Maratona di Tel Aviv per 40mila… ma non per i cento italiani
28 febbraio – Oggi venerdì (il giorno consueto in terra israeliana), si è svolta la maratona (e mezza maratona) di Tel Aviv. I dati della vigilia parlano di quarantamila partecipanti, evidentemente sommando tutte le manifestazioni. Ha vinto Tobias Singer in 2:31:01, quattro minuti davanti a Yotam Pessen (2:35:07), che a sua volta ha preceduto di tre minuti il terzo, Muket Derebe (2:38:00). Prima donna, la russa Elena Tolstyk (2:44:17), molto davanti all’israeliana Irene Konovalov (2:51:23).
Ma il fatto grave è che è stato impedito di partecipare, con la motivazione del Coronavirus, al centinaio circa di atleti italiani iscritti, che erano giunti in Israele tra lunedì 24 e mercoledì 26. Le procedure per lo sbarco erano state gradualmente irrigidite: fino al 25 erano necessari controlli medici per chi giungeva dall’Italia, il 26 era stata introdotta la quarantena obbligatoria di 14 giorni, e dal pomeriggio del 27 i voli provenienti dall’Italia sono stati rimandati all’aeroporto d’origine, dopo averne fatti scendere solo i residenti in Israele. Nello stesso giorno la compagnia di bandiera israeliana ha cancellato i voli per l’Italia; ed è scattata anche l’esclusione dalla maratona di Tel Aviv, in programma per l’indomani (cioè oggi 28 febbraio) di tutti gli iscritti stranieri.
Il podista torinese Gianluca Logozzo (Torino Road Runners, M40; in precedenza CUS Torino, nella mezza maratona 1h31'42", in maratona 3h25'01") ha raccontato di essere arrivato a Tel Aviv lunedì con la moglie: tutto è filato liscio fino all’arrivo della circolare del Ministero della Salute in cui si vietava la partecipazione alla Maratona e Mezza Maratona non solo per i cittadini dei paesi con epidemia conclamata (cinesi, coreani, taiwanesi), ma anche per austrialiani e italiani. I quali però non sono stati ‘espulsi’ da Israele, né sottoposti a limiti nella circolazione: l’unica cosa loro vietata è stata la corsa, cioè quello per cui erano venuti da quelle parti.
Da notare che fino al 27 i contagiati totali in Israele erano cinque (come segnala il sito Terrasanta.net), quasi tutti israeliani provenienti dalla sciagurata nave da crociera Diamond Princess ormeggiata al largo da Yokohama dal 3 febbraio. Solo una coppia sarebbe reduce da un viaggio in Italia il 23 febbraio. Cerca di gettare acqua sul fuoco l’Ambasciata di Israele in Italia, secondo cui (lo apprendiamo dal sito mosaico-cem.it) ”le misure restrittive circa l’ingresso di cittadini stranieri in Israele, legate all’emergenza Coronavirus, non riguardano i soli cittadini italiani, ma indistintamente qualsiasi cittadino straniero, senza distinzione di nazionalità (esclusi cittadini e residenti israeliani), che provenga o abbia soggiornato negli ultimi 14 giorni in Italia, così come in altri Paesi già precedentemente coinvolti da simile provvedimento (Cina, Macao, Singapore, Hong Kong, Tailandia, Giappone e Corea del Sud)”. Il ministro degli Interni israeliano Aryeh Deri ha così giustificato il suo provvedimento. “Non posso farci niente se il virus si è diffuso in Italia”. Magra consolazione, la promessa che “gli iscritti stranieri alla maratona saranno rimborsati” (chissà se anche di viaggio e soggiorno…).
La rigidità israeliana, in questo come in tanti altri campi, non è un mistero: ma dobbiamo segnalare, dall’altra parte (cioè la nostra) le poderose zappate sui piedi che l’allarmismo governativo e i provvedimenti restrittivi di tanti capetti locali hanno prodotto: un politico straniero avrebbe buon gioco a replicare che, siccome noi italiani abbiamo chiuso perfino le chiese, un cosiddetto governatore ha soppresso una maratona, e un suo collega indossa la mascherina anche quando parla al microfono, significa che stiamo covando qualcosa di grosso ed è bene tenerci alla larga.
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