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Mag 21, 2019 Stefano Ciancio 2605volte

6 Ore di Monselice: "supereroi" in pista

Mentre le staffette cambiano, gli stakanovisti continuano Mentre le staffette cambiano, gli stakanovisti continuano F. Andone

18 maggio - Prendi una centrifuga di 422 metri, mettici dentro 35 persone tra uomini e donne, falla partire con un colpo di pistola e falla andare per 6 ore. Quale dimensione umana ne potrà uscire?
A me poco importava del risultato. Sì, va bene: a Monselice (sulla pista dell’impianto “Kennedy”, dove le Fiamme Oro della Polizia di Stato hanno trovato la loro seconda casa) ci sono andato perché volevo misurarmi sportivamente e battere la distanza della maratona. E poi perché, viste da lontano, mi sono sempre piaciute queste cose un po’ avulse dalla realtà: più spaziali che terrene. Come il casco fantascientifico di Chris Boardman (avrei potuto citare Moser, ma scelgo l’appartenenza generazionale dei 50enni), che a metà degli anni ’90, girando nella centrifuga della pista di Manchester, si divertiva a battere e ribattere il record dell’ora in bici. Tempo, velocità, concentrazione martellante.
A Monselice (dove sabato si sono disputati anche i campionati italiani dei 10.000 metri) ci sono andato principalmente perché ero curioso. Volevo capire una dimensione. Mia e degli altri che mi avrebbero contornato, girando per 6 ore lungo una pista d’atletica. Io cammino, non corro. Sì, certo, cammino veloce. Ma per quanto veloce possa andare, quando vado su strada vivo inevitabilmente la solitudine lasciatami in consegna da chi corre. Se invece sei in una pista non sei mai solo: ti sorpassano (qualcuno alla fine anche lo risorpassi) ma siamo tutti lì, confusi tra le nostre velocità individuali. Tra le nostre individualità umane. Che inevitabilmente si fondono in qualcosa che non ha niente di spaziale o di ultraterreno.
Di ultra (maratona) c’è solo la distanza che puoi riuscire a coprire. Ok, il risultato lo archivio subito e non ne parlo più: 22ma posizione con 44 km e 354 metri percorsi. Più della maratona, per la mia prima volta in una manifestazione “competitiva”. Tra la notte insonne, i crampi allo stomaco (culminati con un trionfo pirotecnico a fine centrifuga), e la pioggia battente di questo maggio invernale, non mi lamento. Anche se si può fare meglio.
Ma meglio di così non poteva andare. Perché in questa centrifuga ho trovato di tutto.
A cominciare dai dettagli: la meraviglia del colpo del via, sparato con un pistolone da sceriffo. Oppure i birilli, messi a terra per dividerci dagli staffettisti. A un certo punto andavo avanti fissando tutti i birilli, immaginando di essere un marciatore giunto agli ultimi metri della sua maratona, quelli dell’ingresso finale in uno stadio olimpico. Quanto conta l’immaginazione…
Oppure ancora i dettagli dell’arrivo: quando mancano pochi minuti allo scadere delle 6 ore ti consegnano una bandierina di legno col tuo numero di pettorale. Per qualche minuto cammini o corri tenendo tra le mani questo affare antico. Poi arriva lo sparo di fine centrifuga: tu lo senti e lasci cadere a terra (oltre alle tue forze) la bandierina. Serve per misurare tutti i metri percorsi oltre l’ultimo giro completato (i miei sono stati 105): un arbitro di gara ti raggiunge con una ruota che fa da misuratore, ed è l’ultimo contatto con l’irreale.
Ma è davvero così tutto irreale?
A Monselice c’era un signore di 66 anni. Si chiama Vito Piero Ancora e ha addosso i panni di chi ha terminato 1207 (milleduecentosette) maratone (ultra comprese). Questa volta il selfie al mio supereroe di turno l’ho chiesto eccome. E poi, tra i 35, c’era perfino una coppia di indomabili 75enni di Padova, c’era il clima da vecchi reduci col sogno di “correre fino a 95 anni”. C’erano anche i puledri più “acerbi”, in grado di centrifugare 75 km. E c’erano gli spogliatoi fumanti di vapore e di racconti di imprese, vecchie, recenti o immaginate per il futuro: la “Milano-Sanremo” (l’Ultramaratona più lunga d’Europa: 285 km); la Nove Colli (il nome è eloquente: 202,4 km) sulla quale ho detto la mia, ma solo perché in quelle ore la stava correndo il supereroe della mia squadra Running Team Mestre, Domenico Masiero; le 10 maratone in 10 giorni sul Lago d’Orta; il Passatore (100 km sugli Appennini tra Firenze e Faenza: si terrà giusto giusto sabato prossimo).
E col sottofondo degli scrosci di doccia, piovevano ancora aneddoti: di notti da congelamento, di vesciche da maciullarti i piedi, di colpi di sonno presi correndo, di smarrimenti lungo la strada, di furbetti che tagliano la strada pur di mostrarsi eroi e di traguardi che non vorresti spacciare per eroici anche se dentro ti senti un supereroe. Nel frattempo i contatori delle maratona ruotano imperterriti: “io sono arrivato a 250. Io a 600…”. Tutti gli aggiornamenti finiscono nel sito internet cult, quello di un club riservato a chi ha completato almeno 50 maratone: il Super Marathon Italia. Intendiamoci: per questi sportivi l’impegno, la preparazione, la fatica, sono ingredienti fondamentali che non si improvvisano. Con la consapevolezza che “il numero delle maratone è inversamente proporzionale alla velocità con la quale vengono corse”.
Ma dunque? A Monselice ero davvero circondato da supereroi? Ieri pomeriggio, guardando (sul divano ) con mio figlio “Gli Incredibili 2” mi sono rivisto con loro, in una dimensione che non avevo ancora colto. A un certo punto del film-cartone animato, l’eroina Elasti-Girl si ritrova ad un party popolato da altri supereroi. Ognuno diverso per caratteristiche speciali: c’era quello specializzato in scariche elettriche, quello col dono della super-velocità e quello in grado di rendersi invisibile. Io sono decisamente Jack-Jack, un pivello di 2 anni da 4 tacche.
Poi, guardando alla mia piccola dimensione super anonima, ho pensato che la vita può essere anche questo: in pista o fuori dalla pista, nel reale o nei cartoni animati, ci può sempre essere, in quello che facciamo – per passione o per professione, per gioco o per disgrazia, per impegno o per missione – qualcosa che ci rende o ci fa sentire speciali. Qualcosa che anche a costo di renderci grotteschi, cerchiamo e scoviamo, ci conquistiamo, ci ritagliamo e ci mettiamo addosso. E’ una cosa del tutto umana e normale voler indossare il nostro piccolo abito di supereroe.
L’importante è sapere di essere normali. L’importante è rimanere in pista il più possibile. Qualsiasi pista.

P.S. Un grande grazie ai Podisti Monselicensi che organizzano ottimamente questo evento (generosi il pasta party con 2 vassoi a testa ed il pacco gara, a fronte dei 20 euro di iscrizione). A Monselice ci tornerò, meglio ancora se assieme ad altri compagni di squadra.

https://www.podisti.net/index.php/cronache/item/4021-monselice-pd-6-h-in-pista-individuale-e-a-squadre.html

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