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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Giovedì, 06 Settembre 2018 23:08

S. Maria in Strada (BO), Camminata Badia in festa

6 settembre - Doveva essere il 1993 quando per la prima volta circolò (non ancora sul web, ma nei calendari cartacei) l’annuncio di una nuova corsa, a una quindicina di km da Bologna, in occasione della sagra di questa antica abbazia camaldolese, poi cistercense, in riva al torrente Samoggia (chi arriva in treno da Milano, esattamente alla stazione di Ponte Samoggia, se volge lo sguardo verso nord seguendo il corso del torrente incontra l’abbazia a poche centinaia di metri: la linea AV addirittura lambisce il terreno parrocchiale).

Da quei tempi, non credo che la gara si sia disputata regolarmente; negli ultimi anni però è diventata un appuntamento costante, una scampagnata che per la parte gestionale si vale della collaborazione dell’ex presidente del coordinamento podistico bolognese, Angelo Pareschi (che conferma: la maratona di Bologna non si fa né si farà).

Il giro sostanzialmente costeggia il torrente, con lunghi tratti erbosi o sterrati, in mezzo alle coltivazioni tra cui quest’anno prevale il girasole (saranno ordini superiori; ma io continuo a chiedermi dove sono finiti i campi di grano di una volta, in una nazione che importa dall’estero la metà del suo fabbisogno di frumento).

Gara non competitiva, e - nello stile bolognese - mortificata dal vezzo della partenza libera rispetto alle 18,45 fissate. All’ora giusta eravamo rimasti meno di un centinaio, comunque un buon numero rispetto ad altre annate e altre competizioni limitrofe: ricordavamo che nel passato il via era dato dopo la benedizione del parroco-abate. Ma non si vedeva nessun prete, al che il veterano locale Giuseppe Cuoghi si interessava presso gli organizzatori, ricevendo la risposta: “Bè, ma non siete ancora partiti?”.

In tutta fretta, con una bandierina si portava in testa al gruppo e dava il via, mentre nuvole minacciose incombevano sui partenti regolari. Anzi, dopo 3-4 km ci accorgevamo che la strada era bagnata per una pioggia già venuta e finita: con sadismo commentavamo che stavolta erano stati i partenti anticipati a beccarsi l’acqua, mentre noi abbiamo concluso indenni i 7,4 km confortati al termine dal premio di una piada o, a scelta, un pacco di biscotti.

Non più di cinque o sei i gruppi presenti, bolognesi per dovere o per affetto (come il Castelfranco Emilia); i modenesi erano tutti precettati a Sassuolo, con l‘eccezione della fotografa Teida che scopriva persino una storica canotta di Podisti.net indossata dal vecchio amico Stefano Piazzi.

2 settembre - Due anni fa, quando partecipai per la prima volta a questa gara, intitolai I reggiani ci viziano troppo (chi vuole, veda qui in fondo). Tornandoci ora, col solo rammarico di non poter correre il percorso lungo di 22 km, ho visto che i partecipanti alle competitive sono più che raddoppiati, più un bel numero di persone che hanno corso le gare non competitive o passeggiato il walking.

Segno che, non dirò le recensioni positive, ma il passaparola funziona: mi è capitato di fare alcuni km con Carolina Bergamini, una professoressa di inglese a Modena, diciamo di mezza età anche se non dimostra affatto i suoi anni (vedere la foto 457 di Morselli), che non aveva mai corso un trail ma era venuta qui per accompagnare un’amica, finendo però coinvolta nella gara agonistica: affrontata da “non tesserata”, con serenità e largo spazio al colloquio, spaziante da quell’ “uno” rimediato nel primo compito di italiano ad opera di una prof-nobildonna del “Muratori” (che aveva fatto in tempo a stangare pure me, con una domanda-trabocchetto-indovinello sui “Promessi sposi”), fino alla laurea a Bologna (ma che Modena e Modena!) con docenti oggi leggendari, e all’insegnamento nella stessa scuola che l’aveva accolta adolescente.

Mentre finivamo le nostre chiacchiere, appena sotto il cocuzzolo della Pietra, ci ha sorpassato il pettorale n. 1 del percorso lungo, tipico trailer che si rapa a zero i pochi capelli residui. e muscoli in tiro; sembrava andasse a tutta birra, ma un paio di minutini dietro lui incedeva un tipo più tozzo e scuro col pettorale 65. Superato il ristoro della vetta (che per me ha significato l’approvvigionamento di due spiedini, un bicchiere di bianco e uno di limoncello: chi vuole sorpassare si accomodi), nella discesa si sentiva la voce di Morselli descrivere lo sprint finale, che dalla classifica e dalle sue foto tra la 395 e la 405 si desume essere andato a favore del  n. 65, con 22 secondi sul vincitore destinato.

Nel frattempo, una signorina in borghese con cane  interrogava noi ancora in vetta se era per caso passato uno fatto così e così, che dovrebbe essere quinto: boh? E perché? – Perché è il mio moroso (la sventurata rispose, lanciandosi all’inseguimento di corsa).

“E via via tutti gli altri”, come dicevano i telecronisti nelle volate del  Giro d’Italia; bè, non proprio tutti: quando arriva il gruppetto più o meno intorno al sottoscritto, di quelli del percorso lungo ne sono arrivati soltanto 9: il decimo, che risulta provenire dalla Liguria, inscena uno sprint mirabolante per precedermi sulla linea d’arrivo (quale onore battere Marri che ha solo 43 anni più di te!), e un metro dopo le foto di Morselli (numeri 449-453) crolla vittima dei crampi. Valeva la pena?

Come dicono a Parma, noi dei 13 km (con 800 metri di dislivello, che forse sono 700, ma a differenza dei primi anni spostano la cima verso la fine e non ai primi km) ce la prendiamo molto più “dolsa”: da colei che veste le spose, Rosanna Bandieri da Correggio, che causa infortunio non può andare al trail da 501 km cui si era iscritta e si consola con la Pietra, a Luca Salardini in Benatti (a entrare nelle famiglie reggiolesi si finisce per forza a competere), dalla Simonetta Silingardi sassolese alla solita coppia Giaroli-Cuoghi (il secondo, classe 1947, direi che si stia avvicinando ai nostri standard, c’è da stare attenti): finiamo in 131, contro i 55 del 2016.

Più “gettonata” (come dicono coloro che non hanno mai visto un juke-box a gettone, uno per 50 lire, 3 per 100 lire), grazie ai suoi 236 arrivati, la gara dei 22 km con 1300 D+: l’ultima viene dall’Ortica di Milano ma si chiama Morselli, e ci mette poco meno di 5 ore; poco prima ci sono altre due sassolesi innamorate di questo tipo di gare, la Ginetta e la Cecilia (con qualche malignità ci passiamo le info su una loro collega decisamente sovraesposta che ha appena toppato in una gara di super-élite).  Massimo Muratori ha finito tranquillo in 3.31 (senza svelare i suoi progetti imminenti)

http://www.podisti.net/index.php/cronache/item/2308-trail-della-pietra-percorso-lungo-e-gustoso.html

mentre Jennifer-Juniper Mai fa addirittura 2.54,poco dietro l’attuale fidanzato Francesco,  e lascia presagire chissà quali prossimi exploit.

Insomma, un trail per tutti, che non spaventa nessuno con dislivelli o tempi massimi impossibili (solo al traguardo mi sono accorto che per errore avevo calzato scarpe da strada e non da trail), dunque in controtendenza rispetto alle mode o manie dei trail nello stile “se non sono matti non li vogliamo”, e anche della “autosufficienza” (ho visto tre ristori, e il terzo era qualcosa più di un pasto; al traguardo mancava il vino ma c’erano degli squisiti dolcetti casalinghi). Con modico supplemento di 5 euro (rispetto ai 15-20 chiesti per l’iscrizione) era poi disponibile il pasta party all’interno di una festa sud-tirolese (spaetzli sì, non ho però visto i canederli).

Trail della Pietra 2018


Perfette le segnalazioni, ottima la sistemazione del tracciato, e alla faccia degli astrologi che davano pioggia al 90%, non è proprio piovuto: se gli organizzatori riusciranno ad attenuare due dei difetti più tipici dei trail in provincia di Reggio, le lungaggini al ritiro dei pettorali (dove si sbrigavano prima i nuovi iscritti dei preiscritti!), e le docce poche e poco buone, si potranno candidare per  l’eccellenza.

Foto: http://www.podisti.net/index.php/component/k2/item/2298-02-09-2018-castelnuovo-ne-monti-re-4-trail-della-pietra.html

Classifiche: http://www.podisti.net/index.php/classifiche/5562-4-trail-della-pietra.html?date=2018-09-02-00-00

Cronaca del 2016

“Montasi su a Bismantova in cacume”, sentenziò Dante nel Purgatorio, paragonando questa salita, fino al “cacume” cioè alla vetta,  alle altre più dure che conosceva (prima di tutte San Leo). Salita che ai tempi di Dante era più dura di oggi, se dice che “e piedi e man volea  il suol di sotto”; adesso, per arrivare alla cima (al km 3,200 di questa gara, salendo dai 700 metri della partenza ai 1020 della cima stessa ) ci sono sentieri abbastanza comodi, con qualche scalino ricavato nella roccia, e persino un paio di funi, per usare appunto anche le mani, come fecero Dante e Virgilio.

Bellissima idea questa di uno “Stone Trail Team” (ahi, povera lingua di Dante!), allestito sopra quella montagna cui finora  si era girati intorno, nel rinomato “Gir dla Preda”. “Pietra” che, a vederla dal basso, fa un po’ paura con le sue pareti scoscese, non a caso scelte da qualche reggiano per suicidarsi. Ma, affrontata per i sentieri scelti dagli organizzatori, dà ragione a Virgilio: “Questa montagna è tale – che sempre al cominciar di sotto è grave – e quant’uom più va su, e men fa male”. Anche ai due poeti capitò di fare dei sorpassi, di ”persone – che si stavano all’ombra dietro al sasso”; e uno di quelli li sfotte pure: “Or va tu su, che sei valente!”; sì, sorpassa pure, che sei bravo, poi ci vediamo in cima.

Sono disponibili un giro “corto” di 13 km con 800 metri di dislivello (il Garmin dirà 730), e uno lungo da 22, con 1200 metri da salire e scendere; giro comune fin verso il km 7, con un’altra cimetta a 1008 metri, un dente a 860 metri al km 6,6; poi noi semi-potenti del “corto” scendiamo verso Castelnovo Monti, cercando di evitare l’onta del sorpasso da parte dei primi del “lungo”.

Ultimo tratto in salita (dove vedo camminare anche qualche big) al km 11, a quota 825, poi si scende tutti, ipernutriti e iperidratati dai ben 4 ristori (almeno uno in più per i “lunghisti”). In realtà il programma dice di 4 ristori (il 1° e il 4° sono lo stesso) solo per il percorso lungo; ma ne ho trovati 4 anch’io, mettendo nel conto il quarto (forse non previsto) a un km dalla fine, dove si scendeva dal sentiero all’asfalto di Castelnovo, e dove con la birra ho potuto togliermi quel po’ di sete venutami mangiando panini, salumi e salsiccia grigliata nei ristori precedenti.

Certo che, procedendo così, si viziano i podisti, che quando al prossimo trail sentiranno parlare di semi-autosufficienza, e ai ristori troveranno sì e no acqua fresca o tè tiepido, protesteranno contro gli organizzatori… Anche i prezzi d’iscrizione erano decisamente bassini, rispetto alla media e soprattutto ad altre gare reggiane più esose: iscrivendosi entro le 48 ore dall’evento, si pagavano 13 o 20 euro a seconda della gara; 5 euro in più la domenica mattina. E l’iscrizione dava diritto al pasta party (maccheroni, arrosto, insalata, torte, acqua), che si aggiungeva al ristoro finale dove ho usufruito specialmente dei formaggi oltre che delle bevande canoniche. C’era pure un pacco-gara, e il trasporto in auto alle docce (caldissime) distanti circa 1km.

Addirittura esagerato il numero di addetti sparsi lungo il percorso, oltretutto talmente segnato che era difficile sbagliarsi (eppure, si diceva che il primo della 21, un locale che conosceva “troppo” bene i posti, si sia smarrito!).  Insomma, è difficile pretendere di più; anzi, lo ripeto, forse bisognerebbe dare un po’ di meno per non generare troppe pretese...

Come dalle classifiche tempestivamente emanate, sono 110 gli arrivati nella 21 (solo 13 le donne), 55 (di cui 18 donne)  quanti hanno finito la 13, più 30 bambini nelle corse a loro riservate.

Non sono grandi numeri, anche perché il calendario proponeva lo stesso giorno un altro trail dello stesso campionato regionale Uisp in provincia di Parma, più uno a S. Marcello Pistoiese che non è tanto più in là. Però chi è venuto credo sia rimasto pienamente soddisfatto.

Il nostro Roberto Mandelli si avvia ad essere (se non lo è già) il fotografo sportivo più rinomato di tutta la Lombardia. Lo sanno bene i lettori di Podisti.net, ma lo sanno anche gli “esterni”, gli organizzatori di gare e i giornali. I quali talvolta trovano indispensabile, e molto comodo, ricorrere a sue foto per documentare eventi locali. Tutto bene, salvo che ‘dimenticano’ di citarlo come autore delle foto che pubblicano.

Trail della Pietra 2018

L’ultimo caso è di oggi 29 agosto e chiama in causa il “Giornale di Monza” online: nell’annunciare il “Memorial Molteni” di domenica 2 settembre a Carate, con particolare attenzione ai disagi del traffico auto, apre con una foto dei concorrenti sulla linea di partenza.

Bene, perché la foto è presa dal servizio su Podisti.net relativo alla prima edizione del 29 aprile 2017; peccato che siano state artatamente (cioè volutamente e con intenzione di appropriazione indebita) ritagliate le sovraimpressioni da cui risultava che la foto è di Mandelli ed appartiene a lui e alla nostra testata.

A questo punto, stiamo a vedere se il “Giornale di Monza” darà a Roberto quel che è di Roberto: lo chiediamo con le buone…

 

...e, come direbbe Totò, tomo tomo cacchio cacchio il "Giornale di Monza" ha sostituito la foto: piuttosto che riconoscere il suo debito verso Mandelli, ne ha messa un'altra, che non si sa di chi sia.
E la chiamano deontologia. 

26 agosto - Si conclude in maniera degna, sebbene con un colpo d’occhio di partecipanti inferiore all’attesa, il 9° Circuito del Frignano, campionato provinciale Uisp di corsa in montagna  che ha messo insieme 11 gare disputate nell’appennino modenese tra la fine di maggio e quest’ultima domenica di agosto.

I competitivi classificati a Pavullo sono stati 202 (39 le donne), ed è una cifra mediamente superiore a quelle registrate nelle gare consorelle; circa 800 i non competitivi, col maltempo della giornata precedente che ha forse dissuaso una parte degli habitués del coordinamento modenese: e vogliamo azzardare che una metà dei non agonisti sia partita in anticipo? Lodevoli poi, anche se non affollatissime, le serie sui 500 e 1000 metri offerte ai ragazzi dai 6 ai 17 anni (ma forse per i più grandicelli si potrebbero prevedere distanze un tantino più impegnative).

La gara principale era misurata in 14,5 km (il mio Gps dà 14,2), con un dislivello in più e in meno di circa 400 metri; le “quattro torri” sarebbero le 4 principali alture del percorso, che spazia tra i 674 e gli 850 metri s.l.m. (questi ultimi raggiunti allo storico castello di Montecuccolo, cui si accede per una mulattiera ciottolata che dovrebbe fare parte dell’antica via Vandelli, la prima transappenninica carrozzabile modenese).

Percorso (per almeno un terzo non asfaltato) ottimamente segnalato, con abbondanza di addetti nei pochi attraversamenti, tre ristori più il consueto ricchissimo quasi-pranzo finale comprensivo di caffè preparato all’istante. Insomma, 34 edizioni hanno conferito agli organizzatori una eccellente qualità di allestimento, e garantito un discreto ritorno in sponsorizzazioni oltre che abbondanti premiazioni di società e individuali (ai consueti prosciutto e formaggio parmigiano si sono aggiunte le scarpe da running per i primi e le prime tre). L’unico neo, che dipende dal tumultuoso sviluppo urbanistico della cittadina, restano i parcheggi selvaggi e non assistiti, a parte le poche decine di posti disponibili vicino all’ingresso dell’impianto sportivo. Adesso che c'è un sindaco nuovo e 'di rottura' rispetto al passato, vedremo se cambierà, ma ormai la cementificazione è compiuta e i semafori sono fin troppi e fastidiosi.

La classifica individuale vede al primo posto assoluto Marco Rocchi della MDS in 53:39, allo sprint su Riccardo Tamassia battuto di due soli secondi, e con un minuto sul terzo Andrea Aragno. Senza storia la gara femminile, come accade da queste parti (Modena-Reggio-Parma-Garfagnana, per tacere del Trentino) ogni volta che prende il via Isabella Morlini: diciottesima assoluta, pochi secondi sopra l’ora, due minuti netti sulla promessa locale Francesca Giacobazzi, poco meno di tre su Laura Ricci. Forse, passare un mese ad arrampicare e correre in montagna è più produttivo che rimanere tutta estate nella bassa a rastrellare premi e premiuzzi.

Le classifiche generali del Circuito del Frignano, come posso grossolanamente argomentare con carta e penna (in attesa delle proclamazioni ufficiali), vedono Rocchi, secondo fino a ieri, conquistare il primo posto, dal momento che dei suoi rivali più vicini, Bernardi era assente a Pavullo, Gentile è arrivato 6°; e la Ricci vincere la classifica femminile incrementando il vantaggio sulle inseguitrici Boschetti, Gualtieri e Donnini, oggi tutte oltre la quinta posizione: sebbene per un complicato gioco di "bonus" alla fine siano solo 3 i punti che separano la Ricci dalla Boschetti.

Venerdì 7 settembre Pioltello ricorderà sportivamente Elio Bonavita per la quarta volta: la “Corro Per Elio” prenderà il via alle 18,30 su due percorsi da 6 e 3 km: la quota di iscrizione di 7 euro sarà ben spesa, perché oltre a dare diritto al pacco gara e a una t-shirt (per i primi 500 iscritti) andrà interamente a finanziare progetti di beneficenza.
Tutto nasce dalla forte iniziativa della famiglia di Elio, un “sole” (come indica il nome), che non può tramontare, sebbene quel maledetto giorno di marzo del 2015 abbia spento irreversibilmente la vita di quel ragazzo quattordicenne di Villasanta che stava andando al parco di Monza a giocare per la sua squadra di calcio, la “Dominante”, ma si è trovato in mezzo a un incidente innescato da Suv guidati a folle velocità (117 all’ora). La mamma di Elio ha passato mesi o meglio anni in ospedale; i due responsabili se la sono cavata con molto meno (includendo l’omissione di soccorso, che è imperdonabile anche più di un incidente, hanno pagato il loro debito con un paio di anni “figurativi” di carcere), e sicuramente adesso pilotano di nuovo le loro maxi-auto ; le assicurazioni, il patteggiamento e il condonismo standardizzato in Italia hanno provveduto al resto.
Alla famiglia e agli amici, ai compagni di scuola e di squadra non resta che tenere vivo il ricordo del loro Elio, con lo sport come piaceva a lui: ecco la ragione di questa corsa; molto più che una tapasciata. E’ lo sport più forte della morte e dell’ingiustizia.

Le Foto della 3^ edizione

Il Volantino:

 

 

11 agosto - Il Teroldego (accento rigorosamente sulla ò) è un vitigno di antiche origini e dalla discussa origine del nome: c’è chi lo connette al Tirolo (“Tiroler Gold”, oro tirolese: strano nome per un vino rosso), sebbene i chimici sostengano che abbia parentele genetiche con uve quali la Marzemina e la Lagrein, di origini addirittura medio-orientali come l’amore bello e impossibile di Gianna Nannini. Sta di fatto che oggi il vino scaturito da queste uve è appannaggio della cosiddetta Piana Rotaliana, ovvero un territorio a ovest di Trento, nelle valli d’Adige e di Noce, tra Molveno e la Val di Non per intenderci. Qui, nella cittadina di Mezzolombardo, alle 18 di sabato 11 è partita la “10 miglia”, competizione pressoché in piano tra i vigneti: premio garantito, una bottiglia di vino e mezzo chilo di pasta, e a fine gara un piatto di pasta ed un bicchiere del vino in questione (questo almeno era promesso dal sito ufficiale, ma sembra che il vino non  sia apparso per niente, salvo che non si insistesse in modo vigoroso... siamo in regione autonoma, ma certi vizi dell'Italietta sono penetrati).
Gara frequentata ovviamente da corridori locali, ma data la stagione, oltre che il prestigio della manifestazione, anche ‘visitata’ da corridori foresti. “Mezzo foresto” è il vincitore, Ousman Jaiteh, tesserato per il Trentino Running Team, che ha concluso in 53:52; alquanto “decentrato” il secondo, il pugliese Francesco Milella (Daunia Running, peraltro habitué di queste contrade), giunto a quasi tre minuti ((55:30), davanti al trentino Alex Cavallar (56:08), che ha preceduto una schiera di corregionali. In campo femminile cast di grande prestigio, regolato dall’eterna giovinezza della reggiana Isabella Morlini (non ne diciamo l’età, ma la classifica ufficiale dichiara la categoria SF 45), che al mattino scala le montagne e verso sera per rilassarsi va a correre: e ha vinto in 1.05:07, 48 secondi prima della locale Federica Stedile, e due  minuti esatti davanti all’altra trentina (SF 50 !) Simonetta Menestrina. Quinta un’altra atleta di prestigio, l’ultramaratoneta Monica Carlin, coetanea della vincitrice. Galline vecchie (sia detto con l’ammirazione di uno ancor più vecchio) che sanno fare un brodo più buono di tante pollastrelle. Se poi (secondo l’usanza emiliana ben nota alla professoressa Morlini) il brodo, nel quale magari galleggeranno canederli, sarà “in vino”, cioè irrobustito nel piatto da un bicchiere di Teroldego, sarà una goduria in più, da insegnare (insieme alle tecniche di corsa) ai discendenti di Cesare Battisti e Alcide De Gasperi.

Martedì, 07 Agosto 2018 22:14

Songavazzo (BG) – 3° Magut Race

Ce ne sono tante, di manifestazioni strampalate e dai dubbi rapporti con lo sforzo atletico, che al confronto questa manifestazione cosiddetta “goliardica” vale la  pena di segnalarla. Se non altro per il nome dell’ideatore, Mario Poletti, bergamasco di Fiorano al Serio, plurititolato sky-runner, detentore del record del Sentiero delle Orobie, vincitore della Monza-Resegone in compagnia col suo vicino di casa (di Gazzaniga) Zenucchi.
Gara particolare, la si direbbe quasi uno sprint data la lunghezza di150 metri , però aggravati da 50 metri di dislivello e soprattutto da percorrere (ecco qui la ragione del titolo, il lombardo magutt cioè ‘muratore’)  portando sulle spalle un sacco di cemento da 25 kg messo a disposizione dall’organizzazione. E’ arrivata  nella pineta di Songavazzo una settantina di atleti, provenienti da tutto il nord Italia,che si sono sfidati tra due ali di spettatori disposte ai lati del tracciato.
La vittoria è andata al campione in carica Paolo Visini, che ha completato il tracciato fermando i cronometri su 1’56”, un secondo in meno del tempo che gli era valso la vittoria lo scorso anno e che quest’anno ha assegnato il secondo posto a Pierluca Armati ; Kristian Pellegrinelli è stato il terzo in 2’07”. Gli ultimi a partire sono stati il recordman di metri di dislivello in salita in 24 h Andrea Daprai (trentino) e appunto Mario Poletti.
Solo due coraggiose atlete si sono messe in gioco, gareggiando  con lo stesso sacco da 25 kg (la parità dei sessi si raggiunge anche così, altroché dischi e giavellotti più leggeri come impone la Iaaf). La più veloce è risultata Vittoria Mandelli (4’25”) seguita da Lauretta Morandin (11’28”).
Alla gara ha spiritualmente partecipato un altro Mandelli, il nostro Roberto, che scendendo dalle sue vacanze di Caspoggio ha messo a punto la foto di Poletti che abbiamo collocato in testa.

3-4 agosto - Siamo rimasti in pochi nelle città emiliane a beccarci i 38 gradi di inizio agosto. Ma chi è rimasto consulta ansiosamente i calendari podistici per sapere dove sudare al tramonto…

Non che molti lo rimpiangessero, ma in mancanza di meglio è tornato “Al giir ed Quartirol” (due i ma solo una o: coerenza vorrebbe che si scrivesse anche Quartirool), che l’anno scorso aveva ceduto sotto la scure della circolare Gabrielli o per dire meglio dei suoi occhiuti applicatori (ripeto che la circolare non riguarda le corse, ma le feste, i concerti ecc.; eppure è stata un pretesto per taglieggiare anche il mondo del podismo).

  1. Dunque, 19° appuntamento in questa parrocchia al limite meridionale di Carpi città, ormai inglobata dal centro ma che da un lato si apre sulla campagna. Giro già ritenuto il più brutto di tutta l’annata modenese, circuito di 2,2 km tra fabbrichette, ditte di trasloco, negozi più o meno etnici; ma che quest’anno era annunciato in veste rinnovata, con partenza “dal parco delle Regioni” e tracciato “in parte sull’argine canale”. Uno pensa a un parco e a un argine… poi va là e scopre che il parco è il solito campo sportivo dietro la chiesa, con qualche albero ai lati; e il canale di bonifica, quello oltre il quale si aprirebbe la campagna aperta, non solo non ha un argine, ma non verrà nemmeno toccato: per circa 300 metri la strada gli corre a fianco, e nessun ponticello né arginello si erge per farci passare dove si respirerebbe. Anzi, l’asfalto è stato in parte rinnovato, appena messo, ed emana calore supplementare rispetto ai 35 gradi dell’aria. Giro nuovo? Semplicemente in senso inverso rispetto al precedente, con un vialone in meno e qualche stradetta in più: 2 km da percorrere quante volte si desidera. Alla partenza, per dire molti, saremo in 150, ma per strada c’è già un sacco di gente che corricchia o cammina, e perlopiù si ferma dopo un paio di giri. Qualcuno corre sul serio, come in rappresentanza di Morselli il suo scudiero reggiolese Mirco Ferrari (foto 318), o i carpigiani Carlo Gabbi (foto 360) e soprattutto il mitico Antonino Caponetto (foto 254, 258, 359); Francesca Braidi e marito completano l’educazione dei pargoli portandoli entrambi a correre (foto 404); Mastrolia adocchia due simil-straniere (non podiste) dalle ammiccanti scollature, ma alla fine si riduce a fotografare Caponetto. Le foto di Teida sorprendono atteggiamenti medicalmente preoccupanti di qualche vecchia volpe (foto 219), e altre vecchie volpi che seguono ansimando una pink lady vestita di tutto punto (74, 312, 358), in corsa e nel dopocorsa, che non vada in pericolo (ma ce l’ha lo spray urticante?).

Premio finale, la cinquantesima borraccia di plastica da aggiungere alle altre che non userò mai. Ma anche oggi abbiamo assolto il dovere sociale e consumato 5-600 calorie.

SERVIZIO FOTOGRAFICO DI TEIDA SEGHEDONI

  1. L’indomani, si passa ancora da Carpi per raggiungere (attraverso una serie insidiosa di autovelox chiaramente a scopi monetari) una specie di Rio Bo della bassa reggiana, San Rocco di Guastalla, quasi alla foce del Crostolo in Po: zona d’influenza di Morselli, che infatti dall’Egitto telecomanda il suo Mirco Ferrari; come viene Gelo Giaroli disposto ad alleviarmi la pena di ben 11 km con 32 gradi; un certo numero di mantovani (viadanesi soprattutto, col neo-presidente e la canotta nuova), e a sorpresa parecchi modenesi capitanati per il lato-segreteria da Peppino Valentini, per il lato immagine dalla Teida, e per l'aspetto della gloria sportiva dal Micio Cenci.

Giro, questa volta, lunghetto ma gradevole: l’argine promesso viene in effetti mantenuto, dal basso ci regala una graditissima ombra, e dall’alto lascia vedere i campanili dei paeselli vicini che hanno allevato i Baldini: Castelnuovo di sotto, Meletole Poviglio Santa Vittoria… Con Gelo rievochiamo, anche per mettere alla prova l’esperienza podistica degli eterni sposini Alle-Simo, le corse che si facevano e non si fanno più: la 21 di S. Vittoria, la sagra del pesce di Meletole, il retrorunning di Poviglio…

Ben quattro ristori dotati, se Dio vuole, di acqua da bere deliziosamente fredda; che ritroviamo al ristoro finale, all’ombra di una vecchia scuola probabilmente dismessa, dove un addetto con tagli netti e sapienti da macellaio antico affetta cocomere pure esse freddissime, distribuite a volontà (io che sono moderato ne prendo solo tre fette). Per 2 euro di iscrizione, premio di una bottiglia di vino dall’intitolazione promettente: alla prova dei fatti, l’enologo carpigiano Torricelli ci dirà se era buona. Scende pacificamente il tramonto, e la zona si anima dei molti che vengono alla cena all’aperto: questa volta, i Gps ci indicano che abbiamo speso un migliaio di calorie, si può trasgredire un po’ di più.

SERVIZIO FOTOGRAFICO DI TEIDA SEGHEDONI

Aggiornamenti positivi, almeno sul fronte principale del caso-Daisy, cioè della sua salute e della possibilità di gareggiare agli Europei.
Sono stati rapidamente identificati gli autori del lancio di uova a Daisy Osakue, colpita ad un occhio dagli occupanti di un’auto in corsa. Si tratta di tre ragazzi italiani abitanti nella cintura torinese, a Vinovo, La Loggia e Moncalieri, che per compiere la loro furbata si sono serviti dell’auto del padre di uno di loro (è filtrato il cognome, De Pascali, e l’età del figlio, 19 anni).

Non era la prima volta che i bulletti (pare addirittura sette) compivano azioni del genere: già ci avevano provato pochi giorni prima ai danni di un’altra persona, a Moncalieri, e altre volte (pare sette in tutto) in luoghi diversi. Purtroppo per loro, le nostre strade sono piene di telecamere; da queste si è risaliti alla targa, al proprietario e agli utilizzatori.

Cretini non una volta (per l’azione compiuta), ma almeno tre, per la serialità del fatto sempre a bordo della stessa auto, e perché non si erano nemmeno premurati di cancellare le chiazze di uovo rimaste sulla fiancata. Diciamo pure, settanta volte sette: il loro livello intellettuale è evidentemente pari a quello di coloro che compiono reati, li filmano e li mettono online. Ma al cosiddetto esame di “maturità”, promossi con elogi.

Creda chi vuole alla balla messa in giro dall’avvocato difensore di questi “ragazzi normali”: "Si sono spaventati, hanno pensato anche di costituirsi ma gli inquirenti li hanno preceduti” (che peccato, sembra di sentire Jannacci “Quelli che perdono la guerra... per un pelo, oh yeah!”).  E per conferme sul livello intellettuale, ecco la motivazione: "Un gioco cretino che abbiamo visto in tv" (al confronto, gli “Amici miei” che schiaffeggiavano i partenti sul treno meritano il Nobel della pace). Come ha detto il sindaco di Vinovo (residenza dell’ “autista” del misfatto), questi ragazzi “ogni tanto non accendono il cervello e fanno azioni di una totale idiozia".

 I tre sono stati denunciati per lesioni e omissione di soccorso, naturalmente a piede libero;  e chissà se metteranno mai piede nelle patrie galere, o meglio, nei campi di rieducazione che sarebbero il luogo più adatto per loro. C’è tanto da lavorare in Italia, dalla raccolta dei pomodori alla pulizia dei servizi igienici negli edifici pubblici, dal servizio nei ricoveri per anziani allo scavo con piccone nel tunnel della Tav, che sarebbe un peccato lasciare questi giovanotti a casa propria, magari a esercitarsi con le freccette e a postare tweet di “chiedo scusa”.

Rispetto a questi impuniti (l'aggettivo è il più calzante per loro), importa molto di più la sorte di Daisy (studentessa di legge, che scopriamo aver praticato in gioventù anche la corsa a ostacoli, con successi in campo nazionale). Ed ecco l'atteso comunicato della Fidal, diramato oggi 3 alle 11,50, e che vi riproponiamo:

"Daisy si è sottoposta questa mattina ad una visita di controllo presso l'Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI a Roma. Questo è il referto redatto dal prof. Antonio Spataro, Direttore Sanitario dell'IMSS.
"Il controllo oculistico effettuato dall'atleta Daisy Osakue presso l'Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI, in data odierna ha documentato un miglioramento del quadri clinico che consente la sospensione progressiva della terapia cortisonica e la partecipazione ai Campionati Europei di atletica a Berlino".
In virtù di questa comunicazione, la primatista italiana under 23 di lancio del disco farà regolarmente parte della squadra azzurra che domani, venerdì 4 agosto, partirà per la rassegna continentale in Germania (6-12 agosto)

Alleluia! Sperando che questo non alleggerisca la posizione dei tre impuniti di cui sopra. "Falce, vanga e fonderia / questa la cura per "ecc. ecc., era un murale affisso all'università di Bologna nel Sessantotto.

Per quanti si collegassero solo oggi, riprendiamo il nostro pezzo di ieri, aggiungendo che si unisce alla trepidazione Sebastiano Scuderi, il quale pochi minuti fa ci ha scritto su Daisy, da lui personalmente conosciuta:

Per anni mi sono allenato sulla pista della Sisport e l'ho vista iniziare i primi passi nel campo appositamente attrezzato per i lanci con la grande Maria Marello. Prima di lei ho conosciuto Zahra Bani, altra 'colorata' e i suoi tre fratelli meno noti, a Giaveno coi Padri de La Salle, e Kevin Ojiaku a Ivrea, Marouan  Razine a Rivoli, Bencosme de Leon a Cuneo,  eccetera: l'atletica è la culla dell'integrazione, anche per questo la AMO

Una prima visita oculistica, eseguita il 1° agosto, ha evidenziato (comunicato Fidal)

“abrasione ed edema retinico importante all'occhio sinistro post traumatico, trattata dallo specialista con terapia antibiotica e corticosteroidea per via locale e sistemica. Venerdì 3 agosto l’atleta eseguirà un controllo oculistico presso l’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport, al fine di valutare se le condizioni cliniche e la terapia in atto siano compatibili con la partecipazione agli Europei di Berlino”.

Perché c’è anche questa sottigliezza degna di azzeccagarbugli: il cortisone che sta assumendo potrebbe farla risultare positiva all’antidoping. Supponiamo però che esibendo la prescrizione medica l’ente antidoping dovrebbe consentire la cura (e ci mancherebbe che la vietasse!).

Purtroppo però non credo che la terapia antibiotica aiuterà l’organismo di Daisy a sostenere efficacemente lo sforzo sportivo: speriamo che la sua forza di volontà, e la cosiddetta adrenalina messa in circolo dall’episodio, possano supplire alle oggettive defaillances fisiche.

In ogni caso, vorremmo Daisy a Berlino. Anche per arrivare ultima, ma su un piedistallo ben più alto di quello dei suoi aggressori “pentiti”.

Martedì, 31 Luglio 2018 23:07

Davos (CH), chiusa la Swissalpine 2018

Nell’ultimo fine settimana la Swissalpine di Davos, che alla 33° edizione aveva puntato in grande stile su S. Moritz e zone limitrofe, ha chiuso i battenti per il 2018, dando appuntamento al nuovo doppio weekend del 20/28 luglio 2019. I dati ufficiali parlano di 3605 atleti provenienti da 58 nazioni, ma ovviamente gli svizzeri, soprattutto locali o delle regioni vicine, sono stati di gran lunga i più numerosi.

I dati di partecipazione sono confrontabili solo in parte con quelli del 2017, data la diversità delle gare e, in quasi tutti i casi, della sede di partenza: ben lontani appaiono i tempi in cui tutte le corse finivano nella pista sotto il palaghiaccio di Davos. Nemmeno i numeri confortano la smania di cambiamento che ha caratterizzato questa edizione: la gara-clou, quella che sostituiva la leggendaria 75/78 km durata dall’inizio fino all’anno scorso, era diventata di 88 km (altre fonti della stessa organizzazione dicono 85 km), con partenza da S. Moritz, e ha raccolto 300 finisher in tutto (61 donne): nel2017 erano stati 454 (85 donne).

Ha vinto il maiorchino Tofol Castanyer, vincitore anche dell’ultima K 78, in 8 ore e 20, surclassando di ben 48 minuti il secondo. Prima donna, in 9h42, Julia Bleasdale, passaporti inglese e tedesco, ma residente a Pontresina, cioè  uno dei luoghi attraversati dalla corsa. I tempi ottenuti dimostrano la durezza della gara, non più popolare presso tutti i tipi di podisti, come nella tradizione.

Era stata allestita anche una super-ultratrail di 127 km, che ha raggranellato al traguardo 113 corridori (di cui 21 donne), con vincitore un altro naturalizzato svizzero, Ramon Casanovas in 15 h 40. Unico italiano al traguardo, il napoletano Gabriele Carbonara che ha impiegato 22h 31. Tra le donne ha prevalso un’altra svizzera, Denise Zimmermann, in 18h 47. Nel 2017 le gare estreme erano due: una 133 km finita da 77 atleti e una 214 km conclusa da 51: se le consideriamo entrambe, troveremo che il risultato del 2018 è numericamente inferiore.

L’unico netto miglioramento negli arrivati si è avuto con la 43 km di Davos-Davos attraverso i passi Scaletta e Sertig, finita da 660 persone (178 donne): primo uomo in 3.10, prima donna in 4. 03. Nel 2017, la 47 km più o meno equivalente era stata finita da 516 corridori. Della scarsa partecipazione alla 43 di “Prologo” a Samedan ho già scritto; nel frattempo è uscito il report di Birgit Fender che allego qui:

https://www.marathon4you.de/laufberichte/swissalpine-irontrail/der-neue-k47/3425

 

Tra le altre gare, l’unica che ha registrato una cifra consistente di arrivati è stata la 23 km, con 654 finisher contro i 608 del 2017: ma è chiaro che si tratta di una corsa di contorno.

Vedremo le scelte organizzative dell’anno prossimo se apporteranno qualche modifica a un restyling evidentemente poco apprezzato dagli atleti.

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