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Mar 27, 2020 2563volte

Ci ‘adattiamo’ a tante cose: ma non voglio abituarmi!

Torneranno i bei gruppi Torneranno i bei gruppi Francesca Andone

In questi giorni, amici vicini e lontani mi hanno scritto “Come stai?". Questa volta, non è una domanda retorica. “Ti manca correre?”. Certo che mi manca, ma ora non mi pesa rinunciarci. Ho nostalgia delle ripetute con gli amici, dei lunghi domenicali a fianco del maestoso Po, delle gare che diventavano un pretesto per conoscere persone, ma non ora, non in questo momento. È impossibile pensare alla corsa mentre le sirene delle autoambulanze fagocitano la città, quel suono assordante che perfora le orecchie e l’anima. Non importa se quando riprenderò sarò una lumaca, sarò semplicemente felice di poterlo fare avendo come sottofondo solo i suoni della Primavera.

Sono tante le cose che mi mancano, andare allo stadio e cantare tutti insieme in curva Sud, la birra post partita con gli amici, quando si discuteva animatamente sugli attaccanti della Cremo. Mi manca andare in bici in centro per un aperitivo, oppure aggirarmi fra le bancarelle del mercato salutando gli amici che hanno i negozi nelle vicinanze. Mi manca tremendamente la nostra piazza, mi rivedo nelle sere invernali correre per le vie del centro e fermarmi al cospetto del Torrazzo. Spegnevo il gps e rimanevo con il naso all’insù per qualche secondo, ipnotizzata dalla bellezza del cuore della nostra città.

Tutto è cambiato dal 21 febbraio 2020. Cremona è stata una delle prime città colpite, siamo diventati ‘zona arancione’. Palestre, impianti sportivi, cinema, teatri, scuole, stadi sono stati chiusi. All’inizio qualcuno si lamentava, ma con il passare dei giorni abbiamo preso coscienza di quello che stava succedendo. Le restrizioni si sono fatte via via più dure e noi rispettosamente ci siamo adattati. “Adattati” è il termine che voglio usare, non “abituati”. Non voglio abituarmi ad incontrare gente con la mascherina, ad avere paura di incrociare qualcuno, a salutare le persone da lontano, a tenere il metro di distanza, o al rumore delle sirene interrotto solo da brevi momenti di silenzio assoluto.

Ogni sera quando torno a casa dal lavoro percorrendo una irreale e spettrale Paullese mi ripeto “non può essere vero”, ma le luci blu mi riportano alla triste realtà. Il pensiero va alle persone all’interno dell’ambulanza, al paziente e ai soccorritori, alle loro emozioni, paure, speranze. Arrivata in città, anche il cartello luminoso “Benvenuti a Cremona” è spento. La Statale termina in quello che io chiamo “il rotondone”, prima teatro di lunghe code, ora deserto. Imbocco le ultime vie per arrivare a casa, ma quell’ansia provata lungo il tragitto, quel vuoto che mi schiaccia da dentro mi fa scoppiare in lacrime. Vedere la mia città in ginocchio fa molto male.  Un contagiato ogni 114 abitanti, la proporzione più alta d’Italia. Oggi, questo pensiero mi soffocava.  Amo la mia città, i Cremonesi sono la mia grande famiglia.

Noi cremonesi siamo strani, abituati a vivere nella nebbia d’inverno e nell’afa soffocante d’estate; siamo quelli che vogliono sempre andarsene da Cremona, ma che difendono strenuamente le loro tradizioni, cresciuti a “marubini” [la tipica varietà cremonese dei tortelli, cappelletti ecc., in brodo: NdR] e grana siamo quelli che si lamentano di tutto, ma che poi con fierezza dicono “Io sono cremonese”. Siamo orgogliosi di Cremona, della nostra Regione, del nostro Paese. Stiamo affrontando con dignità e forza questa emergenza. Insieme ce la faremo, torneremo a discutere e a fare polemica sulle piste ciclabili, sui decibel dei concerti estivi, sui lavori in corso… oppure no, forse finito tutto questo capiremo quali sono le cose importanti, quanto bella è la nostra città e quanto belli siamo noi.

Forza Cremona, forza cremonesi, non vedo l’ora di riabbracciarvi.

 
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