Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

È periodo di cross e di trail, mentre il calendario su strada latita un po’, anche per defezioni clamorose dell’ultima ora (ad esempio, in Emilia è venuta meno la storica maratonina di San Bartolomeo in Bosco, tra Bologna e Ferrara, e non c’erano maratone a distanze accettabili). Questo giustifica come alla “Du Pas per Campagna” di Marzaglia (estrema località a ovest della provincia di Modena, a poche centinaia di metri da Rubiera), gara non competitiva, certamente in località non amene (il nome stesso del paese non indica niente di buono), e soprattutto su strade calpestatissime da almeno una decina di gare del calendario modenese, specie tra novembre e gennaio, siano stati registrati ben 2165 iscritti, di più del numero previsto dagli organizzatori che infatti si sono trovati privi dei premi di partecipazione per gli ultimi: o meglio, per quelli che sono partiti all’ora giusta e hanno fatto il percorso lungo, quantificato in 18,2 km ma in realtà più corto di un km; e che non hanno tagliato negli almeno tre punti dove il giro disegnava dei riccioli facilmente evitabili: ad esempio nel cosiddetto autodromo di Modena, dove parecchi hanno evitato il giro di pista.

Presenti in numeri spropositati le società modenesi (ben 236 iscritti col Cittanova, gruppo in un certo senso di casa, anche se alla fine ho visto il patron Valentini portare alla “timbratura” un mazzetto di pettorali immacolati, ma comunque validi per ricevere il premio), e numerose pure le squadre reggiane, con Correggio e Novellara sopra i 40 partecipanti, e vari altri gruppi intorno alla trentina. Sui tavoli societari modenesi, presenti mazzi di medaglie delle corse di quartiere, ormai in libera consegna viste le richieste evidentemente inferiori alla tiratura.

Per essere una non competitiva, a parte la mancanza dei premi (che però sono promessi dalla domenica prossima), direi che sia stata gestita bene: parcheggio organizzato meravigliosamente (in una zona dove le strade strettissime avrebbero creato problemi seri), incroci ben presidiati, ottime indicazioni delle varie deviazioni per i percorsi minori (dai 5 km in su), ristori sufficienti con tè caldo fino all’ultimo, e soprattutto, nella tradizione della gara, vin brulé distribuito al traguardo: almeno questo, senza risparmio fin dopo l’arrivo degli ultimissimi.

Bella giornata di sole invernale, con temperatura alla partenza attorno allo zero. Con le truppe reggiane, non potevano mancare i fotografi Domenico e Nerino, quest’ultimo anche in veste di video-operatore. Dalle loro immagini, appare che ben pochi corridori esibivano il pettorale: diamone pur la colpa ai giubbotti e maglioni indossati per ripararsi dal freddo, ma non sarebbe male (come da qualche parte si è cominciato a fare, vedi gli "eretici" della San Donnino ten) che l'accesso ai servizi, e alla corsa stessa, avvenisse solo a chi ha il cartoncino: come per entrare nella stazione dei treni di Milano (presto anche a Bologna), o al cinema, e perfino, in omaggio alla circolare Gabrielli, nelle manifestazioni di piazza ancorché gratuite.

Alla fine, i classificati di questa edizione svoltasi il giorno della Befana 2018, non lontano da quella Calderara che 5 giorni fa aveva allestito la prima maratona dell’anno, sono stati 247 (di cui 43 donne, e compresi taluni ‘graziati’ oltre il tempo massimo annunciato): giusto un 10% in meno rispetto al 2017, quando si registrò il record di 273 arrivati; ma non lontano dalla media degli anni precedenti. Da notare che questa maratona entra di diritto tra le ‘ribelli’, ammettendo iscrizioni anche dai tesserati per i soli Enti di propaganda, senza l’esosa Runcard.

A proposito: sui tavoli del ritrovo appaiono parecchi volantini di gare regionali, tra cui due maratonine: Fusignano 11 febbraio, aperta ai tesserati per qualunque Ente; Pieve di Cento 11 marzo, 35° edizione di una delle gare più affollate della stagione: marchio CSI. Seguirà  il 22 aprile un diecimila a Lovoleto, “aperto agli Enti di promozione sportiva”. La Fidal può salutare le tasse che riscuoteva.

Partecipanti soprattutto locali, numericamente soverchiati dai “Passo Capponi” di Alessio Guidi da S. Agata (cioè 7 km da Crevalcore), e irrobustiti da varie decine di Supermaratoneti, alla fine radunatisi per festeggiare le 500 maratone del loro ex presidente Luciano Bigi, e le 100 di sua moglie Monica Esposito. Non poteva mancare il primatista italiano di questo genere di graduatorie, il milanese Vito Piero Ancora, l’unico per ora ad aver superato le mille maratone in carriera, e che oggi ha chiuso in un rilassato 5.23.

Gara certo non bella paesaggisticamente (due giri tra le campagne a nord di Crevalcore), con un solo agglomerato da attraversare a parte Crevalcore, cioè Bolognina, che però dava pochi segni di vita: per il resto, casolari isolati, alcuni abbandonati e crollati. Il maggior monumento architettonico della zona, la dimora signorile (quasi un castello) di Ronchi, nel cui cortile entrammo il primo anno, è tuttora transennato e coi cancelli sbarrati.

In effetti queste zone sono state ferite due volte: la prima, il 7 gennaio 2005, da uno spaventoso incidente ferroviario (lo scontro fra due treni) proprio alla stazione di Bolognina; e la maratona, fin dalla sua prima edizione, ricorda l’evento assegnando un premio speciale al primo che transita alla Bolognina (oggi al km 15, essendo stato invertito il senso di marcia rispetto alle prime edizioni). La seconda ferita, meno cruenta quanto a numero di vittime, però che ha lasciato segni tuttora ben visibili, è stato il terremoto, che ha picchiato su questa zona pochi mesi dopo la prima edizione del 2012, tra l’altro distruggendo il locale dei due organizzatori (gli ultramaratoneti Monica Barchetti e Andrea Accorsi), che allora servì da Centro maratona.

Abbiamo attraversato due volte il centro storico di Crevalcore, circa un km prima del passaggio e poi dell’arrivo nella zona sportiva: tipica creazione urbanistica della Bologna papalina (come San Giovanni in Persiceto, Pieve di Cento, S. Agata ecc.), strade rettilinee tra le antiche porte d’ingresso al borgo: e sono ancora molti i locali inagibili (compresa la chiesa parrocchiale, chiusa) e le impalcature (però la cittadina sembra viva).

Forse anche per i lavori in corso nel centro, partenza e arrivo sono state spostate in periferia, nell’area sportiva (giù utilizzata, fra l’altro, per una camminata di S. Silvestro che ha superato le 20 edizioni), dove sono ampi spazi e tutti i servizi necessari. Comprese docce che (lo dico subito) sono tra le più calde delle mie esperienze ultime, e una palestra che si è poi trasformata anche in eccellente ristorante per il  pranzo finale, roba di lusso ceduta a 3 euro per i podisti e 5 per gli accompagnatori. Si vede, direi, la ‘scuola’ di Gianfranco Gozzi, patron di quasi tutte le maratone della provincia bolognese, Calderara inclusa, e al tavolo di regia insieme alla moglie Alberta e a Claudio Bernagozzi.

Sui valori tecnici della gara c’è poco da dire: erano garantiti premi per tutti gli uomini classificati sotto le 3 ore, e sono stati 7 in tutto; e per le donne sotto le 3.30, e sono state 4. Vincitori assoluti sono Marco Ferrari in 2.33:18 (comunque, quasi 9 minuti in meno del vincitore 2017, Stefano Velatta, giunto secondo) e Daniela De Stefano in 3.20:26.

Più tardi sono state diramate le classifiche e le notizie essenziali anche sui 10mila, per cui cedo la parola all'addetto stampa Claudio Bernagozzi: «Grande successo per il 3° 10.000 della Befana”, gara che ha visto ben 510 Atleti al via e 492 classificati, quasi un centinaio in più dei classificati 2017. La corsa, valida sia come prima prova del Circuito “Corriemilia 2018-Trofeo Giosport” che della “Coppa UISP Bologna”, ha visto il successo di Abdelhamid Ezzahidy (Atl Blizzard) con un crono di 32’09”, davanti a Kaba Mamadi (Atl Castenaso) secondo in 32’34” e a Luis Matteo Ricciardi (Acquadela) terzo in 33’11”. Tra le donne si è riconfermata Francesca Giacobazzi (La Fratellanza 1874) che ha migliorato di 51 secondi il tempo del 2017, terminando in 37’05”; dopo di lei Daniela Ferraboschi (Casone Noceto) in 37’24” mentre il terzo gradino del podio è andato a Rosa Alfieri (Circolo Minerva) con un tempo di 38’19”».

Crevalcore 2018


Foto di Daniela Gianaroli

Cronometraggio tramite chip Sdam, ma l’unico tappeto di rilevamento era alla partenza/arrivo: eppure, in almeno tre punti, con un piccolo salto di poche centinaia di metri si sarebbero potuti risparmiare dai 4 ai 7 km per volta (per fare un esempio, al km 9,5 bastava imboccare via Moriglia a sinistra, anziché a destra come indicavano le frecce, per trovarsi in breve al km 13,5). Non ho notato giudici in giro, e posso giurare sull’onestà del 99% dei colleghi, però come dice il Padre nostro, “non indurci in tentazione”.

Strade aperte al traffico, peraltro molto raro, quasi assente nelle stradette di campagna che hanno costituito la massima parte del tracciato; incroci pericolosi comunque tutti presidiati, da vigili e da volontari.

Lo spettacolo l’hanno fatto i podisti e soprattutto le due podiste presentatesi alla partenza in abiti da befana; abiti che peraltro lasciavano ampio pascolo alla vista. Come al solito, la più ammirata è stata Luisa Betti, toscana tesserata a Bergamo, decima assoluta e prima della categoria SF; ma anche la risata contagiosa di Isabella Introcaso da Briosco ha rallegrato le nostre falcate sempre più stanche.

Puntuali ed eccellenti i ristori (tè caldo fino alla fine, con tanto altro), segnalazione del percorso impeccabile; speaker di lusso al traguardo, nientemeno che Roberto Brighenti. Servizio fotografico che permette di ricevere le proprie immagini sul cellulare (a pagamento) connettendosi al sito della ditta; ma abbiamo scattato una cinquantina di foto anche noi, e le mettiamo a disposizione immediatamente e gratis.

Il podismo modenese ha chiuso l’anno insistendo con la sponda sinistra del fiume Panaro (quello che storicamente segnava il confine tra la “Longobardia” e la “Romagna”, nel dettaglio tra Modena e Bologna): appuntamenti il 17 e 24 dicembre a San Donnino, il 26 dicembre a Saliceto Panaro, il 31 dicembre a San Damaso cioè 2 km scarsi a nord di San Donnino. La corsa del 31 dicembre è stata intitolata per ragioni di calendario a San Silvestro, papa romano morto appunto il 31-12-335, sotto il cui pontificato la Chiesa cominciò il suo potere temporale e venne approvato il “Credo”, quel polpettone – detto senza offesa - irto di formule filosofiche che nascevano dai dibattiti dei primi cristiani ma dalla dubbia presa sui credenti di oggi (“generato, non creato, consustanziale al padre”… ecc.).

San Silvestro è comunque popolare anche da queste parti perché a lui venne dedicata l’antichissima abbazia di Nonantola, centro di luce e di civiltà nel Medioevo più buio: dunque, un santo pure locale, nel cui nome Modena ha messo in piedi questa gara in concorrenza con la più antica “Corrida di S. Silvestro” di Crevalcore, 21° edizione, a lungo presente nel calendario modenese data la vicinanza della cittadina bolognese.

Ma è significativo che il podismo modenese, sia pure perdendo pezzi, senta il bisogno di andare a occupare date già tradizionalmente piene (come era pure il 26 dicembre, dove a 15 km da Modena era programmata la 51^ edizione della classica di S. Agata Bolognese). La torta si riduce ma si preferisce dividerla: in compenso, il 1° gennaio a Modena non si è corso da nessuna parte, salvo un improvvisato raduno nostalgico di pochissimi amici nel luogo dove per anni la polisportiva Madonnina allestiva un allenamento di gruppo, sulle prime colline sotto Serramazzoni; e, al pomeriggio, l’ennesima corsa speculativa in centro città, dedicata a quelli che Emilio Veroni su Modenacorre ha chiamato artisti di strada, che corrono mascherati (in questo periodo vanno di moda i Babbo Natale), che non sanno dove si applica un pettorale, che sono malati di selfies (soprattutto in gara), etc. (per lo più podisti dell’ultima ora, che dopo pochi mesi lasciano perché non animati da vera passione).

Torniamo dunque al San Silvestro di San Damaso: la foto di Teida, che la redazione ‘suggerisce’ di mettere come emblema, mi ritrae in compagnia di un amico di Podisti.net della prima ora (potete rivedere i suoi commenti del 1999 cercando nel nostro archivio), Giuliano Macchitelli che da anni porta avanti il sito appena citato. Il giro, peraltro notissimo (sulle stradine è tutto in intersecarsi di frecce e chilometraggi delle varie corse), è reso piacevole nel tratto sopra l’argine, che permette di gettare lo sguardo più lontano, e dalla giornata limpida che lascia vedere innevate tutte le cime dell’Appennino, quelle che d’estate saliremo nei trail. Percorsi, come al solito, per tutti i gusti, dai 3 ai 12 km, che tutti affrontiamo con souplesse; cifra d’iscrizione al solito di 1,50 (che rimarrà tal quale a Modena per l’anno nuovo – probabilmente ultima oasi in Italia), compensati alla fine da varie dosi di integratori.

Partenza raccomandata più volte dallo speaker  alle 9,30 (senza eccezioni nemmeno per i camminatori, che ci si stava abituando a instradare mezzora prima su percorso ‘dedicato’): raccomandazione disattesa da parecchi, sicché quando nell’imminenza del via viene chiesto un momento di raccoglimento in memoria di Gianni Vaccari, saremo a dir molto in 400. Più animata certamente la zona all’ora d’arrivo, confortata da un buon ristoro caldo cui si aggiungono i vari brindisi proposti dalle società (ma tra i cibi abituali in queste circostanze, cerco invano la Spongata di Brescello: forse Morselli saprà dirci il perché di questo repentino calo).

Unica consolazione sicura, oltre al ritrovo tra amici, quella di illuderci sullo smaltimento di un parte delle calorie che stiamo immagazzinando coi cenoni e pranzoni stagionali. Qualche santo ci aiuterà durante l’anno per fare meglio.

Oggi, 30 dicembre, William Govi da Albinea compirebbe 62 anni. Purtroppo, non li compie tra familiari e amici (o forse nel modo che avrebbe preferito, correndo una maratona); ma si accontenterà di ricevere visite nel cimitero del suo paese, come accade dal 26 agosto 2013, giorno dei suoi funerali dove era più numerosa la folla dei podisti da tutta Italia (compreso il suo eterno rivale ottantenne Beppe Togni da Lumezzane, che sarebbe morto poco dopo) che il numero dei compaesani.

Per raccontare le sue imprese ci vorrebbe un libro, magari derivato dai suoi diari e condito dai cimeli che radunava nel suo privato museo della maratona: intanto, sarebbe bello (e credo anche utile turisticamente, signor sindaco) che il museo fosse reso visitabile. Sarebbe probabilmente una cosa unica in tutta Italia. Certo, ci mancherebbe ad illustrarlo il commento un po’ egocentrico di William, che possiamo ritrovare in qualche spezzone finito su internet, come questo sulla maratona dei Templari di Banzi, del 2009.

https://conipiedixterra.wordpress.com/2011/08/05/con-gli-occhi-di-william/

Podisti.net si occupava di William fin dai suoi primi giorni, da quel luglio 1999 in cui partimmo (lui, io e un pullman di podisti organizzato dalla polisportiva Madonnina di Modena) alla volta di Bühlertal, nella Foresta Nera tedesca. E non mancammo di lanciare sguardi retrospettivi sulle sue imprese, a cominciare da quella dell’anno prima:  essendo nato il 30 dicembre 1955, nella primavera del 1998 si accorse che stava per compiere 42 anni e 195 giorni, quanti sono i km e i metri della maratona: e mi comunicò la sua idea, “un po’ pazza”, disse, di correre in quel giorno una maratona in solitaria, più o meno nel cortile di casa sua ad Albinea. Aveva ottenuto persino l’approvazione di Laura Fogli, e il 12 luglio 1998 William corse la sua maratona individuale, con tanto di giudici di gara.

Non so che numero fosse nella sua personale classifica (che amava esporre con numerini in velcro attaccati alla maglietta), ma replicò poi l’evento in occasione di altri anniversari, come la sua cinquecentesima, ammettendo anche la partecipazione di amici, a pagamento ma ospitandoli in casa. E la moda del compleanno 42,195 per qualche anno si diffuse meritando persino copertine di riviste e una pagina della Gazzetta dello sport. Da parte nostra, a volte l’abbiamo preso in giro, ma lui era contentissimo e ci chiedeva le “fotocopie”, come le chiamava, degli articoli, che sicuramente saranno nel suo museo.

L’avevo conosciuto al principio dei Novanta, per la mediazione di Mauro Zavatta (un altro che lo stesso 2013 ci portò via, e che nei suoi pullman maratonici aveva spesso William come cassiere), che propiziò la mia prima visita alla sua ordinatissima collezione che di ogni maratona da lui corsa teneva in casa (volantini, classifiche, medaglie, giornali ecc.).

Notoriamente, William era, diciamo così, un amministratore oculato dei suoi patrimoni, e si vantava di riuscire ad andare alle maratone più esotiche spendendo pochissimo. Ci trovammo una volta sullo stesso treno, diretto a Grenoble: io e consorte pagammo ovviamente il viaggio intero (mi pare circa duecentomila lire), Willam, anche con la complicità di una tessera da ferroviere lasciatagli da un amico, riuscì a cavarsela col solo biglietto Alessandria-Torino!

Un’altra sua eccellente capacità erano le pubbliche relazioni, sia con podisti sia con massmediatici: ai primi si appoggiava per avere ospitalità o passaggi in auto in direzione delle corse (lui non aveva la patente, e il suo unico mezzo era un motorino Scarabeo col quale arrivava al massimo alla stazione di Reggio), ai secondi comunicava instancabilmente le proprie imprese podistiche. L’ultima cosa che ebbi da lui fu un quotidiano norvegese di Rovaniemi, 13 giugno 2010, che portava un suo fotocolor e il sottotitolo “William Govi starttasi elamansa 744. Maratonille”, cioè all’incirca “ha fatto la sua 744° maratona” (dopo di che credo che ne abbia fatta un’altra sola, prima dell’ictus che lo colse durante una staffetta reggiana a Cavriago, dove Stefano Morselli lo fotografò per l’ultima volta in azione). Pensare che aveva già pianificato il modo di arrivare alla fatidica cifra di 1000 maratone in altri 15 anni, riducendo pian piano il totale annuo in previsione del calo fisico.

Sul traguardo, fin che poté, era un autentico ‘cannibale’: nel  1994 ci trovammo in 3 all’ultimo km della maratona di Caen, e proponemmo di arrivare insieme; macché, lui partì e andò a ‘vincere’. Peccato per lui che l’altro ‘sconfitto’ era colui che gli aveva dato un passaggio, col risultato che William dovette tornare a casa con altri mezzi. E, a fine anno, subire uno smacco che gli turbò il sonno per vari mesi: dalle maxiclassifiche di “Correre” (quelle che allora facevano testo) risultò che lui non era il primo (con 32 maratone), ma un romagnolo lo aveva sopravanzato con 33! Cominciò a indagare appurando che alcune di queste maratone erano fasulle; saltò fuori alla fine che si trattava di uno scherzo, ovvero di una vendetta da parte di un concorrente anonimo (all’insaputa di colui che era stato portato agli onori), probabilmente lo stesso battuto allo sprint di Caen.

Qualche anno dopo, volle ricambiare con uno scherzo simile, e fece spargere la voce che stava correndo, con tanto di giudici Uisp, due o tre maratone la settimana a casa sua, in modo da polverizzare tutti i record esistenti e dimostrare che il più bravo era lui. Qualcuno corse ai ripari (si cominciò a diffondere un’altra moda deleteria, quella di una maratona al giorno), finché si seppe che era appunto un’invenzione. Podisti.net seguì questa e tante altre storie o leggende.

Il Club dei supermaratoneti fu da lui co-fondato nel 1996, per dare ordine alle singole vanterie da pescatori di maratone e stabilire, possibilmente, che era lui il primo in Italia: trovò però il già citato Giuseppe Togni, più anziano e che lo sopravanzava di qualche decina di maratone, e di cui spesso William sottopose a controllo le prestazioni per verificarne la validità (questa era più corta, qui è partito prima ecc.). Ma prevalse l’amicizia, perché alla fine William, con tutti i suoi difetti, era un buono: e Togni, ormai in cattive condizioni di salute, non volle mancare all’addio finale di Albinea.

Per qualche dissapore e rivalità del genere, non sentendosi quel “Principe” come amava essere chiamato, William si era tolto dal Club dei supermaratoneti, tuttavia premurandosi che le sue cifre finissero nel supremo organismo internazionale, dove sono e resteranno. Ma il Club non ha smesso di parlarne:

http://www.clubsupermarathon.it/commenti/3015-borzano-di-albinea-re-38-giro-par-bursan-il-dialetto-di-govi.htm

http://www.clubsupermarathon.it/personaggi-ed-interviste/875-william-govi-il-museo-goviano.html

 

Amico delle statistiche, William giunse persino a calcolare di aver avuto, in tutti i suoi 57 anni di vita, una ‘fidanzata’ solo per un totale di mille ore…, e su Podisti.net pubblicò un annuncio, diciamo così, matrimoniale, purché la Lei fosse disposta a seguirlo “pazientemente” nelle sue trasferte per maratone.

Il suo errore decisivo fu quello gravissimo di non dar retta ai medici che lo sconsigliavano dal correre tanto; e la natura, purtroppo, gli ha presentato un conto anche più spietato di quanto ci si potesse aspettare. Le ultime visite che gli facemmo alla casa di riposo di La Vecchia, sulle prime colline reggiane, furono decisamente penose. Preferisco ricordarlo il giorno delle Palme 2001, alla maratona di Bolzano: lo raggiunsi a pochi km dalla fine, più o meno davanti a una chiesa dove erano esposti ramoscelli d’ulivo; ne prendemmo uno e lo portammo nelle due nostre mani (la mia destra e la sua sinistra), unite alla fine in gesto di vittoria e di pace.

Il 29 dicembre si è spento, dopo due anni di lotta contro una malattia indomabile, Gianni Vaccari, una tra le personalità più spiccate del podismo modenese ma ben noto, come organizzatore, un po’ in tutta Italia. Nato nel 1948, tipografo di professione, podista praticante a livello amatoriale (citando a memoria, credo che abbia nel suo carnet varie maratone sotto le 3h 30’), è però come presidente della sezione podismo della Polisportiva Madonnina di Modena che ha lasciato una traccia indimenticabile e probabilmente irraggiungibile.

Fin che fu in forze, la Classica della Madonnina rimase a fine gennaio un appuntamento fisso e ambito del calendario podistico non solo modenese e reggiano, ma nazionale: non a caso, dal tempo della sua malattia in poi, cioè dal gennaio 2017, la corsa è stata declassata a non competitiva, come sarà anche nel prossimo mese.

Molti altri furono gli appuntamenti podistici della provincia che Gianni inventò e continuò a organizzare: dalla camminata di Freto in giugno, a quella in occasione del 25 aprile che gravitava sulle stesse zone attorno al corso del fiume Secchia, alle gare di quartiere (cui tentava di dare anche un piccolo carattere agonistico, cosa altrimenti aborrita) e persino a una tappa fissa del campionato provinciale di corsa campestre. Ultima nata, “Lesy in corsa”, gara abbinata ad una festa della frazione di Lesignana, pochi km a nord di Madonnina (per chi c’è stato, al km 27 della fu-maratona di Carpi): lì credo di averlo incontrato l’ultima volta, rallegrandomi per quello che sembrava un arresto del male.

A proposito della maratona, che alla Madonnina aveva la sua svolta decisiva verso Carpi, vincendo l’indifferenza dei modenesi Gianni fu il primo a organizzare un tavolo di rifornimenti solidi (che nei primi anni non erano previsti) e di tifo per i podisti che passavano avvertendo già i primi sintomi della stanchezza; e partecipò fin quasi all’ultimo alla logistica della partenza da Maranello e alla gestione dell’arrivo della 21 km.

 Gran parte di questo, senza il suo impulso, è scomparsa: Natale e Capodanno passeranno invano, senza i raduni autogestiti che promuoveva sulle prime colline modenesi (Fogliano, Solignano, Valle), cui arrivavano anche centinaia di partecipanti che alla fine restavano a scherzare davanti agli immancabili tè, spumante, torte casalinghe e panettoni. Come sono scomparsi i viaggi in pullman da lui organizzati (nei primi tempi in società col quasi coetaneo e compagno di squadra Mauro Zavatta, scomparso nel 2013) verso corse prestigiose fuori regione, come la maratonina di Riva del Garda, ma anche all’estero: Bühlertal in Germania, Linz in Austria, Plitvice in Croazia. La Madonnina fu presenza fissa al giro a tappe dell’Elba, giovandosi anche di uno ‘statuto speciale’ che le consentiva (dopo lunghe trattative, e anche una rottura sfiorata qualche anno fa) di non sottostare all’obbligo degli alberghi e prezzi decisi dall’organizzazione.

Ma Gianni era presente a quasi tutte le tapasciate modenesi: resta nelle orecchie il gridolino in falsetto col quale annunciava il suo arrivo, partendo dalla coda del gruppo (da buon presidente, era stato l’ultimo ad abbandonare la tenda societaria per completare le iscrizioni dei ritardatari) e rimontandoci via via, in modo anche da controllare che tutto andasse bene dalle ultime alle prime posizioni.

La sua fine è forse anche un simbolo del tramonto di quel podismo spontaneo, amatoriale, libero e allegro che ci ha accompagnato dalla nostra giovinezza degli anni Settanta fino ad un oggi del quale non vediamo bene il domani.

Martedì, 26 Dicembre 2017 22:47

Coll’anno nuovo un Podisti.net tutto nuovo!

Abbiamo compiuto 18 anni: durante questi ci siamo conquistati una posizione, per quantità di lettori e autorevolezza, che nel corso del tempo ci ha suggerito tanti adeguamenti e miglioramenti.

Se gettate un occhio sul Podisti.net del 1999 o dei primi anni del nuovo millennio (trovate i link nella sezione Archivio del nuovo sito 2018) avertite subito, oltre alla continuità delle linee-guida (cronache, commenti, classifiche, calendario) le innovazioni che finora hanno arricchito le nostre pagine: gli album fotografici, varie migliaia, con un numero complessivo di foto che supera il milione, cui si sono aggiunti anche i video del nostro canale Youtube; l’interattività, cioè la possibilità per qualsiasi utente registrato di contribuire all’informazione e al dibattito, e per gli organizzatori di esporre le proprie ragioni e colloquiare con tutti noi; l’apertura ai social media, sempre più interconnessi in un rapporto di reciproco scambio.

Tutto ciò ha generato un volume di traffico che, anno dopo anno, ci costringeva ad accrescere la “memoria” (mega-, giga-, tera- e via aumentando) e cercare nuovi spazi nel web; nonostante tutto, restavano sempre momenti (a volte, mezzorette o più: drammatico il lunedì mattina…) in cui il sito era irraggiungibile per eccesso di domanda: e come sa bene chi ha a che fare con un proprio computer, puoi stipare di più la memoria, ma entro certi limiti, passati i quali sei costretto a cambiamenti più radicali.

Crediamo che sia venuta l’ora anche per noi di un rinnovamento un po’ più consistente di quelli degli ultimi anni (la veste attuale di Podisti.net fu inaugurata nel 2013), e ne abbiamo approfittato non solo per migliorare la funzionalità tecnica ma anche per ripensare qualche schema di impaginazione e adeguarci ai modi nuovi , più ‘iconici’ se volete, di fare e raccontare lo sport, ed agli strumenti di lettura che voi usate per accedere, non solo il computer da tavolo ma sempre più spesso lo smartphone, i tablet ecc. Tecnicamente si dice che il nuovo Podisti.net è ‘responsive’.

Col 2018 troverete, all’indirizzo classico www.podisti.net – cui saranno reindirizzati anche www.podisti.it e www.podisti.org -, un magazine che non rinnega la nostra storia quasi ventennale (tant’è vero che sarà possibile senza fatica continuare a leggere il ‘vecchio’ magazine, come già adesso si fa per le versioni anteriori al 2013), e non rinuncia ad essere la più ricca miniera di notizie del panorama nazionale relativo al podismo, ma cerca di apparire più leggibile riducendo l’affollamento della home page e distinguendo meglio gli eventi di grande portata da quella miriade di fatti o episodi che costituiscono l’essenza diffusa del nostro sport ma vanno meglio inquadrati nel loro ambito territoriale.
Dalle cronache e notizie (che cercheremo di accompagnare sempre con immagini fotografiche) saranno anche distinti immediatamente, nella prima pagina, i commenti, gli approfondimenti tecnici o sui materiali, per i quali ultimi state dimostrando un interesse davvero eccezionale.
La novità tecnica (che non incide però sulle modalità di accesso) sarà che ad un indirizzo unico corrisponderà un sito unico, non i vari siti nei quali eravamo stati costretti a suddividere l’enorme materiale accumulato. Farà eccezione solo la Gallery fotografica, allocata su un server diverso: ma di questo l’utente normale non si accorgerà nemmeno. Verrà sempre garantita la possibilità di vedere e scaricare gratuitamente le foto fino alla risoluzione di 1K, e in aggiunta avvieremo la possibilità di scaricare foto a risoluzione di 3-4 K (adatte per la stampa), versando un piccolo contributo.

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Domenica 17 dicembre si è svolta la Maratona delle Cattedrali, con arrivo a Giovinazzo (BA). Bella manifestazione, 511 arrivati nella 42 km e 318 nella maratonina: cifre non indifferenti, in questa zona e stagione. Ha vinto Massimo Leonardi in 2.29, precedendo di ben 9 minuti il secondo classificato, Francisco Pedrero Salcedo, che malgrado il nome è indicato come italiano, e risulta tesserato solo con la Runcard; dunque, ahilui, in base ai regolamenti federali non gode di pari diritti rispetto ai tesserati Fidal. Una Runcard è anche la vincitrice femminile (col tempo decisamente dopolavoristico di 3.14),  Ashleigh Barron, e pure la seconda, Laura Parker, date entrambe per italiane. Sarà. Ma il veleno viene dopo, come apprendiamo dal commento affidato ai social da Francesco Cannito, macchinista di treno e maratoneta 56enne tesserato Happy Runner Altamura.

Domenica 17 dicembre ho corso la Maratona delle Cattedrali. Visto il periodo natalizio, ho corso vestito da Babbo Natale, come di usanza ho fatto in tutte e quattro le edizioni e già la settimana prima alla Maratona di Reggio Emilia. Ero già nelle vicinanze della partenza, facevo foto insieme ad amici Runners, vidi un signore che passandomi vicino guardava. Non lo conoscevo, era fisicamente malandato e in età avanzata. Qualche minuto prima della partenza si è avvicinato e senza presentarsi mi disse che se avessi corso così mi avrebbe squalificato. Non feci caso alle sue parole, pensavo fosse una persona uscita da qualche casa di cura, mai avrei pensato fosse un giudice, non credevo potesse aspettare fino all’ora della partenza per darmi questa notizia senza concedermi il tempo per potermi cambiare.

Ho corso la mia gara in modo corretto e con il pettorale ben in vista come faccio sempre. [Ndr: in realtà dalla foto dell’arrivo di Roberto Annoscia il pettorale risulta quasi totalmente coperto dal marsupio… E’ vero però che il tempo è dato dal chip Icron].

Durante il percorso ho dato un po’ di colore alla mia maratona , strappando sorrisi al pubblico presente, regalando caramelle ai bambini che mi chiedevano anche il cinque . Sono arrivato in 4 ore e 06 minuti a fianco alla mia dolce metà, anche a lei avevo regalato il sorriso per averla aiutata a fare il suo personale. [Ndr.: infatti Lucia Niniviaggi, visibile nella foto Annoscia, risulta classificata, addirittura come vincitrice della categoria SF 55].

Sembrava una giornata perfetta. La sera vedendo la classifica noto con molto rammarico di essere stato squalificato. [In realtà, la classifica pone Cannito all’ultimo posto, col tempo lordo di 6.00.00, real time  di 5.59:07, media di 8:31 / km , con una prima mezza in 2.01:35 cioè 5:46 / km].

 Il regolamento Fidal prevede che bisogna correre con la maglietta sociale pena la squalifica. Non dice che chi corre da Babbo Natale viene squalificato e chi corre con maglie strane e non di società può essere graziato. Alla maratona c’erano tantissimi atleti che non avevano la maglia sociale, ma se la squalifica era solo per colpire me e la mia società non l’accetterò MAI.

Se la regola deve essere applicata lo deve essere fino in fondo, non solo a metà. Ho subito un’ingiustizia pesante, qualcuno ha abusato del suo potere per farlo. La mattina seguente apri FB e vedi tantissimi amici vestiti da Babbo Natale che corrono festosi nella maratona di Pisa, gare di Brescia e altre senza che nessun giudice dica niente… poi pensi e ti ricordi che sei al sud. La rabbia aumenta notevolmente. Con che coraggio puoi dire ai tuoi amici di venire a correre da noi? La mia decisione è di non rinnovare la tessera Fidal con la mia società, società che ho fondato orgogliosamente con altri amici; non correrò più gare Fidal nel territorio pugliese. Vi chiedo umilmente scusa, amici Runners e organizzatori di gare, se ho fatto questa scelta. I miei soldi li guadagno lavorando onestamente e non li butto per foraggiare quelle brave persone che hanno scritto una pagina nera dello sport nei miei confronti.

Dunque, Cannito chiede: anche  a Reggio ho corso (come tanti altri) con lo stesso costume e tutto andava bene; aggiungiamo noi che un mese fa, alla maratona di Ravenna, Cannito aveva destato la curiosità di sportivi e media per aver corso “elegante”, in un completo pantaloni - giacca – camicia – farfallino – bombetta in testa. Applausi e risate, non squalificato, ma classificato 818° con 4.12:24.

Abbiamo appurato chi è il giudice che ha mantenuto la promessa di squalificare Cannito: si tratta nientemeno che del responsabile dei Giudici pugliesi, Luigi De Lillo, 80 anni compiuti “e tutti i regolamenti a memoria” (come attesta Roberto Annoscia): ma le motivazioni della sanzione restano misteriose.

Non può bastare la mancanza della maglietta sociale, cosa obbligatoria solo nel caso che la gara valga per un campionato: e ammesso che Giovinazzo fosse valevole per qualcosa, allora andava squalificato il 95% dei partecipanti. Ma nella congerie di regolamenti più o meno vigenti, pare che l’uso di magliette ‘diverse’ non porti alla squalifica dell’atleta ma solo a un’ammenda alla società.

È anche vero che la Puglia (non a caso governata da un giudice…) sembra particolarmente severa in proposito: meno di un mese fa, fu squalificato a Palagianello un atleta che indossava il costume da maialino per promuovere una gara...

Mi chiedo se allora la normale inclusione nel pacco gara di magliette griffate col logo della manifestazione non sia una pericolosa istigazione a delinquere: mettete le nostre magliette, non quelle della vostra società… Giudice: ci sono tanti avvisi di garanzia da spedire!

Sia come sia, il giudice De Lillo, e i suoi colleghi che hanno avallato la sanzione, per ora hanno ottenuto uno scopo: quello di perdere un altro ‘cliente’, e forse di più se il suo appello sarà raccolto.

Visto che la Fidal nuota nell’oro e che le partecipazioni sono ovunque in calo, ci mancano solo gli Azzeccagarbugli. Che, come è noto, finiscono per fare gli interessi  non di Renzo e Lucia ma di don Rodrigo.

Se tutti gli scioperi riuscissero come quello proclamato dal Coordinamento podistico modenese, ci sarebbe da invitare l’immortale Roncarati, e i suoi senescenti compagni di strada, a proclamarne tanti altri ancora, per dare una sferzata di vitalità ad un movimento altrimenti ripiegato su se stesso: quasi 350 competitivi sono probabilmente un record in queste contrade; e almeno un migliaio di iscritti alla non competitiva, sia pure al prezzo ‘scandaloso’ di 2 euro, sono all’incirca gli stessi numeri che di questa stagione popolano le corse di quartiere, dove l’iscrizione è gratuita.

Nella settimana precedente la corsa, noi tesserati per buona parte delle società del Coordinamento avevamo ricevuto avvertimenti di questo tenore: “Rendo noto a tutti che la gara podistica del 17/12 domenica non ha i crismi x essere riconosciuta dal coordinamento podistico modenese di cui facciamo parte anzi viene consigliato di non partecipare. Non sara' presente la tenda, non si effettueranno le iscrizioni, la societa sara’ assente. Chi non riesce ad astenersi dal partecipare non si iscriva come XXX ma come libero”.

Dunque, una gara non cresimata: quali erano i “crismi” mancanti? Anzitutto, direi, l’uscita della società organizzatrice “Modena Runners” (che ha rilevato l’organizzazione dalla storica società San Donnino) dal Coordinamento. Eppure, quando a organizzare le corse sono i vari gruppi alpini o parrocchiali o partitici, non si sta a sindacare.

Ah già, ma c’è una colpa di cui alpini o parrocchie o partiti non osano macchiarsi: elevare il prezzo di iscrizione a 2 euro, contro il calmiere di 1,50 imposto dai roncaratiani. Addirittura senza offrire nessun pacco gara, cioè niente mezzo chilo di pasta da 23 centesimi, ma – oggi - solo il cappellino di Natale distribuito col pettorale.

Altre colpe ancor più gravi: non prevedere le premiazioni di società, quelle grazie a cui certi presidenti si presentano al termine della gara con pacchi di pettorali acquistati in prevendita e mai utilizzati, ma che garantiscono prosciutti e mortadelle.

E, suprema manifestazione di sfiducia: porre il ristoro finale in un locale chiuso, cui si accedeva solo mediante esibizione del pettorale. Fine insomma degli approvvigionamenti a sbafo da parte di chi si fa vedere sul luogo delle gare solo davanti al tavolo dei ristori, nemmeno a quello delle iscrizioni: il Coordinamento vi vuole bene, Modena Runners no.

Dunque, sciopero! Annunciata la mancanza delle tende sociali (uno dei vanti del podismo modenese, qui meglio che di quello reggiano), diffidati i tesserati dal partecipare: si è preferito lasciare una domenica vuota, che si aggiunge agli annullamenti delle settimane precedenti (che ne è della quarantennale Sfetleda dell’8 dicembre? Che sarà della altrettanto longeva corsa di Savignano? Dove è finita la competitiva nazionale della Madonnina?), piuttosto che soggiacere alle odiose pretese di un gruppetto diparvenus che disprezzano il mezzo secolo di sapienza elargito dagli organizzatori della fu-Corrimodena e della fu-Modena/Pavullo.

Aspetto patetico della cosa: nei giorni precedenti, alcuni podisti modenesi che non sono mai andati oltre il fiume Samoggia perché il Coordinamento non lo prevedeva, cercavano informazioni su come si arriva a Castelmaggiore (BO), la località più vicina a Modena (quasi 50 km) dove si corresse. Chissà se ci sono andati, per scoprire che la competitiva costava 15 euro (contro i 5 di San Donnino) e la non competitiva 2, come è di norma a Bologna e Reggio; e se hanno fatto i conti della benzina consumata.

Il sottoscritto, memore di un analogo diktat del Coordinamento nel 1995, quando venne emanata lafatwa contro la prima edizione del “Modena corre con l’Accademia” (e io ci andai – oggi ci vanno tutti i Coordinati!), da spirito libero è andato anche a San Donnino, convinto di parcheggiare nel solito parchetto, stavolta più che sufficiente. Invece, mannaggia, la segnaletica indirizzava a un parcheggio a circa 500 metri dal via, perfettamente organizzato ma già quasi pieno (e molte auto erano ai cigli delle strade).

Insomma, c’era il pienone. Niente tende? Senza girare per tutta l’area, io ho visto le tende di quasi tutte le principali società modenesi, Madonnina, Guglia, MdS, Interforze ecc., perfino una di Bologna! Più molti cani sciolti, compresa almeno una dozzina di compagni di società che hanno trovato ospitalità da qualche parte. E non è mancato il patrocinio di Csi e Uisp, cioè i due terzi del Coordinamento.

Crevalcore 2018

Il dubbio dei partecipanti era uno solo: ma davvero noi da due euro potremo correre solo i 5 km del Christmas o Family Run, mentre i 10 saranno riservati ai competitivi? Il volantino recitava così, ma poi, sia per una sorta di autorizzazione captata tra le parole dello speaker, sia perché non siamo ancora così cadenti da limitarci ai 5 km, al fatidico bivio 5/10 abbiamo quasi tutti svoltato per i 10, nonostante il ragazzino sbandieratore cercasse di instradarci dall’altra parte. Tutti o quasi col numero bene in vista: persino la stupenda signora vignolese e il suo compaesano spesso alieno dall’acquisto dei pettorali (nonché dal partire all’ora giusta) si facevano fotografare sorridenti alla partenza, con cappellino e pettorale.

Devo dire che l’ora di distanza tra le due partenze (entrambe, anche la non competitiva, marcate dal colpo di pistola) ha fatto sì che non intralciassimo la gara ‘vera’, come non l’ha intralciato il walking da 8 km, su un percorso diverso, perlopiù sterrato e – mi dicono – bellissimo. Fa un po’ pena, nelle gare normali, vedere i walkers pestare i loro bastoncini sull’asfalto; gli ‘eretici’ dei Modena Runners anche in questo caso hanno indicato un modo diverso di far correre o camminare la gente.

Per chi non gradisse le novità, il calendario modenese prevede che domenica prossima, vigilia di Natale, si torni nello stesso posto, San Donnino, per la camminata di quartiere a zero lire e con partenza libera (fenomeno oggi molto limitato, direi a poche decine di habitués); e la domenica successiva ci si riveda a 2 km da qua, a San Damaso, per un altro Quartiere su un percorso pressoché identico a oggi.

Sarà la rivincita di Roncarati?

Ma che ci siete venuti a fare a Rieti?”, ha chiesto una negoziante al cui bancone stavamo facendo acquisti.

“Per correre la maratona”.

“E venite fino a Rieti per fare la maratona?”.

Si può solo allargare le braccia, aggiungendo che Rieti merita comunque una visita, sia per il suo centro lindo, quasi libero dal traffico automobilistico e con edifici d’arte notevoli (il più recente è un monumento alla lira, ottenuto fondendo esclusivamente monete da 200 lire), sia per i suoi dintorni, ricchi di suggestive reminiscenze dei ripetuti soggiorni di San Francesco.

La corsa è certamente schiacciata dalla concorrenza con Reggio: ben pochi supermaratoneti, ad esempio, l’hanno frequentata (tra questi, i laziali Paolo Reali e Gianni Baldini, il marchigiano Francesco Capecci, e l’inossidabile coppia barlettana Rizzitelli-Gargano). Il percorso è molto scorrevole, pressoché in pari nella levigata piana reatina dove le uniche alture sono i ponticelli su fiumi e canali; le quote di iscrizione sono quasi irrisorie, con l’aggiunta di pacchetti-soggiorno favorevolissimi, e la concreta prospettiva di recuperare quanto speso attraverso i premi assoluti e di categoria nella “maratona più premiata d’Italia”.

Eppure, i risultati numerici dei classificati non premiano lo sforzo dell’organizzatore principale, Felice Petroni, e dei suoi collaboratori tra cui citerò solo “Ciccio”, cuoco di Amatrice che gestisce il pasta party, ovviamente a base di amatriciana e di “gricia” distribuite in abbondanza: dei 103 iscritti alla maratona solo 71 risultano i classificati, più 41 giunti al termine della mezza maratona, e 29 della 12 km competitiva (più svariati altri della non competitiva).

Di positivo, va detto che le gare si sono svolte comunque, mentre nel 2016 erano state annullate per una scossa di terremoto due ore prima della partenza; anche pochi giorni fa la terra aveva tremato a un livello 4 Richter, ma per fortuna senza provocare altri danni.

Clima molto familiare, quasi da ritrovo tra vecchi amici, nel magnifico stadio per l’atletica Guidobaldi, teatro del famoso meeting, e la cui pista azzurra abbiamo percorso quasi per intero nel passaggio del km 21 e all’arrivo. Senza problemi le formalità di iscrizione (a parte il preventivo girovagare tra siti che non si aprono e altri con notizie frammentarie), la consegna di pettorali e chip Icron (quelli a forma di striscia che si arrotola intorno al legaccio della scarpa); partenza ritardata di mezz’ora (col rischio di andare incontro al maltempo previsto da metà giornata), e stranamente collocata a un centinaio di metri dallo stadio, dove però si arriva dopo una corsetta ‘guidata’ di un chilometro. L’anello da percorrere è di 21 km abbondanti (alla fine i Gps oscillano tra i 42,500 e i 43), equamente suddiviso tra stradine non trafficate e piste ciclabili; per ragioni legate ai sismi non si passa per il centro di Rieti né si attraversano centri abitati tranne Chiesa Nuova, quasi un sobborgo del capoluogo (gli agglomerati urbani più caratteristici stanno tutti sulle prime alture che sovrastano la piana); le nuvole basse concedono visioni solo parziali sul Terminillo innevato e le cime minori attorno.

Ristori molto frequenti, uno all’incirca ogni 3 km, ma forniti soprattutto di bevande fredde (pare che sia circolato un po’ di tè caldo, ma esaurito subito), uvetta, biscotti e wafer. Segnalazioni ottime, e necessarie specie nel secondo giro quando noi maratoneti di basso rango, abbandonati dai mezzi maratoneti dopo l’arrivo loro, ci troviamo distaccati anche di centinaia di metri l’uno dall’altro; ad ogni attraversamento di strade trafficate ci sono comunque i volontari che fermano le rade auto in transito.

Ha vinto Massimo Lizza in 2.58:50, appena 21 secondi meglio del secondo, Gianfranco Perrozzi, e 1:41 su Fabio Amabrini; netto invece il distacco degli altri: ma per i primi 5, uomini e donne, era in attesa un prosciutto intero come premio principale. Decisamente amatoriale il tempo delle categorie femminili, tra cui ha prevalso Silvia Vinci in 3.26. Ben diciotto le categorie premiate, con abbondanti confezioni alimentari.

Spogliatoi sufficienti, docce tiepidine, e come si diceva amatriciana a cofane, seppure in mancanza di tavoli per poterla gustare in compagnia. Il ‘terzo tempo’ è proseguito in serata, con ulteriori prelibatezze laziali direttamente nell’osteria di Ciccio; poi, chi ha voluto, ha espiato i peccati di gola visitando i quattro conventi che ospitarono San Francesco, tra cui quello di Poggio Bustone poi divenuto noto come patria di Lucio Battisti.

E proprio a Poggio Bustone l’infaticabile Felice Petroni progetta di far svolgere, il prossimo 11 marzo, una delle tante maratone che va programmando, il cui nome non potrà essere altro che “I giardini di marzo”.

 Comincio dalla fine, e da una delle cose che mi sono piaciute di più: le docce, ampie e caldissime (nei trail, e anche in certe corse più ‘togate’, non capita sempre). È stata però l’unica cosa totalmente positiva del finale di questa gara: su tutto il resto c’è da ridire, eccome.

Per trovare un’altra cosa molto positiva devo riavvolgere il nastro (come dicono i giornalisti, sebbene i nastri, audio e videocassette non esistano più), e arrivare al momento cruciale di quando si cerca il parcheggio: in una zona caotica come è lo stadio di Bologna, dove i podisti si rassegnano a parcheggiare sperando che non  passi il vigile, la disponibilità del parcheggio dell’antistadio (sebbene contrassegnato all’ingresso dalla scritta rossa “Completo”, falsa e bugiarda ma che dissuadeva molti), adiacente alla zona di partenza-arrivo e gratuito, è stata una manna: peccato per chi ha creduto alla scritta e ha parcheggiato in quei budelli di strade, sensi unici e divieti, residuo dei tempi eroici che si correva la Casaglia – San Luca con partenza da via XXI Aprile, e quanto a parcheggiare, aiuto!

Anche sul sito del City Trail campeggiava da almeno una settimana la scritta “Completo” (anzi, in ossequio all’esterofilia, Sold out, come se a correre da queste parti venissero gli americani e i giapponesi): 450 iscritti o magari qualcuno in più, ad un prezzo “di lancio” di 15 euro l’uno, divenuti 20 nelle ultime due settimane. Cifre che, a dire la verità, erano state imposte quando la gara era indicata come competitiva, e sono rimaste tali e quali anche dopo che è stata declassata a non competitiva: il che significa niente classifiche, niente giudici da pagare e tantomeno chip (sebbene il logo di Sdam/Dapyware comparisse nel volantino); e – vergogna somma – obbligo di correre rispettando il codice della strada, perché le strade sono aperte e al semaforo rosso ci si ferma!

Ma, nonostante queste cose fossero risapute (sebbene circolasse qualche leggenda metropolitana in base alla quale i prezzi sarebbero stati abbassati), se si fa il tutto esaurito, gli organizzatori saranno giustificati l’anno prossimo a far pagare 30 euro, cifre cui ci si sta avviando per tutte le Color e le Christmas e le 5,30 e le DJ e le 21 sorte dal nulla. Il mercato li autorizza, e intanto a Bologna un incasso minimo di 6750 euro (supponendo che tutti abbiano pagato solo 15) è garantito, con dispendi modesti e senza tener conto delle eventuali sponsorizzazioni (ad esempio appariva il logo di Agisko, si suppone non solo in cambio di quella bustina di gel inserita nel pacco gara). La denominazione “Benmivoglio” degli organizzatori trova conferma anche da questi dettagli.

Il tutto esaurito penso sia dovuto alla bellezza del percorso, già testata nel 2016 con l’etichetta di “numero zero”; un anno fa avevo partecipato a un Urban Trail di Firenze, che forse è stato il modello per Bologna, ma vi posso garantire che l’attraversamento del giardino di Villa Spada a Bologna (intorno al km 8) è altrettanto ricco di fascino di quello del Giardino di Boboli a Firenze. Poi ci si aggiunge l’incanto della notte di luna piena (“e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti – posa la luna, e di lontan rivela – serena ogni montagna”: io le virgolette le metto, a differenza di Rondelli e Galimberti): notte che nasconde le infinite brutture urbanistiche di Bologna, e ci regala la visione di tante isole di luce giù in basso. Quasi magico l’apparire delle Due Torri dall’alto del parco S. Pellegrino (dove era l’unico ristoro del tracciato, acqua fresca uvetta e poco più, sicuramente niente di caldo); persistente e confortante la vista del santuario di S. Luca, che raggiunto in meno di 3 km, poi ci si mostrava per quasi tutto il resto della gara, mentre correvamo sul crinale di una catena collinare a ferro di cavallo.

I nostalgici del luogo hanno riconosciuto nel tracciato i luoghi già frequentati in altre gare bolognesi, alcune estinte: la citata Casaglia-San Luca, della quale risaliamo col fiatone i chilometri scesi a rotta di collo nell’ultima parte; la leggendaria 25 km dei Colli (dalla medaglia rettangolare d’argento), che ora abbiamo percorso in senso inverso da via Felice Battaglia (che fu il mio Rettore!) lungo i tornanti di via del Genio; la Petroniana, ritrovata sia nel parco di Ronzano (km 12) sia nella discesa finale lungo le vie dei poeti (Petrarca, Guinizelli, Vallescura). Quante volte sono salito in Vallescura con apprensione mista ad affetto, a visitare il Grande Vecchio professor Spongano che fino ai cento anni ci impartì lezioni e affettuosi rimproveri; solo avanti con gli anni ho capito quante ragioni avesse, nel cominciare i suoi predicozzi con “figliuolo!”. Per coincidenza degli opposti, in questo stesso sabato pomeriggio viene sepolta in Certosa, a pochi metri dallo stadio, un’altra collega, più famigerata che brava: per  dirla ancora con Leopardi, per lei non mi rimane nemmeno un sospiro.

Gran quantità di cani in corsa, tutti debitamente lampadati: almeno cinque mi sorpassano nella salita del portico, trascinando i padroni. Crudeltà antianimalista o soccorso indebito? Ma è non comp, si fa di tutto, e se io inciampavo sul guinzaglio di uno che mi ha tagliato la strada, chissà chi aveva ragione.

Ma gli scenari della Bologna notturna hanno il sopravvento: dopo la prima cima di San Luca al 2,8, ecco la seconda di San Pellegrino dopo 5,3, cui segue l’unico ristoro (Spongano avrebbe detto che nella dicitura del programma “ristori lungo il percorso”, il plurale è fuori luogo: figliuolo, ripassa a fare l’esame al prossimo appello); poi la discesa sterrata verso villa Spada (8,3), con risalita a Ronzano, alta come San Luca, al 12,1. Squisita l’idea di munire di catarifrangenti gialli le radici che attraversano il sentiero, perfetta l’assistenza lungo il percorso (“shtate a sinishtra, perché a deshtra si sivola!”), anche per merito degli scout di Villanova memori dell’antico precetto di aiutare la vecchietta a traversare la strada.

Sentiero con qualche salitella impossibile da correre, verso l’ultima cima, l’Osservanza (meta prediletta di Pascoli negli ultimi anni di vita) al 13,7; poi rimane il discesone verso i viali di circonvallazione sud (chiacchierata zona Staveco, pancia mia fatti Coop), che percorriamo sul marciapiede fino a sbucare a porta Saragozza (il parco da dove parte la camminata è aperto, ma non ci entriamo) ed imboccare infine il tratto iniziale del portico di San Luca che ci scorterà, senza altre segnalazioni (freccette o bandelle pare siano state vietate per ragioni di decoro urbano: seeh!), e con i radi sbandieratori che ci bloccano ai semafori rossi, fino al traguardo. Che non è dopo i 16 km dichiarati dall’organizzazione (+600 m di dislivello) ma di 18,400 +565 metri D (“figliuolo, ripassa quanto saprai fare i conti”); e che, non essendo minimamente segnato, né da un arco né almeno da una riga bianca, è riconoscibile solo per la presenza del fotografo modenese Italo. A lato campeggia un podio, il cui uso è indecifrabile data la non competitività, né uno speaker di serie B ci dice che arriva Otello o la Franchina, ma semmai pare interessato a giudicare su chi aveva le lucine più sexy.

Ristoro post gara: sarà che quando arrivo io (mica ultimo) si sono mangiati già tutto, ma io trovo solo tè freddo e pezzi di panettone, più un panino con mortadella consegnato previa spunta sul pettorale: che non ne prendessi due, come era consuetudine dei magnapodisti bolognesi a 2 euro nella attigua camminata di Porta Saragozza. Ritiro ‘pacco gara’, il cui clou consiste in un portascarpe (con logo, almeno quello) come ne possiedo già alquanti (tutti omaggi), ma che non ho mai visto usare da nessun podista per riporci le scarpe fangose. Chiamasi bisogno indotto.

Deposito borse custodito: un bel seeh! ce lo metto anche qui. E’ vero che ci consegnano un adesivo da attaccare alla borsa, ma questa borsa la portiamo noi in tribuna (come nella maratona di Reggio), scegliamo noi il gradone e la abbandoniamo fiduciosi, in mancanza di qualsiasi addetto; all’arrivo, risaliamo la tribuna e recuperiamo self service la borsa. La mia era stata solo spostata, ma c’era ancora. Spero che nessuno tiri fuori la storia della non competitiva, perché anche a una gara parrocchiale come la Cacciola di Scandiano, dicesi deposito borse quello dove tu consegni la borsa a un addetto, che la ripone in un recinto dove può entrare solo lui, e al termine te la riconsegna in base al tuo numero di pettorale.

Ma che lamentele vado facendo: lo scenario goduto durante il giro vale il prezzo del biglietto. Italo mi obbliga a posare alla base del podio preconizzandomi che verrà buono per la maratona di Bologna. In che secolo?

 

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