Ventasso: gara perfetta ma che cresce solo in durezza
14 luglio - Avevo partecipato alle prime tre edizioni della maratona del Ventasso (2003-4-5), poi a qualche altra, sempre con molta soddisfazione: un po’ meno, posso ammetterlo, nel 2015, quando per la prima volta dovetti arrivare in cima al “Gigante”, si accrebbe il dislivello e con esso il tempo di percorrenza, di un’oretta quasi.
Da allora a oggi, pare che il cosiddetto D+ sia cresciuto ancora, stabilizzandosi sui 2200 metri (nel 2003-4 era di 1500, nel 2005 di 1600, nel 2008 di 1900); e anche il tracciato, che la primissima volta era affrontabile tranquillamente con scarpe da asfalto (le uniche che possedevo allora e con le quali andavo anche a Davos e Interlaken), adesso è diventato, più che “eco”, un trail (a occhio, direi che i km di asfalto o lastricato non superino i 5 o 6). Ciò spiega la concessione di un punto per partecipare alla UTMB, ma a mio parere spiega anche il calo dei maratoneti “di città”, quelli che il primo Ventasso di Rosi Manari e Vincenzo Castellano convertì, e invece adesso disertano la corsa.
Riguardo con molta nostalgia la classifica 2003, dove nelle posizioni di coda figurano due leggende come Morisi e Togni, e più su altri collezionisti di maratone ma negati alla montagna, come Govi. C’erano perfino Lupo-sport, Bruno Furia, Marino Pellacani (curiosità: nel 2019 ha gareggiato il figlio Giuseppe), Paolo Manelli, Paolo Giaroli (adesso qui solo in veste di giudice, nelle terre di Giarola da cui trae origine il casato: lo vedete in maglia gialla sulla destra della foto-copertina nel pezzo di Morselli, n. 154 del servizio foto); tra le donne, c’erano la stessa Rosi Manari, Silvana Pellicciari, la Marisella…
Ubi sunt, où sont les neiges d’antan? E vinse la campionessa del mondo Monica Casiraghi, che sotto il Ventasso ha trionfato 5 volte (superata poi da Lara Mustat con 8 successi); anche tra i maschi, nel 2003 vertice d’eccellenza con Cristiano Campestrin e l’altro campione del mondo sui 100 km Mario Fattore; l’anno dopo, Mario Ardemagni, poi Lorenzo Trincheri e così via, fino al Matteo Pigoni che cominciò nel 2007 e con questa edizione porta, da quarantacinquenne, a 8 le sue vittorie (bravo, bravissimo; ma come si diceva per il vincitore fisso del Passatore, dove sono le nuove leve?).
Nel 2003 eravamo in 161; la soddisfazione, il passaparola (vogliamo anche dire i commenti di Podisti.net??) ci portarono a 261 l’anno dopo, a 280 nel 2005. Nel 2015 fummo in 296. Insomma, qualità dei primi e quantità degli altri, degli amatori; ma con un dato preoccupante, ben 14 classificati fuori tempo massimo, 9 ancora nel 2018: questo, a parte la fiscalità di mettere ftm chi arriva magari due minuti dopo l’orario limite, dimostra che la difficoltà del percorso cominciava a escludere i podisti normali (o dite pure ‘subnormali’ se pensate a tipi come il sottoscritto). Risultato odierno: i pochi supermaratoneti arrivati fin quassù sono stati attenti soprattutto al tempo massimo (a parte i due Mauro, Gambaiani e Malavasi, che non hanno di questi problemi); gli altri, semmai, prediligono le 42 dell’appennino bolognese, dove c’è all’incirca lo stesso tempo massimo ma puoi partire anche due ore prima e ti mettono ugualmente in classifica, e alla fine dell’anno non avrai punti Utmb ma piuttosto 50 o 100 punti del club e potrai proclamare qualche strano Guinness…
Peccato per questo calo degli ultimi anni: 243 arrivati nel 2016, 229 nel ’17, 209 nel ’18, uno in più quest’anno (grazie all’inserimento in graduatoria anche dei meritori ftm dai 3 agli 8 minuti). È vero che ci sono le gare collaterali, che hanno portato in dotazione 250 arrivati tra 15 e 22 km, più un centinaio di non competitivi nella 15 km e altrettanti ragazzi nei percorsi mini; ma la parola magica ‘maratona’, che da sola basta a spostare qualche centinaio di podisti, fosse anche per indecenze come Genova e dintorni, qui non ha sortito effetti.
Ripeto, peccato! perché metto in gioco la mia reputazione di critico e censore ventennale dicendo che il Ventasso è una delle gare meglio organizzate (Uisp, non Fidal!), più accoglienti, più economiche nella tassa d’iscrizione (in prevalenza, 30 euro), che garantisce un buon pacco gara e due pranzi (vedi foto di Morselli del sabato e di Canedoli della domenica) che – almeno nella versione domenicale – sono disponibili anche a tarda ora (ho finito di pranzare alle 18, trovando ancora tutte le portate, il servizio veloce e non fiscale, addirittura vino a volontà).
Non sono d’accordo invece, da tempo, e riferendomi a un andazzo generale, con la volontà di rendere ogni anno più feroci i percorsi, come nella storiella dell’evoluzionismo secondo cui la giraffa allunga il collo per mangiare le foglie più alte, allora gli alberi si alzano per selezionare le giraffe: quest’anno si è anche superata la soglia dei 42, di un km secondo gli organizzatori, che però non convincono quando i gps registrano tra il km 32,7 di Montemiscoso e il 35 del cartello ben 3,2 km (e non 2,3: qui la tolleranza dei Gps non c’entra!), o tra il 38,9 del penultimo ristoro e il cartello del km 40 (posto dopo il ristoro del meno 3,4 km) altri 2 se non 3 km.
La salita al Ventasso, che all’inizio si era affrontata dal lato est del rifugio Maddalena, in parziale coincidenza col “Vertical Barbarossa” da Nismozza, adesso invece (sembra, per una frana) avviene da ovest, cioè dal lago Calamone, che si raggiunge dopo aver salito 900 metri dal punto più basso del km 11 allo scollinamento del 21, discendendo dunque un centinaio di metri per fare poi una tirata di 320 metri verticali in poco più di 2 km. Percorso faticoso sebbene non estremo, e ripagato dai panorami: non però per noi tardoni, che abbiamo trovato la pioggia proprio salendo in vetta, e nella discesa, tra i km 25 e all’incirca 35, ci siamo dovuti arrangiare su sentieri scivolosi, talora ridotti a torrentelli, a circumnavigare innumerevoli laghetti, o a non lasciare le scarpe nelle sabbie mobili.
Devo dire che il personale di servizio, delle 40 o giù di lì postazioni, è sempre stato presente e ammirevole: in cima al Ventasso flagellato dalla pioggia (dove notiamo anche Armando Rigolli compatrono della Abbotts) distribuivano teli protettivi a chi non li aveva; i ristori erano sempre molto ricchi, e per fortuna l’iperecologismo del “non abbiamo bicchieri, usa il tuo” era attenuato da qualche decina di bicchieri a disposizione, ovviamente con molti cestini da raccolta in un raggio di 200 metri.
Nella seconda metà abbiamo fatto gruppo (un po’ vincoli, un po’ sparpagliati ma con frequenti ritrovi) in una decina di amici vecchi e nuovi: addirittura tre Fabio, uno dei quali romagnolo al suo primo trail, e guidato passo passo dal veterano Daniele Zoli dalla Rosetta di Fusignano (Ippociok, 6 ore della birra e insomma 198 maratone accumulate). Ci ha raggiunto il monzese Rinaldo Furlan, reduce dalla sua 17esima cento km di Biel-Bienne, e da parecchie altre centinaia di gare storiche o mitiche (“ma ti rendi conto che i supermaratoneti di oggi non sanno neppure cos’era la Trevisando?”), inclusa la fresca maratona della Val d’Aosta dove insieme abbiamo sbagliato passando tre volte da un controllo dove dovevamo passare solo 2 volte, e insieme siamo stati puniti (ma con una punizione selettiva che stride in paragone ad altre allegre omologazioni).
Siccome il gruppetto, dal ristoro del 29 in avanti, ha nel mirino l’altra storica maratoneta Marina Mocellin (recente finisher dell’Ultra Via degli Dei), comincia a tesserne gli elogi raccontando aneddoti vari, specie in comparazione a una collega che risulta assai meno simpatica… Quando raggiungiamo Marina, dopo il 35, mentre è intenta a rifornire del suo magnesio/potassio un collega bloccato dai crampi, le raccontiamo tutto e lei chiosa: “veramente con quella là ho litigato anch’io…”.
E così risaliamo e poi scendiamo gli ultimi km, sorpassandoci e riprendendoci in amicizia come don Camillo e Peppone sull’argine del Po nel finale del film: per la cronaca, ci batte Rinaldo che ne ha di più, ma arriviamo tutti, salutati e fotografati da Morselli col cappellino da navigator, nell’arco di tre minuti… e continueremo le chiacchiere e malignità nelle docce (caldissime come capita di rado!), dove ci raggiunge pure il Morellino (“averla finita è l’unica cosa che vale”; vedilo alla partenza nella foto 132 di Morselli).
Ci aspettano ancora a pranzo - quasi apericena o happy hour -, degna conclusione di una giornata comunque bella; e chi vivrà vedrà.
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1 commento
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Lunedì, 15 Luglio 2019 18:32
inviato da Luciano Bigi
Purtroppo è così, oramai se le gare in montagna non sono impossibili, estreme sembra che non valgano nulla e mi fanno ridere certi discorsi che sento fra amanti del trail: "solo i trail ti permette di vedere panorami splendidi". Ma quando mai? Devi correre sempre guardando i pochi centimetri davanti ai tuoi piedi perché come alzi gli occhi per vedere il panorama ti trovi per terra.
Saremmo voluti venire anche noi ma Monica non è in gran forma e abbiamo temuto fosse troppo dura per le sue condizioni attuali.
Ciao e alla prossima
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