinto): ci ripasseremo, noi del percorso lungo di 16 km, dopo il giro di boa di Arceto (teatro della famosa gara della gallina come premio, cui Rubiera contrapponeva il cosciotto di tacchino): adesso, niente tacchino, ma ristori ecologici che comprendono persino dei ceci cotti al punto giusto.

E’ tempo di tornare a Rubiera, nella piazza come al solito piena di banchetti e con ristoro sufficiente per tutti (il tè è bello carico e zuccherato): sono rimaste perfino alcune borracce-premio, che possiamo riempire con l’acqua fresca dell’ente intercomunale di servizi (coraggiosamente diverso dalla megautility romagnola che spadroneggia a Modena, Bologna e altrove). C’è poco da dire: nel territorio di quelli che Guareschi chiamava “quadrispigoluti” sta il meglio del podismo italico.

Il sottotitolo del libro di cui vogliamo parlare (purtroppo Vincenzo Mollica non era disponibile alla recensione, e dunque non leggerete il solito peana a suon di "gran bel libro imperdibile") suona “Divagazioni di un viaggio a piedi da Milano a Voltri”, ed è probabilmente più azzeccato del titolo primo, “Ci sono gli indiani ma vado avanti lo stesso”: che ti farebbe pensare a connessioni gucciniane tra la via Emilia e il West, mentre a p. 250-251, nel corso del quart’ultimo capitolo, apprendiamo più banalmente che gli indiani ovvero Apaches sono i dolori ai piedi, malgrado i quali l’autore arriverà a Tortona perseverando nella sua “pura follia di un vegliardo rincitrullito” (p. 254). Coraggio, mancano una cinquantina di km: per il lettore, solo 23 pagine più 7 di indice dei nomi, e la fatica sarà finita per entrambi.
Sto parlando ovviamente dell’ultima fatica sportivo-letteraria di un autore, ora ottantaduenne (ma tra i 70 e i 72 all’epoca delle imprese), Ennio Buongiovanni, che apprendiamo essere giornalista sportivo molto prolifico, e persino premiato, nell’ultimo quinquennio, e che nel novembre 2019 ha stampato, presso l’editore Fusta di Saluzzo (specializzato in resoconti di viaggio), queste 285 pagine in vendita a 18,90 €, formalmente piuttosto ruspanti eppure innalzate a saggio culturale, tra la guida rossa Touring e le informazioni storico-turistiche di Wikipedia, con una spiccata predilezione per le citazioni letterarie e pittoriche di cui l’indice finale tenta di dar conto: però col fiatone, tanti sono i nomi o i rimandi dimenticati o errati o imprecisi.
Il buon Jack Kerouac, ad esempio, secondo l’indice risulta alle pp. 79 e 224 (in quest’ultima pagina sono ben 12 i nomi di persona citati, e ciò comincia a dare l’idea del tipo di libro); ma nella realtà appare già nel motto introduttivo di p. 7, che verrà ripetuto a p. 74 (repetita iuvant): solo che l’autore è citato col cognome Kerouak, e forse la cosa avrà indotto chi componeva l’indice a trascurare questo fake.
Che capita abbastanza spesso, soprattutto nel caso di nomi stranieri: zappa sui piedi di chi indulge a citazioni di cose più esibite che possedute: le “thaitiane di Gauguin” a p. 44, il “ca marche” di 36 e il “ca va” di 165 (sarebbe ça), il “Kunsthistorishes Museum” di Vienna di 206, il “Paul Cesanne” di 221 (mancante all’indice, forse per un rifiuto di Madama Verità); il pittore Munch, che nelle tre volte in cui è citato appare sempre con un nome diverso: Edwar a 122 (e nell’indice), Edward a 173, Edvard a 224; il “Don Peterson” di 147 (che nell’indice è schedato subito sotto “Don Gianfranco – di Pasturana”, lasciandoci così il dubbio se Don sia nome o cognome o titolo, e insomma a chi corrisponda tra i 188 milioni di entrate su Google sotto questo nome).
Vorremmo, piuttosto, leggere, non fare continue ricerche per capire quello che non sappiamo o che crede di sapere l’autore in preda a un citazionismo esasperato, che gli fa esibire due volte Patty Pravo (97 e 128) per la sua “pazza idea” del viaggio; oppure cinque autori più un modo proverbiale solo per aver parlato di corda (e ci sarebbe da ridire sull’interpretazione di Pirandello); o dodici-nomi-dodici in tre righe a p. 135 per dire che il pittore o il poeta non rappresentano la realtà ma la loro personale trasfigurazione.
Si capisce che redigere l’indice sia stato fatica ingrata, e ciò spiega forse perché, di Socrate e Santippe citati insieme alla stessa p. 135, l’indicizzatore abbia messo solo Socrate, mentre Santippe deve essere stata inghiottita dai tanti Santi messi appunto sotto “Santo” senza troppo curarsi dell’ordine alfabetico: Sant’Ambrogio è dopo San Carlo, Santo Stefano è dopo Santhià Giuseppe ma con un rinvio a p. 116 dove proprio non c’è.
Viene attribuita a vari maestri di giornalismo (da Longanesi a Montanelli a Debenedetti a tanti altri) la frase: “chi dice in venti parole ciò che può essere detto in cinque, è capace di qualsiasi delitto” (cito a memoria senza andarlo a cercare sul web): non voglio fare di Buongiovanni un … criminale, ma direi che questo racconto, se ridotto a metà pagine, riuscirebbe digeribile e financo piacevole, per il tifo che l’autore concentra su di sé proteso a una meta negatagli dagli eventi, dal fisico, dagli amici e addirittura dall’amantissima moglie: alla fine speriamo tutti che a Voltri ci arrivi davvero, anche se ci chiediamo come mai, con tutta l’esperienza che ha, tutti i bar e le fontanelle cui passa davanti, tutta la gente ospitale che incontra, Buongiovanni abbia sempre una sete maledetta: per forza, in tutto l’equipaggiamento meticolosamente enumerato in venti righe a pp. 20-21 ci sono “bustine di integratori salini e due borracce di Gatorade”, roba che fa venire sete, e niente acqua. In compenso c’è il Malox, che sarà “Maalox” e, se in forma di sciroppo, si può bere lasciandoti un retrogusto di gesso fresco.
Ma tiremm innanz (ovviamente anche questa frase compare nel libro con l’ovvio riferimento risorgimentale, a p. 201), e peschiamo dal libro le pagine migliori, tra cui metterei in testa il divertente intermezzo con gli ortopedici e fisiatri e plantaristi di Brescia (pp. 100, 104-5, 118-121 e via andare), capaci di spillare soldi e fare interventi chirurgici con viti che arrugginiscono e dunque vanno tolte. Poi la digressione di 113-6, al passaggio sotto la galleria del Turchino (uno dei tanti), che rievoca la Milano-Sanremo del 1910.
Il capitolo migliore è probabilmente quello della parte II intitolato “Sulle tracce di Renzo Tramaglino” (186-201), in sostanza una digressione perché non si occupa della agognata discesa su Voltri ma di un allenamento del 31 marzo 2009 in direzione est, a Gorgonzola-Cassano-Gessate, grosso modo per dove Renzo passò fuggendo da Milano verso Bergamo. Efficace la descrizione del degrado lungo la Martesana (187-8); peccato che a p. 193, per passare il ponte sul Naviglio di Gorgonzola, Buongiovanni senta il bisogno di enumerare i principali ponti da lui percorsi in tutto il mondo. Seguono altre citazioni letterarie, e a proposito di ville in decadenza diventa necessario citare “mala tempora currunt” con una attribuzione a Cicerone che tuttavia non ha riscontri certi. L’autore si riscatta a 196-197 descrivendo la villa Aitelli di Inzago con note personali (non attinte da Google insomma), e prosegue offrendo note interessanti sul Rudun di Groppello. Peccato che, dopo aver detto che questo “ruotone” fu commissionato da san Carlo Borromeo, rifila la panzana che “sarebbe stato lo stesso Leonardo a progettarlo. Niente di più probabile”. Oibò, Leonardo abbandonò definitivamente Milano nel 1513, San Carlo divenne arcivescovo cinquant’anni dopo…
Meno male che Buongiovanni ammette poche righe sotto: “di divagazioni cultural-turistiche e pseudo-letterarie ne ho fatte anche troppe”. Eppure, questo è il capitolo più bello, preludio alla rapida conclusione della storia, accompagnata da una citazione vagamente iettatoria (“metto le scarpe al sole proprio come il titolo dall’ [sic, ma sarà dell] omonimo romanzo di Paolo Monelli”): perché mettere le scarpe al sole, nel gergo degli alpini ripreso da Monelli, significa morire ammazzato.
Ciò che fortunatamente non accade a Buongiovanni, che alle 15,50 del 3 maggio 2009 arriva a vedere il mare di Voltri, in cui l’indomani poserà i piedi “per un lungo e benefico massaggio” (p. 272, purtroppo segnata dall’ennesimo errore di stampa, “suoi miei tendini” anziché sui). Un’ultima citazione (Baudelaire), i cui versi sono tradotti ricopiando (senza dichiararlo) la versione leggibile in https://sensodellavita.com/2007/08/30/luomo-e-il-mare-charles-baudelaire/.
Poi, ancora tre righe e la fatica (di tutti, incluso il Roberto Mandelli che, dopo aver partecipato alla presentazione (tutte le foto) e avermi 'suggerito' la lettura, molto ha penato per inserire il suo egregio collage fotografico) è conclusa, “con i piedi che non mi fanno più male”.

 
 

9 febbraio – Se ad essere classificati in una maratona sono 160, cui vanno aggiunti altri 114 che nella concomitante gara delle 6 ore (omologata IUTA) superano la distanza fatidica dei 42,195, cominciamo già ad avere un numero totale di 274 che, per le “Minors”, è degno di qualche rispetto, magari di qualche invidia da parte degli organizzatori: siamo sui numeri delle maratone 2019 di Aquileia o Pescara, e qualcosa più del Mugello.
Aggiungiamo 109 classificati nelle gare competitive di contorno (una 30, una 21 e una 10, inserite nel Corrimarche e nel “Correre per correre” Uisp), e anche senza conteggiare i non competitivi, stiamo sui 400, che nella fredda ma luminosa mattina di domenica hanno riempito il bellissimo impianto sportivo di Fano, una pista in asfalto di 2266 metri, nata per il ciclismo ma perfetta anche per i podisti.
La gara ha coronato il congresso annuale del club Supermarathon Italia, cui l’attuale confermatissimo presidente Paolo Gino ha conferito un’efficienza e un dinamismo manageriale, sposato a un “volto umano” e ad un impulso per la solidarietà che non possono non catturare. Per dirne due, il Club, oltre a confermare le sue serie ad Orta (quest’anno, siccome siamo nel 2020, le 10 in 10 diventano 20 in 20, nei primi venti giorni d’agosto), si accolla l’onere di mantenere in vita la 24 ore di Torino e la 100 km delle Alpi (1-2 giugno), e prosegue nell’appoggio all’iniziativa pro terremotati di Norcia, con la “Due giorni della Sibilla” il 18 e 19 luglio.

Ma passo alle corse della domenica, doverosamente cominciando dalla gara-regina, la maratona, che ha visto la vittoria di Giorgio Calcaterra  con lo stesso tempo di Riccardo Quattrini, entrambi M 45 (ma Calcaterra compie 48 anni questo lunedì), in 2.51:27; in campo femminile, della riminese Pamela Guidotti (3.44:45), quasi 12 minuti davanti a Giulia Ranzuglia (31 le donne che hanno concluso la prova). Piluccando nella graduatoria, vediamo Franco Scarpa (‘contabile’ del Club, omologatore delle classifiche semestrali) con 4.12, figlio Mauro e papà Paolo Malavasi in 4.18 e 4.47 (stavolta Paolino, reduce dalla Gran Canaria, ha conseguito la sua “tacca”: ech du tacoun c’tem fe gnir!); c’era il vincitore della maratona ‘privata’ del Faro di Maspalomas, Alfredo Sboro (5.19), e via via gli altri componenti del direttivo del club, compreso il “sindaco” mantovano Simonazzi che ha battuto il presidente Gino. Non potevano mancare i maratoneti più prolifici, dal primatista 2019 Pandian (112 gare corse) al recordman all time Ancora, e ancora Gemma, Faleo e altri volti ben noti alle 42 italiche.

A questi maratoneti-e-non-un-passo-di-più (almeno stavolta) si sommano, come detto, i 114 che nelle 6 ore hanno superato i 18 giri, raggiungendo cioè i 43 km necessari per la ‘tacca’: il più resistente di tutti, Maurizio Di Paolo (M 45), di giri ne ha fatti 32, cioè oltre 76 km; quasi un giro in più (per l’esattezza 1600 metri) del secondo, Luca Cagnani. Tra le donne, Alina Teodora Muntean (F 40) ha superato di un soffio i 70 km, tre e mezzo in più della seconda Patrycja Mokrzycka (le due signore sono quinta e nona assolute). Si è fermato a 63 km l’ingegnere e ultramaratoneta reggiano Antonio Tallarita; a 56,600 l’ex presidente del Club, nonché organizzatore della maratona Alzheimer, Luciano Bigi, con lo stesso numero di giri della mamma volante bergamasca Ilaria Pozzi. Un’altra plurimamma e nostra collaboratrice, Simona Bacchi, accompagnata come sempre dal marito Alessandro Mascia ha chiuso a 51,600; davanti al comune (diciamo così) datore di lavoro, Mauro Firmani della Maratombola, che si è accontentato di sfiorare i 50 km, battendo comunque i colleghi organizzatori Francesco Capecci (la Sabbia di San Benedetto del Tronto, 45,600) e Franco Schiazza (Gran Sasso, 45,300). A quasi 44 km è arrivata Angela Gargano, di cui si annuncia per maggio il traguardo delle 1000 maratone in carriera; mentre il gruppo è stato chiuso da Luca Mazzocchi e Fabrizio Zandrini che si sono accontentati di 31,700 km.

Di tutto rispetto il tempo del vincitore della 30 km, il pesarese Luca Sperindei (1.58, cioè 3:58 a km); la prima donna, Roberta Ciferri, ha impiegato 2.40.

Francesco Berardi, enfant du pays, ha dominato la mezza maratona, conclusa in 1.20 (cioè 3:48 a km), oltre 6 minuti sul secondo Giampiero Martini; nessun problema anche per la prima donna, la recanatese Barbara Cimmarusti, 1.34 cioè 7 minuti sulla seconda Chiara Mainardi. Poco sotto l’1.54 è giunto Annibale Montanari, organizzatore di una delle maratone più belle di quelle contrade e non solo, la Collemarathon Barchi-Fano, e che ovviamente ha avuto un ruolo decisivo nell’allestimento di questa giornata. Ma gli applausi più sentiti sono toccati al presidente onorario del Club, Angelo Squadrone, anni 91, che ha finito in 3.26.

La gioventù si è invece riversata sulla 10 km, dominata da Peter Santagatti (26 anni) in 33:02, un minuto davanti ai due (presumo) gemelli Luca e Lorenzo Boinega (29 anni). Prima donna, Elena Smacchia in 41:50. Tra tanti giovani, notata peraltro la presenza di una coppia un po’ più attempata del Road Runners Milano, Franco Cabrini e Gabriella Valassina, che ce l’hanno fatta in 1.28.

A completare la giornata, pizza gratis per tutti gli iscritti (secondo la ferrea organizzazione della fascinosa segretaria Cristiana da Rimini) in un locale lungo la via Roma (alias Flaminia), il rettilineo di 220 miglia che Giulio Cesare percorse dopo aver gettato il dado; e possibilità di partecipare (stavolta a pagamento) alla sfilata di uno dei più antichi Carnevali d’Italia, o anche di visitare il monumentale centro storico e la piccola ma notevolissima pinacoteca.

Venerdì, 07 Febbraio 2020 14:26

Maratoneti italiani: sono davvero in calo?

Attesissima e puntuale, è uscita la “Maxiclassifica” dei maratoneti italiani, allegata al numero di “Correre” di febbraio oltre che recuperabile, almeno nei dati, dal sito del mensile stesso.

Il succo del grande lavoro di raccolta è condensato nelle righe seguenti, da cui attingo.

 È sceso a 36.725 il totale dei maratoneti italiani che nel 2019 hanno portato a termine almeno una maratona (42,195 km), per un totale di 57.092 tempi. Una flessione che era già cominciata nel 2018, quando furono 37.874 i nostri connazionali finisher della distanza, in calo rispetto al record assoluto che era stato raggiunto nel 2017 con 39.460.

Il calo ha riguardato soltanto gli uomini, scesi ancora: 29.810 contro i 31.002 del 2018 (- 3,8%). Continua, invece, l’incremento della partecipazione femminile: nella stagione da poco conclusa sono state contate 6.915 maratonete contro le 6.871 del 2018 (+ 0,6%). Questa crescita della maratona italiana in rosa sta proseguendo ininterrottamente dal 2013.

New York resta la gara estera più amata dagli italiani, con 2.850 finisher; il calo rispetto al 2018 (2.983) è dovuto soprattutto all’anticipata apertura delle iscrizioni per il 2020, quando la gara vivrà la propria cinquantesima edizione;

Valencia continua ad affascinare i nostri runner: 2.013 lo scorso anno (1.870 nel 2018); Berlino (1.062 italiani), Atene (892) e Parigi (644) sono le altre destinazioni estere maggiormente gettonate dai nostri connazionali.

Presenze di italiani sono state rintracciate in 116 maratone nel mondo, che si aggiungono alle 90 disputate sul nostro territorio.

In Italia, Roma (8 aprile 2018) risulta ancora la più frequentata tra le italiane, ma è scesa a 8.820 concorrenti arrivati (ne aveva contati 11.675 nel 2018). A completare il poker delle quattro gare maggiori troviamo Firenze (24 novembre) con 7.455 arrivati (7.606 nel 2018), Milano (7 aprile), ancora in crescita con 6.303 maratoneti (5.556 nel 2018) e Venezia (27 ottobre), che ha accolto 5.369 finisher rispetto ai 4.915 della precedente edizione, flagellata dall’acqua alta.

Ovviamente – mi permetto di osservare – l’acqua alta degli ultimi 3 km non aveva inciso per nulla sugli arrivi: le iscrizioni erano state aperte e chiuse ben prima che si sapesse dell’acqua alta. Anzi, paradossalmente, il fascino esercitato dallo sguazzare in trenta cm d’acqua, oltre alla pubblicità data all’evento, ha certamente fatto da traino alle iscrizioni del 2019.
Qualche altra considerazione critica (non nel senso di ‘polemica’ ma nel senso di ragionarci sopra un po’ di più). A cominciare dal numero complessivo dei maratoneti: sono davvero calati? Risultano 1100 in meno sul 2018: ma se pensiamo agli annullamenti delle maratone di Genova e Torino, e ai quasi tremila partecipanti in meno registrati a Roma per le note incertezze organizzative, questo “calo” del 2019 va quantomeno asteriscato. E buona sorte che “Correre” assegna il ‘punto’ ai quasi 7500 che hanno completato la maratona di Firenze, misurabile in circa km 41,600: non è colpa dei podisti se hanno ‘tagliato’, ma i loro tempi andrebbero, questi sì, asteriscati.
Però, anche ammettendo il “calo”, lo circoscriverei alle maratone su asfalto, le uniche prese in considerazione da “Correre”, che continua a ignorare le ecomaratone e le maratone di montagna, sulle quali invece si stanno riversando gli interessi di tanti maratoneti stanchi di correre tra i gas di scarico o quantomeno in scenari urbani poco edificanti o comunque sempre uguali negli anni. Come segnalo da almeno vent’anni, una delle maratone più belle d’Europa, la Jungfrau di Interlaken, omologata Aims e che ogni anno fa il tutto esaurito – con molti italiani presenti – da almeno un decennio è stata tolta dalla maxiclassifica. Dove non figurano neppure ecomaratone italiche come (per dirne solo due) Alba e Cervia, la maratona sulla sabbia di San Benedetto del Tronto (e tantissime altre), mentre c’è (distrazione?) la cosiddetta maratona di Ostia, che si rivela essere la Maratombola di Castelfusano di fine dicembre: gara bella e raccomandabile, ma totalmente ‘eco’, quasi totalmente su sentieri nel bosco. Perché quella sì e le altre no?
Un’altra stranezza ritrovo nella maratona chiamata (a p. 24) “Palma di Maiorca”: almeno alcuni tempi attribuiti a podisti non si riferiscono a Palma ma alla Gran Canaria, insomma a Las Palmas (vabbè, sempre un’isola spagnola con le palme è…); mentre, piluccando sulla classifica della ‘vera’ maratona di Palma di Maiorca, svoltasi a ottobre 2019, constato nella maxiclassifica l’assenza dei risultati di vari partecipanti italiani: per dirne due a caso, Mario Polverino e Pasquale Simeone, che figurano con altri risultati. Strano, tanto più che la maratona maiorchina era stata pubblicizzata dall’agenzia storicamente legata a “Correre”, e con l’intervento del direttore stesso del mensile.
Quanto alle maratone plurime, quelle che si svolgono in più giorni consecutivi nello stesso luogo: se ad esempio le 4+10 di Orta sono distinte giorno per giorno (e in fondo, le prime 4 erano differenti per tracciato e quasi sicuramente per lunghezza l’una dall’altra), le 8 di Rieti non lo sono, e dunque lo stesso atleta si trova accreditato di tempi diversi nello stesso luogo, senza distinzione.

Posti questi limiti, i dati della Maxiclassifica sono una miniera che offre spunti pressoché infiniti. Credo che il più ‘gettonato’ (come si dice oggi nonostante i gettoni siano spariti da decenni) sia quello del “chi ne ha fatte di più?”, evidenziabile a colpo d’occhio su “Correre” dalla lunga striscia bianca sotto il nome del singolo pluricorridore. E tornando alle origini del Club dei supermaratoneti italiani, che le sue classifiche interne le compilava a partire dalla maxiclassifica più aggiunte individuali (restò clamoroso l’anno della falsa attribuzione del record all’ignaro Sante Facchini), sono andato a vedere le graduatorie online (molte e preziose) del Club stesso, il cui presidente Paolo Gino figura nella maxiclassifica con 25 gare, diciamo così, “asfaltate” (incluse due Rieti-chissà-quali), ma nella classifica del Supermarathon Italia (che non distingue per il fondo stradale, e comprende le ultramaratone e le gare a tempo, 6 ore ecc.) è accreditato di 46.
A occhio, spiccano per numerosità nella Maxiclassifica i componenti del Club (anche se non mi sono preso la briga di contare una per una le ‘tacche’ di tutti su “Correre”): per curiosità, do tra parentesi le cifre risultanti dalle graduatorie 2019 del Club, che approssimativamente raddoppiano, o quasi, i numeri di “Correre”. Il primo dovrebbe essere ancora il milanese Vito Piero Ancora (53 maratone per “Correre”, 92 all inclusive), seguito dal rubicondo toscano Massimo Morelli (65), dal maresciallo ‘trombettiere’ forlivese Lorenzo Gemma (58), dal veneziano di San Donà Elvis Tasca (55), dall’anconetano Fernando Gambelli (54).
La Lombardia primeggia anche tra le donne, con “Carlotta” Gavazzeni (57) seguita da Giulia Ranzuglia (53, con uno strepitoso ancorché asteriscabile 3.45 a Firenze) e da Carolina Agabiti (47 gare). Non facendo parte del Club, non entra nelle classifiche annuali la barlettana Angela Gargano, cui “Correre” attribuisce 29 maratone, ma saranno qualcuna in più (risultavano in tutto 937 al 30 giugno 2019 secondo le statistiche mondiali ‘giapponesi’; chissà che il 2020 non segni il raggiungimento delle mille, cui Ancora è già arrivato da tempo).
Se però dalla quantità di maratone passiamo alla qualità, le statistiche di “Correre” sono impietose: nessun maratoneta italiano figura nei primi 100 del mondo; il record stagionale di 2.08:05 è al di sopra del ‘peggior’ tempo registrato al mondo. Va meglio per le donne, ma il 2.24 della Dossena (che le vale il 65° piazzamento planetario) è isolatissimo, stando a cinque minuti sopra del secondo tempo femminile.
E si fa presto a capire perché: i maratoneti di trent’anni fa continuano a correre, ma come Petrarca vanno “misurando a passi tardi e lenti”, sempre più, i tracciati che una volta discendevano con orgogliosa sicurezza: intravedo una sola eccezione che coniuga quantità e qualità, l’astigiano Alessandro Ponchione, 55 anni, e 37 maratone nel 2019, a partire da un 3.15 a Padova, chiudendo con un 4.01 nella maratona collinare di Suviana. Ma dietro i veterani, si scorgono ben pochi under 30.
E meno male che ci sono i ‘nuovi italiani’: tra i migliori 7 della graduatoria 2019, abbiamo due Yassine (primo e terzo!), un Eyob e un Ahmed; i due migliori con cognomi nostrani, Meucci e La Rosa, stanno compiendo 35 anni, e l’unico giovanissimo appare Alessandro Giacobazzi, non ancora ventiquattrenne. Notare che nei primi cento ci sta Gianni Bortolussi, classe 1969.
Tra le donne, si diceva, staccatissima in alto la Dossena, che viaggia verso i 36 anni e comunque ha fallito l’appuntamento mondiale; a cinque minuti, la Epis (32 anni), poi la Straneo (44) e la Bertone (48). Prima under 30, Sara Brogiato, un pelino sotto i 2.37. Ma nelle prime 30 ci stanno Salvatori e Moroni (coetanee della Bertone), e Claudia Gelsomino classe 69; del ’71 è l’avvocata Monica Carlin, 56^ in Italia. La Bertone è anche l’unica italiana detentrice della miglior prestazione mondiale ed europea delle F 45 col suo 2.28 di Berlino 2017.
Nell’attesa dei giovani, consola vedere la ‘resistenza’ delle generazioni anteriori, i cui migliori sono estrapolati nelle graduatorie “age group” di pp. 12-18 (con la perdonabile distrazione della sigla M appioppata anche alle gentildonne). Le nostre portacolori in azzurro sono dunque distribuite nelle fasce d’età: prima la Brogiato nelle under 30, la Epis nelle F 30, la Dossena nelle F 35, la Straneo nelle F 40, la Bertone nelle F 45 e la Gelsomino nelle F 50, col suo tempo conseguito tre mesi fa; ma se andiamo più in su con le età, troviamo le gloriose Navacchia e Del Ben che sopravvivono ancora nelle graduatorie F 55-60-65, con prestazioni ormai stagionate.
“Doppio record” stagionale, per dir così, assegnato a Franca Monasterolo: il suo 4.48 di New York 2019 la issa in testa alle F 75 a pagina 20; il tempo però manca all’elenco alfabetico di p. 60, ma a pagina 14 è compensato dal primo posto tra le “M 75” grazie al 4.45 di Ravenna (stavolta confermato).
Tra gli uomini, risulta ancora primatista europeo degli M 60 il ligure Luciano Acquarone, ora novantenne, per una prestazione realizzata nella non più esistente maratona di Asti, 34 anni fa; Acquarone conserva i record italiani anche per le categorie dalla M 55 alla M 75; mentre per le M 80 e 85 troviamo ai vertici europei il carpigiano Antonio Caponetto, classe 1931, che però nel 2019 non risulta accreditato di nessuna prestazione sui 42 km. A dire la verità (lo dico da testimone oculare) Toni ha corso il Passatore, ma alla simbolica striscia dei 42,195 sulle rampe di Razzuolo non c’era nessuno a cronometrarlo, e “Correre” quest’anno, a differenza di annate precedenti, non sancisce questi tempi di passaggio. Ma nel 2021 obbligheremo Toni a correre una 42 asfaltata da M 90, e il record non mancherà, e con esso la prenotazione per una statua da collocare nel monumento a Dorando Pietri sito alle porte di Carpi.

Gran Canaria, 23 gennaio – Da nove anni, per l’ultima domenica di gennaio, un nutrito gruppo di maratoneti italiani, teleguidati a Prato da Mario Ferri il giramondo, e nell’isola atlantica da Ugo Fabbri che ormai è di casa lì, si ritrovava sulla costa sud-orientale della Gran Canaria per corrervi la maratona. Prenotazioni già fatte da agosto, voli low cost e ospitalità di lusso (non nei prezzi) presso l’hotel Occidental Margaritas di Maspalomas; e così era stato anche a principio del 2019.
Se non che alla fine di ottobre dello stesso anno, gli organizzatori comunicavano che la maratona n° 10 non si sarebbe svolta più in gennaio ma in novembre o dicembre (curiosamente a ridosso dell’altra maratona canarina, di Lanzarote). E’ vero che veniva allestita in tutta fretta un’altra maratona in una località diversa dell’isola, il 1° febbraio, ma i nostri maratoneti avevano già prenotato per la settimana precedente: gli organizzatori ‘storici’ non davano segni di vita, allora che fare?
Si procede all’italiana, diciamo nello stile supermaratoneta: la maratona la si organizza in proprio! Al motto “Quando c’è una volontà, c’è una via”, individuato un circuito di 7 e rotti km, tale da completare la distanza canonica con 6 giri, lungo la costiera di Maspalomas con un breve tratto nell’entroterra e punto di riferimento nel faro che domina la zona; ottenuto il pieno appoggio logistico dell’hotel, della Diadora e del negozio sportivo Campione, la ventina di  ‘podisti volonterosi’ si sono fatti stampare una maglietta (verde per gli uomini e rosa per le signore) col profilo dell’isola e un ironico messaggio alla maratona-che-non-c’è, creando così la “Maratona del Faro” (prima, unica? Non si sa), senza bisogno di omologazioni e le altre menate burocratiche di cui ci si compiace in Italia, e sono partiti, con 25 gradi di temperatura, e senza l’obbligo di arrivare in fondo.  Le medaglie erano pronte, in parte preparate da Ferri stesso e in parte offerte dal Club Supermarathon, e in particolare dal ‘trombettiere’ forlivese Lorenzo Gemma (che però all’ultimo momento ha dovuto dare forfeit causa incidente).
A seguire l’impresa sono arrivati un giornalista e un fotografo-cameraman del principale giornale di Las Palmas, che hanno potuto constatare la vittoria assoluta di Alfredo Sboro, un riminese con 304 maratone all’attivo ma che aveva un conto aperto con la Canaria, perché nel 2019 era dovuto rientrare in Italia, alla vigilia della maratona, per un grave lutto familiare. Tempo finale, oggi, di 5.11:42. Seconda assoluta, e ovviamente prima donna, Paola Gueli (154 maratone), in 5.20:42; dietro lei, Rosa Lettieri (368 maratone), a filo delle 6 ore, come l’organizzatore Ferri (che ha smesso di contare le maratone quando arrivò a quota 500) e Ugo Fabbri, altro riminese traslocato sull’oceano, 84 maratone all’attivo. Gli altri se la sono presa più comoda completando ciascuno i giri che gli aggradavano: si segnala Daniela Gallia (55 maratone, l’ultima in Giamaica un mese prima), che sofferente per una ‘fresca’ caduta sugli sci ha fatto 28 km.
Per tutti, è seguito il cosiddetto terzo tempo, ovvero la cena conclusiva della giornata, dove l’Occidental Margaritas è stato all’altezza della sua fama di ospitalità, con un menù lussuriosamente abbondante e senza sottilizzare su dolci e bevande extra.
Sarà omologata? Costituirà una gloriosa ‘tacca’? Andrà sulle maxiclassifiche? Ai dubbi si potrebbe rispondere con l’ipotetico apocrifo commento di Paolino Malavasi, modenese aficionado di quelle contrade e reduce dalle Six minors emiliane così da arrivare a 240 maratone ‘ufficiali’ in carriera: “Csa vot ch’a m’nin frega? ai ho magné, dbu, ciapè al sol e fat al bagn, quand a toren dal vostri bandi (più terd ch’as pol) an’im parlàm!”.

Commenta Ugo Fabbri:

La "Maratona del Faro" è un evento autogestito, creato appositamente per permettere ad un gruppo di italiani in vacanza di poter correre una maratona (ma anche una mezza) in sostituzione della Gran Canaria Maratón prevista per oggi, il 26 gennaio ... ma poi annullata pochi mesi fa ... per motivi, a dir poco, inesplicabili. Sarebbe stata la 11ª edizione.
Io sono uno dei pochi (13 in tutto) che ha corso (e finito) tutte le 10 edizioni: ed è per questo motivo che l'anno scorso sono stato premiato con una targa di riconoscimento dall'organizzazione.
Quattro mesi fa, il mio caro amico Mario Ferri mi disse che sarebbe venuto ugualmente con un gruppo (come fa ogni anno)  e mi chiese di organizzargli una maratona.
Detto e fatto: mi misi all'opera per creare un circuito su uno dei lungomari oceanici piú affascinanti d'Europa, con il Faro di Maspalomas come zona partenza/arrivo.

La "strana" partenza alle 13 é stata decisa appositamente per permettere ai partecipanti di poter fare gli ultimi km con il fresco del pomeriggio e di godere del magnifico tramonto.

Inoltre mi sono occupato anche di tutta la promozione grafica, con un sito web (Google Photos) dedicato esclusivamente a documentare questo evento.
Poster, foto e video di ogni punto kilometrico, foto e video prima, durante e dopo la maratona.

Tutto questo mio impegno e tempo, l'ho dedicato a Mario (e al suo gruppo), perché, oltre a considerarlo un gran amico, lo ammiro molto per la sua energia e simpatia che riesce a trasmettere.

 

? Galleria di foto/video su Google Photos di FORZA AZZURRI
https://photos.app.goo.gl/VXBEfQXeAi4Ewhbv6

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